GIUSEPPE E IL SUO AMICO (BAYARD TAYLOR) CAP. 1

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GIUSEPPE E IL SUO AMICO (BAYARD TAYLOR) CAP. 1

Messaggio da progettogayforum » domenica 14 maggio 2017, 15:39

Ho cominciato da poco (12 maggio 2017) a lavorare ad un nuovo progetto, ossia alla traduzione di un romanzo di Bayard Taylor (1825-1878). Il romanzo è del 1870 e si intitola “Joseph and his friend” – A story of Pennsylvania. Perché questa scelta? Basti dire che Roger Austen, nel 1977, definì “Joseph and his friend” il primo romanzo gay d’America [Playing the Game: The Homosexual Novel in America. Indianapolis: Bobbs-Merrill. pp. 9–10].
Certo non fu il romanzo più acclamato di Taylor, anche se fu ripubblicato più volte e tradotto anche in Tedesco, da molti fu ritenuto inopportuno e se ne diedero letture molto letterarie che tendevano a svalutare la dimensione omosessuale del libro. Taylor si era sposato due volte ma aveva vissuto una vita totalmente dedita ai viaggi, e si trattava di viaggi particolarmente impegnativi ai suoi tempi, viaggi in Cina, in Giappone, e un vari luoghi dell’Africa e dell’Asia.
All’apertura del romanzo di legge una citazione del sonetto 144 di Shakespeare,

“Io ho due amori di conforto e di disperazione
Che come due spiriti mi stringono:
Lo spirito migliore è un uomo bello,
Lo spirito peggiore è una donna dal colore oscuro.”

Ma se questo non basta a fare capire il senso del libro, nel quale ovviamente non c’è nulla di esplicito, la prefazione dell’autore fuga ogni dubbio:

“A coloro che preferiscono le immagini tranquille della vita agli avvenimenti sorprendenti, il tentativo di illustrare lo sviluppo del personaggio ai misteri di una trama elaborata e la presentazione degli uomini e delle donne nella loro forza e nella loro debolezza mescolate insieme alla rappresentazione di ideali totalmente virtuosi e di esempi totalmente malvagi, a coloro che sono interessati a vedere le forze morali e intellettuali al lavoro in una semplice comunità di campagna come su un piano in cui l’agire umano è più evidente, a coloro che credono nella verità e nella tenerezza dell'amore dell'uomo per l'uomo, come dall'amore dell'uomo per la donna, che riconoscono le difficoltà che confondono le idee sulla vita e il bisogno di cultura alta e intelligente che prova una grande parte della nostra popolazione di campagna, a tutti costoro non serve alcuna spiegazione su questo libro. Gli altri non lo leggeranno nemmeno.”

La traduzione del titolo in Italiano “Giuseppe e il suo amico” non corrisponde esattamente al titolo inglese, perché il termine “friend” può significare sia amico che amica. Intendo dire che il titolo inglese può fare pensare ad una tipica storia eterosessuale, mentre il titolo italiano non può conservare l’ambiguità di quello originario.
Tanto premesso, vorrei invitare il lettore a tenere presenti alcuni elementi.
La storia è ambientata in Pennsylvania, o meglio nella parte meridionale agricola della Pennsylvania, intorno alla metà del 1800. A quell’epoca la vita media era nettamente più breve di quanto non lo sia oggi, era quindi facile trovare ragazzi molto giovani orfani di entrambi i genitori e affidati a parenti.
L’istruzione, per i ragazzi che crescevano nelle fattorie, era minima e affidata a contesti religiosi.
Il matrimonio era considerato un dovere sociale ineludibile, finalizzato alla buona gestione della fattoria e alla perpetuazione dello stile di vita legato alla terra, ritenuto tradizionalmente il meno corrotto.
La Pennsylvania, specialmente nella parte nord, aveva già subito una prima ondata di industrializzazione e le città cominciavano a distinguersi fortemente, per ritmi di vita e per sviluppo culturale, dagli ambienti delle fattorie del sud.
Tra cittadini e campagnoli non correva troppa simpatia. I contadini ritenevano corrotto e corruttore non solo l’ambiente delle città ma chiunque fosse cresciuto dell’atmosfera delle città.
L’educazione sessuale di un ragazzo di campagna nella Pennsylvania del sud di metà 800 avveniva quasi esclusivamente tramite scambi di informazioni con il gruppo dei pari e, in modo molto limitato e formale, attraverso la tradizione religiosa rigidamente interpretata. L’idea di omosessualità, a livello sociale, in ambiente agricolo, neppure esisteva.
Il primo capitolo del romanzo di Taylor mostra i primi approcci di Giuseppe con la sessualità, tramite discorsi con un suo amico (eterosessuale). Giuseppe è indotto a mitizzare il rapporto con le ragazze e ad assimilare gli atteggiamenti e i comportamenti dei suoi amici, nonostante le sue perplessità.
La traduzione del romanzo sarà pubblicata capitolo per capitolo sui siti di Progetto Gay e in formato PDF sarà disponibile gradualmente (e ovviamente gratuitamente) in edizione sempre più completa nella Biblioteca di Progetto Gay, accessibile direttamente dal Forum di Progetto Gay: index.php

