GAY E EDUCAZIONE SESSUALE

Il dialogo e la comprensione reciproca tra genitori e figli gay, la famiglia come luogo di vera crescita per i ragazzi gay
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GAY E EDUCAZIONE SESSUALE

Messaggio da progettogayforum » domenica 13 gennaio 2019, 21:22

Questo post cercherà di riassumere gli effetti dell’educazione sessuale sulla sessualità dei gay.
Prima di tutto è necessario definire un concetto di educazione sessuale. Partiamo da un presupposto: Lo studio dello sviluppo della sessualità indica che essa ha una base genetico-epigenetica che risulta sostanzialmente definita già in utero e al massimo nel periodo perinatale. Questa impronta genetico-epigenetica determina non solo il sesso, cioè l’appartenenza di genere in termini anatomici e fisiologici, ma anche l’identità di genere, cioè la percezione dell’appartenenza di genere e l’orientamento sessuale.
La consapevolezza della sessualità, i relativi modelli, le manifestazioni più o meno represse della sessualità nel corso degli anni, e le conseguenze a livello psicologico individuale, risultano invece in gran parte determinate dall’interazione, prima familiare e poi sociale, che possiamo chiamare “educazione sessuale” e che non è limitata solo ad una parte della vita, ma segue l’evoluzione dell’individuo col procedere dell’età.
Il fatto che la sessualità, intesa nei suoi aspetti più profondi, sia strettamente connessa con l’affettività induce a considerare l’educazione sessuale come una parte integrante dell’educazione affettiva.
Un concetto, in campo educativo, non va mai dimenticato: l’educazione agisce sulla base di un substrato biologico individuale genetico-epigenetico ma anche legato alle fasi di sviluppo, alle eventuali patologie e molti altri fattori. Educare significa fare sviluppare le potenzialità di un individuo “rispettandone in primo luogo l’identità biologica”. Un bravo giardiniere sa che ponendo un melo nelle condizioni ideali per la coltivazione dell’albicocco, non solo non si otterranno albicocche dal melo, ma il melo soffrirà molto e potrà anche morire. Coltivare un albero significa capire prima di tutto di che albero si tratta e poi fornirgli le cure idonee per quello specifico albero. Così è anche per le persone.
Partiamo dalla dimensione familiare, cioè dall’educazione affettivo-sessuale in famiglia
La famiglia è il primo ambiente col quale un bambino comincia a costruire relazioni. Il bambino per poter cominciare a provare una gratificazione affettiva deve percepire il senso di accoglienza e di cura affettuosa da parte dei genitori. Se il bambino è oggetto di scontro (bambino non voluto, dalla paternità dubbia, oggetto di contesa tra i genitori e i nonni o tra gli stessi genitori), avverte di non essere al centro della vita familiare e comincia a sperimentare in tenerissima età la sensazione di marginalità e di abbandono.
Percepire il disaccordo tra i genitori è di per sé traumatico è trasmette in modo automatico, per imitazione, un modello di comportamento non affettivo ma competitivo, stimola per un verso l’aggressività e per l’altro il senso di frustrazione. Il bambino avverte altresì istintivamente la discordanza tra le parole e comportamenti. Coccolare per un po’ un bambino e poi abbandonarlo da solo nel girello o davanti al televisore non suscita solo il senso dell’abbandono ma fornisce un modello iniziale di falsità: “Ti voglio tanto bene, però tu te ne devi stare buono e da parte perché io ho altro da fare!” Il discorso è sostanzialmente incoerente e falso perché mette insieme dichiarazioni d’affetto e comportamenti che manifestano disinteresse.
Spesso le frustrazioni dei genitori, i loro atteggiamenti rivendicativi, il loro attribuire colpe a questo o a quello, il loro giustificare solo se stessi, trasmettono al bambino la sensazione dell’inaffidabilità del genitore che comincia ad essere un punto di riferimento vacillante. Niente è poi peggio che alzare la voce per imporre il proprio punto di vista, e non voglio neppure parlare della possibile violenza fisica in famiglia, che è vissuta dal bambino in modo devastante: un padre che strattona la madre, che le dà uno schiaffo, una madre che fa scene isteriche e urla contro il marito, rappresentano modelli che il bambino interiorizzerà, o per imitazione o per contrasto, identificandosi a seconda delle situazioni come persona aggressiva o come vittima, e questo lo allontanerà dalla ricerca di un contatto affettivo, che è la vera finalità dell’educazione affettiva.
