GOETHE E MICHELANGELO OMOSESSUALI SECONDO RAFFALOVICH

Articoli di interesse storico pubblicati nel Forum, dal 24/1/2017.
Rispondi
Avatar utente
progettogayforum
Amministratore
Messaggi: 5947
Iscritto il: sabato 9 maggio 2009, 22:05

GOETHE E MICHELANGELO OMOSESSUALI SECONDO RAFFALOVICH

Messaggio da progettogayforum » martedì 24 gennaio 2017, 17:12

Nella panoramica dei grandi personaggi omosessuali della storia, contenuta in “Uranismo e Unisessualità”, Raffalovich tratta insieme Goethe e Michelangelo. Parlando di Byron, era stato molto stringato, perché non disponeva della documentazione di cui si dispone oggi, che ne evidenzia l’omosessualità in modo molto chiaro. L’omosessualità di Michelangelo è ampiamente provata e nessun autore serio la metterebbe più in dubbio. Il discorso, per quanto riguarda Goethe, è sostanzialmente diverso. Va premesso che Goethe è sempre stato gradito agli omosessuali per la sua notevolissima apertura mentale. Lo stesso, Raffalovich nella prefazione a “Uranismo e Unisessualità” lo cita espressamente: “Ogni uomo, Goethe lo ha detto, ha diritto ad una filosofia che non distrugga la sua individualità, senza per questo danneggiare l’individualità degli altri. È questa l’origine psicologica delle filosofie.”

Nella biografia di Goethe esistono certamente indizi di una “possibile” omosessualità-bisessualità, ma rispetto a Byron le situazioni sono estremamente più sfumate e per ricondurle in modo certo all’omosessualità ci vuole un notevole sforzo interpretativo. Nel Divano Orientale si possono leggere racconti di tipo omosessuale condotti con estrema delicatezza, ma non si tratta certamente della parte prevalente della produzione di Goethe. Non intendo inoltrarmi in questioni molto dibattute, mi limito ad osservare che Raffalovich tratta sia Michelangelo che Goethe con vero entusiasmo, tende però a trasformare entrambi, Michelangelo in una chiave nettamente omosessuale e Goethe in una chiave molto più sfumata, in altri Raffalovich ante litteram, attribuendo loro i caratteri quasi eroici di personaggi in lotta perenne con se stessi per arrivare alla sublimazione platonica della loro sessualità. Questa visione della cose è interessante, ma probabilmente poco realistica. In buona sostanza Raffalovich si proietta in Michelangelo e in Goethe, visti come maestri dell’eros sublimato.

Ma lasciamo a parola a Raffalovich.
_________

Goethe e Michelangelo

Michelangelo è il tipo per eccellenza dell’uranista maschio, un maschio e mezzo, più che un mezzo maschio. Se si sono studiate la sua vita e la su opera, ci si stupisce della leggenda che suppone che si sia innamorato di Vittoria Colonna. Fece la sua conoscenza quando aveva sessant’anni e scrisse per lei solo quattro sonetti. Fin dall’infanzia ha sempre adorato e perseguito la bellezza maschile. Nulla del corpo maschile è stato nascosto per lui o è stato trascurato da lui. Il sesso delle sua statue, dei suoi quadri e del suoi disegni è studiato, più differenziato del viso. Ha vissuto fino a ottantanove anni, sobrio, quasi in modo misero, probabilmente casto, in ogni caso continente, perseguendo un ideale maschile con una serenità minore dei Greci, ma con più passione, trovando un compenso alla malinconia nel suo lavoro eroico, nelle sue poesie e nel suo furore creativo.

Goethe, che aveva la facoltà e l’abitudine di immergersi nel pittore o nello scultore fino al punto di vedere il mondo per qualche tempo secondo e seguendo l’artista studiato, è talmente folgorato da Michelangelo che non vede nessuno grande come lui. Goethe, ammirabile poeta, pesatore e uomo, vuole con ciò esprimere il suo rispetto per Michelangelo. La calma dell’arte greca o la grazia e la ricercatezza dell’arte italiana non erano per lui più comprensibili ma più naturali, più familiari di questa ultra-virilità di Michelangelo. Si sa che Goethe a Roma ha cantato un ragazzo e si dice che Goethe lo abbia amato. Queste due elegie romane non saranno mai pubblicate, anche nella bella e nuova edizione delle suo opere in centoventi grandi volumi; ma Goethe in Italia è uno dei momenti più interessanti della storia del genio.

Se ne era scappato misteriosamente – aveva trentotto anni – dalla Germania, da Weimar, dal granduca, da Carlotta di Stein, l’amica che era per lui l’amica e la donna ideale, era disgustato dalla corte, dall’amore e voleva cercarsi e trovarsi. I suoi due anni in Italia lo guarirono, gli insegnarono tutto quello che voleva sapere e prepararono la seconda e la più gloriosa metà della sua gloriosa e vittoriosa vita.
In Italia ringiovanì. Scrisse un resoconto delizioso di questo viaggio, delizioso, riservato, un capolavoro di passione artistica, di reticenza, di spirito, ma nessun lettore intelligente si stupirà di venire a sapere dell’episodio al quale alludo. Le elegie romane simbolizzano la fuga di Goethe dalla gabbia delle convenzioni, il suo volo verso la verità e la bellezza, dal quale egli ritornò virile e pronto a vivere e ad agire.