GIUSEPPE E IL SUO AMICO

CAPITOLO I – “GIUSEPPE”
Rachele Miller non rimase nemmeno un po’ sorpresa quando suo nipote Giuseppe si avvicinò al tavolo per la cena, non dalla direzione del fienile e attraverso la cucina, come al solito, ma dalla stanza di dietro in cima alle scale, dove dormiva. Il suo abito da lavoro era scomparso, indossava il suo miglior vestito della domenica, portato con cura insolita, e nell'aria c’erano vaghi profumi di brillantina, quando si sedette al tavolo.
La faccia di Rachele diceva - e lei lo sapeva bene mentre pronunciava ogni singola parola: «Che cosa significa questo?» Giuseppe, da quello che lei vedeva, cercava di comportarsi come se venire a cena in quell’abito completo fosse una cosa abituale per lui; e così lei versò il tè in silenzio. Il suo silenzio, comunque, era eloquente; un centinaio di punti interrogativi non avrebbero espresso il significato di quel silenzio; e Dennis, il manovale, seduto dall'altro lato del tavolo, sperimentò chiaramente la stessa sensazione che qualcosa stesse per accadere, come quando aveva ucciso per errore la gallina marezzata preferita da Rachele.
Prima che il pasto fosse finito, la tensione tra Giuseppe e sua zia era talmente aumentata, per il loro silenzio reciproco, da divenire sgradevole e opprimente per entrambi, ma nessuno dei due sapeva come rompere facilmente quella tensione. C'è sempre molta inutile reticenza nei rapporti tra gente di campagna, e nel caso di questi due la reticenza si era particolarmente rafforzata per la mancanza di qualsiasi rapporto, tranne quello di sangue. Erano piuttosto all’oscuro delle difese, degli impulsi facili e delle capacità elusive della buona società, dove il discorso diventa un'arte; per loro le alternative erano solo due o il silenzio o il modo di esprimersi più chiaro, e ora la prima alternativa aveva neutralizzato la seconda. Entrambi lo sentivano, e anche Dennis, nel suo modo un po’ ottuso, lo sentiva. Anche se non era parte interessata, non si sentiva comunque a suo agio, ma dentro di sé era anche consapevole del suo desiderio di ridere.
La risoluzione della crisi, però, arrivò con il suo aiuto. Quando il pasto fu finito e Giuseppe si accostò alla finestra, tamburellando goffamente sul vetro, mentre sua zia raccoglieva piatti e bicchieri, ritardando a rimuoverli come faceva di solito, Dennis disse, con la mano sulla maniglia della porta: «Devo tirare fuori subito il cavallo?»
«Immagino di sì», rispose Giuseppe, dopo un attimo di esitazione.
Rachele si fermò, con i due cucchiai d'argento in mano. Joseph stava ancora tamburellando sulla finestra, ma con colpetti molto irregolari. La porta si chiuse dietro Dennis.
«Beh», disse lei, con una insolita calma, «uno non è obbligato a vestirsi particolarmente bene per essere ammirato, io comunque, se necessario, gli mostrerei subito tanto rispetto quanto a tutti gli altri. Non dimenticarti di chiedere a Maria se c'è qualcosa che posso fare per lei.»
Giuseppe si voltò, cominciando a parlare e mostrando un atteggiamento di sorpresa piuttosto innocente sul suo volto.
«Perché, zia, di che stai parlando?»
«Non stai andando a vedere da Warne? Hanno vicini che sono per loro più vicini di noi, per stare tranquilli, ma quando un uomo muore, tutti sono liberi di offrire i loro servizi. Era sempre forte nella fede.»