Ci sono parecchi altri comportamenti, apparentemente neutri, che trasmettono al bambino un senso di insicurezza:
1) Un genitore che parla al singolare contrapponendosi all’altro (“io …, mentre tua madre …”). L’uso del noi trasmette l’idea di famiglia affettiva, di armonia, di solidarietà.
2) Il parlare troppo spesso di denaro o di chi porta a casa i soldi, di gerarchie sociali che non vedono i genitori alla pari.
3) Parlare male di altre persone che il bambino conosce.
3) Mostrare che con l’altro genitore è difficile o impossibile parlare, che ha dei difetti, che non cura gli interessi della famiglia e, peggio del peggio, che non si cura dei figli. La presenza dei genitori nella vita dei figli piccoli, fino alla preadolescenza, dovrebbe essere costante, affettuosa, dialogante e mai impositiva.
Una considerazione particolare deve essere riservata alla gestione dei conflitti familiari che possono presentarsi e anzi immancabilmente si presentano in famiglia nel corso degli anni. Può trattarsi dei conflitti dei genitori con altri parenti, dei genitori tra loro e anche dei conflitti tra genitori e figli. La gestione dei conflitti deve essere sempre discorsiva e condivisa, nessuna forma di violenza, neppure verbale, può essere ammessa per nessuna ragione. Il riconoscere le ragioni dell’altro e cercare la conciliazione non indica affatto debolezza ma l’esatto contrario. Il bambino deve rendersi conto che il genitore può vedere le cose in un altro mondo e che è possibile parlarne per trovare un punto di equilibrio, senza arrivate a rotture.
L’educazione affettiva subisce un vulnus violento quando il rapporto genitori-figli è dominato dalla paura delle reazioni violente del genitore. Ancora peggio è l’idea che un genitore invochi la presenza dell’altro per indurre paura nei figli, in classico: “Lo dico a tuo padre!”
Col crescere, un elemento assume particolarmente importanza: la confidenza, che deve essere accompagnata dalla riservatezza da parte del genitore. Se un genitore riceve una confidenza del figlio, deve tenerla per sé, se non lo facesse, indurrebbe il figlio ad interrompere immediatamente il rapporto di confidenza col genitore per non riprenderlo più. Qualunque atteggiamento che manifesti la tendenza del genitore ad abbandonarsi al pettegolezzo, lo svaluta agli occhi del figlio e riduce le possibilità di dialogo.
Un criterio generale va sempre tenuto presente: l’educazione opera attraverso l’esempio, non attraverso le parole: i figli tendono ad assimilare e ad imitare i comportamenti dei genitori, non a mettere in pratica quello che i genitori dicono a parole ma non fanno essi stessi.
Quanto fin qui detto, come è facile capire, richiede da parte dei genitori una maturità affettiva sostanziale che troppo spesso si dà per scontata, presupponendo che il genitore sia sempre sostanzialmente all’altezza del compito educativo e che al massimo abbia bisogno di una formazione mirata al ripensamento cosciente dei contenuti e dei metodi educativi, talvolta però, e non molto raramente, questi presupposti non si verificano, in alcuni casi perché gli stessi genitori sono stati a loro volta educati (ammesso che questa parola si possa usare in queste situazioni) con metodi del tutto impropri e sostanzialmente diseducativi, e in altri casi perché uno o entrambi i genitori possono essere soggetti psicopatologici (per esempio paranoici o perversi narcisisti). Mentre nel primo caso è possibile nei confronti del genitore un’azione concreta (anche se di lunga durata e dagli esiti incerti) di riorientamento o di rieducazione dell’adulto, nel secondo tale azione è sostanzialmente impossibile e il rapporto educativo genitore - bambino può trasformarsi in un quadro di violenza familiare e di abuso, fino alle conseguenze più estreme. Va sottolineato che le violenze e gli abusi familiari messi in pratica da genitori paranoici o perversi narcisisti spessissimo non sono visibili all’esterno e creano nei figli stati di sofferenza molto profonda con conseguenze non prevedibili anche a lungo termine.