A sua volta, il legame con Christiane Vulpius, la piccola borghese, lo liberò dal mondo ristretto e piccolo, e la sua amicizia decennale col suo nobile amico più giovane Schiller, gli permise di sentirsi al di sopra di tutti gli altri. Si circondò di una corte di ministri delle arti e delle scienze. E quando scrisse il suo Divano Orientale, scrisse i più soavi poemi unisessuali ai quali si possa pensare quando ci si immagina l’Oriente trasfigurato. Goethe, non ebbe mai paura di nulla. Conobbe tutte le forme di discrezione ma non permise mai che queste cose lo diminuissero.
Lo si è sentito dire che se avesse creduto alla metempsicosi, avrebbe affermato di aver vissuto al tempo di Adriano. Adriano e il simbolo del suo potere e del suo amore della bellezza, Antinoo, hanno preoccupato i sovrani: Federico aveva una statua di Antinoo a Sans-Souci, e Goethe, anche lui un sovrano, ha sullo scalone a Weimar il grande gruppo di Antinoo e del genio della morte (Gruppo di sant’Ildefonso.) Nell’epoca dei Greci o del Rinascimento, Goethe avrebbe amato l’uomo e la donna sensualmente e egualmente, come Fidia, che come Goethe ha rappresentato con la medesima nobiltà l’uomo e la donna e ha reso immortale il suo favorito.

Michelangelo, se fosse stato scrittore, non avrebbe avuto la bell’armonia di Goethe, non avrebbe creato le calme e umane giovani donne e le ragazze di Goethe insieme ai Tasso, agli Oreste, ai Werther e agli atri tormentati del grande tedesco. La scultura, la pittura, la poesia lirica, la satira si prestano ugualmente ai giganti uranisti unisessuali e agli gnomi, ai demoni impotenti o a metà indifferenti.
La poesia drammatica e la poesia lirica e satirica hanno sempre affascinato gli invertiti molto più della poesia narrativa o descrittiva – soprattutto ai nostri giorni. - È verosimile che Swift e Boileau fossero impotenti come si è detto – l’età e la salute di Voltaire rendono anche possibile che non si dedicasse oltre misura ai piaceri del sesso.

Il libro di Ludwig von Sheffler su Michelangelo (Altenburg, verlag von Stephan Geibel, 1892) cancella ogni dubbio dall’eroe scultore.

L’episodio di Vittoria viene ridimensionato. Fu per lui l’amica nobile e calma; essendo donna, non poteva smuovere la sua anima di Titano amoroso dell’Eros uranista. La ridicole falsificazioni del suo giovane nipote sono svelate nel libro e l’episodio di Tomaso Cavalieri, il più amato dei giovani uomini, che Michelangelo adorò al modo di Platone, non è che uno tra i molti. Quando ultimamente è stata scoperta la vera poesia di Michelangelo, si è voluto trasformare il suo amore per Tomaso, in un parossismo più o meno colpevole, un intrattenimento. Michelangelo era più ammirevole di come i suoi apologisti lo hanno rappresentato, raffigurandolo e sfigurandolo. Ha sempre amato da uranista ma eroicamente. Si è innalzato fino alle rinunce e alle forme di devozione. Vivendo in mezzo ai principi sia della Chiesa che esterni alla Chiesa, ugualmente insozzati di sangue e di lussuria, vedendo la sessualità, pederastica o meno, o pederastica ed eterosessuale, che trionfava intorno a lui, si comprende la rivolta contro le sue stesse tendenze. Non è certo la difficoltà di soddisfare la sua sessualità, se essa poteva essere soddisfatta fisicamente, che lo ha indotto a dichiarare che l’occhio è l’organo dell’uranismo. Non desiderava che di essere un occhio per godere del suo beneamato. Era il suo genio che gli rendeva insopportabile l’idea di poter esprimere la sua adorazione dell’Eros maschile come gli uomini più mediocri che aveva intorno a sé.

Gli uomini più piccoli di Michelangelo sono già scioccati dal dover esprimere il loro amore seguendo le diverse modalità di tutto il bestiame umano. E Michelangelo, quando ha fatto allusione alle passioni divoranti della sua giovinezza, poteva certo ricordarsi della cadute nel pantano di quel lascivo e incantatore Rinascimento, ma le cadute dei grandi personaggi insegnano loro spesso a rialzarsi più tardi. E quando proclama, molto tempo dopo, che il successo del suo amore sarebbe peggiore della morte, quanto si interessa all’amore del suo amico Luigi per un bel giovane, al punto da mandargli una cinquantina di poesie nelle quali si mette al posto dell’innamorato, quando si leggono le sue poesie, così spesso degne di lui, e le sue lettere, quando si vedono le se opere sublimi, si capisce che questo grande ribelle era in lotta contro la sessualità che era in lui e contro quella al di fuori di lui. Forse, vivendo in un periodo più casto, più decente, si sarebbe messo meno in guardia contro se stesso. Il vizio spudorato, la voluttà gradevole e senz’anima piegano molte anime sensuali e fiere verso un ideale di castità sovrumana e terribile.

Michelangelo certo non avrebbe voluto amare la donna come amava l’uomo, ma anche se lei fosse stata il simbolo della sua visione beatifica si sarebbe probabilmente ritirato davanti all’impurità. Come si lamenta all’inizio dei suoi affetti per i giovani uomini, di cui si innamora! Come è costretto ad assicurarli dell’elevatezza della sua passione! A forza di voler sorpassare gli altri si finisce per sorpassare se stessi.

Se ha appreso poco a poco questo cammino dell’eroismo e la strada gli è sembrata così lunga e dolorosa, Michelangelo non è per questo meno ammirevole, e non comprendo la pudicizia della malafede degli scrittori che non vogliono ammettere che un grand’uomo è grande in proporzione della sua perfettibilità.

Speriamo che il libro di Scheffler sia tradotto in Francia e che ci si ispiri ad esso.

Rispondi