Giuseppe sapeva che era stato colto sul fatto, senza sospettare la manovra della zia. Un colore più brillante si manifestò sul suo viso, fino alle radici dei suoi capelli. «Perché? No!» esclamò; «Sto andando da Warriner per passare la serata, ci sarà una piccola compagnia, un incontro di vicinato, credo che se ne sia parlato da molto tempo, ma sono stato invitato solo oggi, ho visto Bob, nel campo sulla strada.»
Rachele si sforzò di nascondere all'occhio del nipote l'impressione immediata provocata dalle sue parole. Un sorriso contenuto passò sul suo viso, ed immediatamente fu seguito da un allegro sollievo sul viso del nipote.
«Non è forse un momento strano dell'anno per le feste serali?» chiese lei allora, con un tocco di severità nella sua voce.
«Avevano intenzione di farlo al tempo delle ciliegie, ha detto Bob, quando l’ospite di Anna era venuto dalla città.»
«Questo incontro, anzi, io penso!» Rachele esclamò, «è una sorta di celebrazione per ... come si chiama?» Blessing, lo so, ma l'altra? Anna Warriner era lì il Natale scorso e non credo che il suo alto modo di ragionare le sia già uscito dal cervello. Spero che ci mettano un po’ di tempo prima di radicarsi qui! Pace e tranquillità, pace e tranquillità, questo è stato il distintivo del vicinato, ma i modi della città sono il contrario.»
«Tutti i giovani ci stanno andando», suggerì Giuseppe tranquillamente, «e così ...»
«Oh, non dico che tu non ci dovresti andare, questa volta», Rachele lo interruppe: «perché dovresti essere in grado di valutare da solo che cosa è opportuno e appropriato e che cosa no. Mi dispiacerebbe certamente di vederti fare qualcosa o che tu andassi da qualche parte che metterebbe tua madre a disagio se adesso fosse viva. È così difficile essere coscienziosi e preoccuparsi dei doveri di qualcuno senza che sembri che uno si impicci troppo.»
Tirò un profondo sospiro, e diede appena uno sguardo all'angolo del grembiule. La menzione di sua madre ammorbidiva sempre Giuseppe, e nel suo serio desiderio di vivere in modo che la sua vita fosse tale da darle gioia se lei la potesse mai condividere, un velo di dubbio si diffondeva sulla superficie liscia e pura della sua mente. Una vaga consapevolezza della sua incapacità di esprimersi chiaramente sulla questione, senza sembrare insultare la memoria della madre, influiva sui suoi pensieri.
«Ma ricordati, zia Rachele», disse alla fine, «non ero abbastanza grande allora per entrare in società. Lei sicuramente intendeva che avrei dovuto avere un po’ di indipendenza, quando fosse arrivato il momento. Io non faccio più di quello che fanno tutti i giovani del vicinato.»
«Ah, sì, lo so», rispose lei con un tono malinconico, «ma loro ci si sono abituati gradualmente, e soprattutto nelle loro case, e con le sorelle per metterli in guardia; mentre tu sei più giovane dei tuoi anni e non sai nulla dei modi di comportarsi e dei dolori degli uomini e… e delle ragazze.»
Giuseppe sentì dolorosamente che questa ultima asserzione era vera. Sopprimendo l'impulso di esclamare: «Perché io sarei più giovane rispetto ai miei anni?» «Perché sono tanto più "innocente" - che poi significa ignorante - degli altri?» disse sbuffando, con una piccola manifestazione di carattere: «Bene, come faccio a imparare?»