Educazione sessuale del bambino
I bambini, oggi, sono bombardati fin dalla più tenera età da immagini a sfondo più o meno erotico e molto spesso cominciano a interessarsi alla sessualità in modo molto astratto ben prima dell’adolescenza, assimilano così, proprio in tenerissima età, visioni molto banalizzanti della sessualità come “gioco proibito”. I pedagogisti si sono preoccupati spesso di come trasmettere ai bambini un concetto più corretto di sessualità: tipico è il modello del fiore, dell’impollinazione e del frutto, ma in questo modo c’è il rischio, per i gay tutt’altro che indifferente, di fornire un concetto di sessualità esclusivamente finalizzato alla riproduzione, in questo modo si trasmette in nuce anche il concetto di ruolo sessuale, di maschietto e femminuccia, e di comportamento tipicamente maschile e tipicamente femminile, facendo passare per naturali e scontati atteggiamenti culturali spesso molto discutibili.
Abituare una bambina all’idea che la femminilità comporti i tacchi alti e il trucco significa falsare in partenza il concetto, analogamente pensare che il ragazzino debba interessarsi per forza al calcio e a certi tipi di giochi è di per sé fuorviante. È molto facile osservare che in una classe scolastica di bambini ancora non preadolescenti, i maschietti tendono a giocare tra loro a giochi “da maschietti” e le femminucce tendono analogamente a giocare tra loro a giochi “da femminucce” tutto questo è il risultato di una educazione ai ruoli sessuali, come la società li intende, che comincia dalla più tenera età. Il bambino prima della pubertà manifesta talvolta una tendenziale affettività etero, che comporta interesse a stare con bambine, a parlare con loro, a giocare con loro, oppure una tendenziale affettività gay, che comporta interesse a stare con altri bambini, a parlare con loro e a giocare con loro. Questi comportamenti sono le prime manifestazioni dell’orientamento sessuale, non sono ancora coscienti, ma sono elementi sui quali si dovrebbe riflettere molto e ai quali si dovrebbe prestare la massima attenzione, ma, devo dirlo molto chiaramente, mai un’attenzione repressiva. Vorrei sottolineare che la trasmissione di modelli legati ai ruoli deforma e spesso soffoca del tutto queste tendenze spontanee e tende a far prevalere la tendenza alla omologazione, basata sul timore della marginalità all’interno del gruppo dei pari. Nella memoria di moltissimi gay rimane ben impresso il ricordo delle prime amicizie affettuose con altri bambini e spesso degli atteggiamenti preoccupati dei genitori di fronte ad esse. Stiamo parlando di amicizie tra bambini, non ancora preadolescenti che, se non totalmente condizionati dall’educazione, cominciano a manifestare segni di omoaffettività o di eteroaffettività.
I genitori, ai quali manca spesso un orizzonte più largo sulla sessualità, considerano se stessi come unico possibile modello per la sessualità dei figli. L’idea che i figli non sono e non possono essere una fotocopia dei genitori stenta ancora a farsi accettare. È proprio per questo che alcuni comportamenti dei figli mettono in allarme i genitori e fanno scattare un cortocircuito comunicativo che finisce per interrompere la fiducia ed instaurare atteggiamenti di sospetto. Il bambino che gioca con le bambole o si mette le scarpe coi tacchi della mamma o la parrucca o si traveste da donna, in genere, solleva qualche interrogativo nei genitori, e questo succede a più forte ragione se due bambini sviluppano forme di amicizia molto stretta. A parte il fatto che si tratta di fenomeni del tutto diversi, perché il primo rimanda all’identità di genere e il secondo all’orientamento sessuale, è molto probabile che il bambino avverta in queste situazioni la preoccupazione del genitore che si manifesta attraverso limitazioni, divieti o semplici rimozioni.