«Con la pazienza e la cura di te stesso. C'è sempre sicurezza nell'attesa. Non voglio dire che non ci dovresti andare questa sera, visto che l'hai promesso, e sei diventato intelligente, ma, nota le mie parole, questo è solo l'inizio. La stagione non fa differenza; la gente di città non sembra mai sapere che ci sono cose come la raccolta del fieno e il mais da lavorare. Loro escono per fare baldoria nel tempo in cui si dovrebbe essere più occupati, e vogliono che noi, gente di campagna, rinunciamo a tutto per il loro piacere. I cavalli d'aratura stanchi devono essere preparati per loro, e le mucche devono aspettare un'ora o due più prima di essere munte mentre loro se ne vanno a spasso; e i polli uccisi quando non sono ancora cresciuti, e anche il bucato e la cottura dei cibo si rinviano quando capita che loro ci si mettano in mezzo. Sono piuttosto gentili e simpatici finché dura; ma vai tu a casa loro in città, sei mesi dopo, e vedi se ti invitano a mangiare qualcosa!»
Joseph si mise a ridere: «Non è probabile», disse, «che io vada dai Blessing per un pasto, o che questa signorina Julia - come la chiamano - interferisca con la nostra stagione del raccolto o con la mungitura.» «Le arie che si danno!» Rachele continuò: «Lei probabilmente pensa che ti sta facendo un favore per il solo fatto che pala con te. Quando i Bishops avevano gente a pensione, due anni fa, uno di loro disse: - Maria me lo ha detto con la sua bocca - "Perché i contadini non seguono tutti il tuo esempio? Sarebbe un bel dirozzamento per loro!" Loro se ne possono stare molto bene a casa loro, e per quanto mi riguarda vorrei che ci restassero.» «Arriva il cavallo», disse Giuseppe. «Mi devo mettere in cammino. Mi aspetto di incontrare Elwood Withers in fondo alla strada. Ma ... per il fatto di aspettarmi, zia ... non c'è bisogno ... » «O, sì, ti aspetterò naturalmente. Le dieci non è troppo tardi per me.»
«Potrebbe essere un po’ più tardi», suggerì lui.
«Non molto, spero; ma se dovesse essere l'alba, aspetterò! Ma tua madre non poteva aspettarsi di meno da me.» Quando Giuseppe si mise in sella, il pensiero della zia, tristemente in attesa del suo ritorno, gli si era già appollaiato come un folletto sulla groppa e gli si aggrappava ai fianchi con artigli d'acciaio. Anche la zia, guardando attraverso la finestra, sentì che le cose stavano proprio così, e, molto sollevata, tornò ai suoi doveri casalinghi.
Lui andò molto lentamente a cavallo lungo il rettifilo, con gli occhi fissi a terra. C'era la ricca vampata arancione del tramonto sulle colline che attraversavano la valle, masse di cumuli ardenti pendevano, sospese, sopra i boschi più lontani, e al di là si aprivano quelle profondità di grigio porpora che sono solite suscitare le fantasie addormentate e le speranze del cuore di un giovane; ma la bellezza, il fascino e la suggestività dell'ora non riuscivano a sollevare il suo sguardo assorto e rivolto verso il basso. Alla fine il suo cavallo, fermandosi all'improvviso al cancello, fece un nitrito di riconoscimento, che trovò risposta. Elwood Withers rideva. «Puoi dirmi dove vive Giuseppe Asten?», gridò, «un vecchio, molto curvo e piegato ad arco.» Anche Giuseppe rise, e arrossì, mentre incontrava il viso forte e amichevole dell'altro. «C'è molto tempo», disse, appoggiandosi al collo del cavallo e sollevando il fermo del cancello. «Va bene, ma ora devi svegliarti: sei abbastanza ben sistemato per fare una bella figura stanotte». «O, senza dubbio!» rispose seriamente Giuseppe; «Ma che tipo di figura?» «Ho sentito dire che certe persone possono guardarsi nello specchio ogni giorno e non capire mai come appaiono agli altri. Se tu apparissi a te stesso come appari a me, non mi avresti fatto questa domanda.»
«Se solo potessi non pensare assolutamente a me stesso, Elwood, se potessi essere imparziale quanto te ... ».
«Ma io non lo sono, Giuseppe, ragazzo mio!» Elwood lo interruppe, cavalcando più vicino e mettendo una mano sulla spalla dell'amico. «Ti dico che indebolisce il mio cuore entrare in una stanza piena di ragazze, anche se conosco ciascuna di loro. Loro lo sanno pure, e, timorose e silenziose come sembrano, sono spietate. Si siedono lì, tutte sembrano così diverse, in qualche modo, anche le sorelle e le cugine di un collega, che riempiono tutti i lati della stanza, stringendosi un po’ e sussurrando un po', ma tu senti che ciascuna di loro ha i suoi occhi su di te, e sarebbe felice di vederti eccitato. Non c’è difesa per tutto questo; dobbiamo crescere insensibili a tutto questo, e allora come può fare un uomo a sposarsi?» «Elwood!» chiese Giuseppe, dopo un momento di silenzio, «ti sei mai innamorato?»
«Beh», Elwood fermò il suo cavallo per la sorpresa, «beh, ci sei andato giù pesante. Mi stai togliendo il fiato dal corpo. Se sono stato innamorato? Se ho commesso omicidio? Sono entrambi segreti mortali!»
I due si guardarono in faccia. Gli occhi di Elwood risposero alla domanda, ma quel grande, timido e totalmente innocente Giuseppe non poteva leggere la risposta.
«È facile da capire, non lo sei mai stato», disse Elwood, lasciando cadere la sua voce in una gentilezza dolorosa. «Se ti dicessi di sì, che a me è capitato, allora cosa mi diresti?»
«Allora ti chiederei, come lo hai capito? Intendo, come hai cominciato ad accorgertene? Qual è la differenza tra questo e la sensazione che provi nei confronti di una simpatica ragazza con cui ti piace stare?» «C’è tutta la differenza nel mondo!» Elwood esclamò con energia, poi si fermò e inarcò le sopracciglia con aria perplessa. «Mi possano fucilare se so esattamente che altro dire; non ci ho mai pensato prima. Come faccio a sapere che sono Elwood Withers? Sembra altrettanto semplice, eppure ... beh, per una cosa, lei è sempre nella tua mente, e tu pensi e sogni di nient'altro che di lei; e preferisci che l'orlo del suo vestito ti sfiori che baciare qualsiasi altra; e tu vuoi stare vicino a lei, e avere lei tutta per te, ma è difficile dirle una parola ragionevole quando state insieme, ma che cosa si fa? Un uomo deve sentirlo lui stesso, come dicono di quando si sperimenta la religione; deve convertirsi, o non lo saprà mai. Ora, non credo che tu abbia capito una sola parola di quello che ho detto!» «Sì!» rispose Giuseppe: «Credo sia proprio così. È solo un aumento di quello che tutti proviamo verso alcune persone. Da un po’ di tempo spero che possa accadere me, ma ... ma…»
«Ma il tuo tempo verrà, come per ogni uomo», disse Elwood «e forse prima di quanto pensi. Quando succederà, non dovrai chiedere a nessuno, anche se credo che dovrai dirlo a me, dato che mi hai strappato il mio segreto.» Giuseppe sembrava serio.
«Non importa; non ero obbligato a permettertelo. So che sai tenere la bocca chiusa e sei onesto, Giuseppe; e poi io non chiederò mai la tua fiducia a meno che tu non possa darmela tanto liberamente come io ti do la mia.»
«La mia fiducia l’avrai, Elwood, se mai il mio tempo arriverà. E non posso fare a meno di desiderare quel tempo, anche se può non essere quello giusto. Sai come si è soli nella fattoria, eppure non è sempre facile per me andare via in compagnia. La zia Rachele ha per me il posto di mia madre e forse è semplicemente naturale che lei sia molto preoccupata; comunque, vedendo ciò che ha fatto per me, mi trattengo dall’oppormi troppo ostinatamente ai suoi desideri. Ora, stanotte, la mia uscita non le sembrava giusta, e non devo togliermi dalla mia mente che lei sta aspettando e, forse, si sta affliggendo per colpa mia.» «Un giovane uomo della tua età non deve essere così tenero», disse Elwood. «Se avessi tuo padre e tua madre, ti permetterebbero di più di una qualche forma di autonomia. Guardami, con il mio! Perché io non dico mai tutto quello che dici tu "del tuo andar via". Al contrario; fintanto che il lavoro non è scoraggiato, loro sono piuttosto lieti che tristi di farmi andare fuori; e la casa è due volte più vivace perché ci porto tanti nuovi pettegolezzi. Ma alla fine ho avuto una educazione brusca.»
«Vorrei averla avuta anche io!» Esclamò Giuseppe. «Tuttavia, no, quando penso a mia madre, è sbagliato dire una cosa simile. Quello che voglio dire è che vorrei prendere le cose con la stessa facilità con la quale le prendi tu, fare la mia strada coraggiosamente nel mondo, senza restare indietro trattenuto da sciocchezze, o essere confuso da ogni sorta di dubbi. Quanto più sono ansioso di fare cose giuste, tanto più sono incerto nel capire quali siano le cose giuste. Non credo che tu abbia problemi di questo tipo.»
«Beh, da parte mia, faccio come fanno gli altri compagni; non peggio, credo, e probabilmente non meglio. Devi anche considerare che sono un po’ più arrogante, al di là dell’educazione, e questo fa una differenza. Non cerco di tenere in equilibrio le bilance al grammo; se c'è una manciata in più o in meno, penso che siamo abbastanza vicino all’equilibrio. Tuttavia tra poco starai bene. Quando troverai la ragazza giusta e la sposerai, questo fatto metterà su di te un nuovo volto. Non c'è niente di meglio di una moglie acuta e molto sveglia, così dicono, per mettere un uomo sulla strada giusta. Non trasformare in una montagna di ansia un pochettino di inesperienza. Mi prenderei tutti i tuoi dubbi e molto altro, ne sono sicuro, se solo potessi avere insieme con essi una fattoria di duecento acri.»
«Lo sai», esclamò con entusiasmo Giuseppe, con gli occhi azzurri che lampeggiavano nel tramonto, «Ho pensato spesso quasi la stessa cosa! Se dovessi amare, se dovessi sposarmi ...» «Zitto!» lo interruppe Elwood: «So che non vuoi che gli altri ti sentano. Stanno venendo qui due lungo la strada di fianco.» I cavalieri, figli del contadino vicino, si unirono a loro; salivano insieme il poggio a cavallo verso i la villa dei Warriner, le cui luci scintillavano a intervalli tra gli alberi, il cancello era aperto e una dozzina di carrozze si potevano vedere nel recinto tra la casa e il fienile. Forme brillanti e svolazzanti erano visibili nel portico.
«Basta vedere», sussurrò Elwood a Giuseppe, «che mazzolino assortito di colori! Potresti essere sicuro che tutte ci guardano. Nessun indietreggiamento, ricordati; subito alla carica! Andiamo avanti insieme, e non sarà poi così difficile per te.»

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Re: GIUSEPPE E IL SUO AMICO (BAYARD TAYLOR) CAP. 1

Messaggio da agis » domenica 14 maggio 2017, 19:00

^_^ Interessante. L'autore non era gay almeno, per quanto è dato sapere, stricto sensu. Verrebbe da interrogarsi su eventuali differenze quacchere nel campo della morale sessuale rispetto ad altre correnti puritane. Argomento di cui non so nulla. Bisognerebbe che lo chiedessi agli amici americani. Purtroppo quello che potrebbe saperne qualcosa, un signore della nostra età che vive a Philadelphia, son mesi che non lo sento più. Vabbè. L'originale dove l'hai beccato?

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Re: GIUSEPPE E IL SUO AMICO (BAYARD TAYLOR) CAP. 1

Messaggio da progettogayforum » domenica 14 maggio 2017, 19:59

L'autore ha pubblicato il romanzo quando aveva ormai 45 anni (è morto a 53), è vero che si è sposato due volte, la prima a 24 anni, ma la moglie è morta di tubercolosi dopo pochissimo tempo, la seconda volta a 32 anni ma non mi risulta che ci fossero figli né dal primo né dal secondo matrimonio. Il primo matrimonio durò pochissimo, non più di due mesi, e fu celebrato in tutta fretta, dopo un lunghissimo periodo di fidanzamento, quando la ragazza vide peggiorare velocemente il suo stato di salute, al matrimonio furono presenti solo i genitori della moglie e la madre di Taylor. Il secondo matrimonio durò una ventina d'anni, ma questo di per sé non dice molto perché anche John Addington Symonds era sposato e aveva due figlie, e anche Wilde era sposato e aveva figli.
Sul fatto che Taylor fosse omosessuale non ci sono però dubbi.
Keith Stern, in "Queers in History", ha dimostrato sulla base di prove di archivio, che l'amore della vita di Taylor fu George Henry Boker, anche se si trattava di due uomini sposati. Mitchell Gould riporta un brano di una lettera di George Boker, banchiere americano, diplomatico e poeta, scritta a Taylor nel 1856 in cui diceva: “Non ho mai amato qualcosa di umano come amo te. È una gioia e un onore per il mio cuore sapere che questo sentimento è ricambiato" [never loved anything human as I love you. It is a joy and a pride to my heart to know that this feeling is returned.]
È in effetti molto difficile (anche se teoricamente possibile) che un non omosessuale possa scrivere un romanzo serio in cui affronta in tema dell'omosessualità dall'interno e il caso di Taylor non fa che confermarlo.

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Re: GIUSEPPE E IL SUO AMICO (BAYARD TAYLOR) CAP. 1

Messaggio da agis » domenica 14 maggio 2017, 21:20

Bene. Grazie. Aspetto il seguito. Esiste, a mio avviso, e non da ieri, sempre una incertezza definitoria sul piano mentale tra i momenti affettivo-sentimentali e quelli più strettamente sessuali. In questo senso non credo ci siano particolari preclusioni fatta salva ovviamente una minima capacità osservativa del genere umano nel suo complesso per un non omosessuale a scrivere di omosessualità o vice versa. La triade amicizia/affetto/amore cui si potrebbe aggiungere l'empatia mi pare complessivamente patrimonio comune dei generi. Non certamente così la galassia dei drives e delle varie fantasie a sfondo sessuale che è un campo la cui negligenza a certi livelli potrebbe far pensare alla pervicace persistenza di una sessuofobia ancora profondamente interiorizzata a monte di quella omofobia che rappresenta il nostro diretto problema personale. Ma il discorso è complesso e lo chiuderei qui.
Ciao

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Re: GIUSEPPE E IL SUO AMICO (BAYARD TAYLOR) CAP. 1

Messaggio da progettogayforum » domenica 14 maggio 2017, 21:59

Certo, chiunque può scrivere di qualsiasi cosa, ma non credo che uno scrittore eterosessuale, per quanto abile osservatore, possa andare così in fondo nel capire e nel descrivere la vita di un giovane omosessuale. Va tenuto presente che il libro viene pubblicato nel 1870 e che all'epoca la conoscenza della realtà omosessuale poteva venire solo dal'esperienza diretta, perché non c'era nessun'altra fonte attendibile. Certamente i sentimenti che intervengono in una relazione tra due uomini sono affini a quelli che intervengono in una relazione tra un uomo e una donna, ma direi che non sono affatto sovrapponibili, credo nemmeno a livello affettivo. Taylor cerca di capire che cosa spinge un omosessuale della metà dell'800 a sposarsi comunque, e quanto possa essere difficile in quell'epoca e in quella società cercare di costruire una relazione omosessuale seria. Questi temi, per Taylor non sono letteratura, ma vita vissuta, sono i temi fondamentali della sua vita affettiva. Indubbiamente Taylor ha precorso i tempi e ha fatto quello che si sentiva moralmente impegnato a fare, peccato che la società non fosse ancora matura per prendere seriamente quei contenuti. Oggi, a distanza di 150 anni, possiamo capire meglio il valore morale di quel romanzo.

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