Il criterio di fondo di una buona educazione sessuale consiste nel favorire lo sviluppo spontaneo dell’affettività e della sessualità, evitando comportamenti repressivi o sanzionatori. Il genitore di fonte a comportamenti che non sono quelli che si sarebbe aspettato si prefigge lo scopo di “correggere”, di “guidare” i comportamenti del figlio, di “difenderlo” da influenze pericolose, questo atteggiamento, che è perfettamente comprensibile, è accettabile, positivo e necessario, se “correggere” significa dimostrare con l’esempio come si possa avere affetto e rispetto per gli amici, senza pretendere troppo e senza venire meno ai propri doveri verso quegli amici, se “guidare” significa spiegare, fare capire il senso dei rapporti affettivi anche nella vita adulta, per esempio ricevendo cordialmente e affettuosamente i propri amici, se “difendere” dalle influenze pericolose significa abituare i figli a non banalizzare, a non strumentalizzare l’amicizia, a prenderla sul serio e a rispondere adeguatamente quando se ne presenta la necessità, ma “correggere” significa per molto genitori solo reprimere, “guidare” significa togliere la libertà e “difendere significa segregare.
Vorrei sottolineare che i segni della omoaffettività sono in genere molto precoci e reprimerli significa indurre sensi di colpa e di sottomissione del bambino che comincia a considerarsi sbagliato. La repressione della omoaffettività infantile si manifesta talvolta in modo esplicito, altre volte tramite un tentativo sistematico di allontanare il bambino dai contesti in cui quella omoaffettività tende a dimostrarsi: se il bambino ha sviluppato una forte amicizia verso un altro bambino o anche verso un ragazzo un po’ più grande durante le vacanze estive al mare, l’anno successivo invece di andare al mare la famiglia andrà in montagna.
Un tema delicatissimo, in questo ambito e la prevenzione della violenza e degli abusi sessuali. Chiaramente la segregazione del bambino raggiunge lo scopo ma al costo di una totale repressione della libertà individuale. Il vero problema sta nell’evitare i rischi (che non sono solo di fantasia) lasciando al bambino una libertà commisurata alla sua età. Lasciare un bambino (sotto i 12-13 anni) da solo per l’intera giornata insieme con i suoi compagni di giochi, lo espone a pericoli oggettivi, dei quali può non rendersi conto. Ma se gli abusi sessuali perpetrati da soggetti pedofili esterni sono in genere i più temuti, l’esperienza insegna che gli abusi sono messi in pratica solo eccezionalmente da parte di estranei e per la maggior parte si concretizzano in ambiente familiare. Parcheggiare dalla mattina alla sera i figli presso parenti o amici significa abbandonarli a situazioni che possono essere oggettivamente rischiose. Prima dei 12-13 anni è bene che il bambino trovi i suoi spazi per la maggior parte con la presenza dei genitori: i genitori parlano in salotto, i bambini giocano nella stanza accanto. I genitori danno in questo modo un esempio di socialità ai figli e lasciano loro degli spazi di libertà commisurati all’età. Oltre l’età dei 12-13 anni, il rischio degli abusi non cessa perché gli abusi possono essere commessi anche verso adolescenti o preadolescenti sia da parte di familiari che da parte di educatori, sacerdoti o insegnanti, specialmente in contesti il cui il minore convive con altri coetanei per fini di educazione o di cura. Un’attenzione tutta particolare andrebbe dedicata alla educazione all’uso responsabile del web per i rischi di adescamento che i minori possono correre in rete. È importante essere vigili per poter cogliere segnali di turbamento, di allarme o di esaltazione nel proprio figlio, parlarne con lui, se è possibile, e rivolgersi alla Polizia postale o al Commissariato di zona per riceve comunque assistenza quando ci si trova di fronte a situazioni pericolose. Ovviamente la migliore prevenzione dei rischi di adescamento in rete si realizza proprio attraverso la consapevolezza del rischio, l’abitudine a ragionare sempre prima di agire e l’abitudine alla tutela della privacy propria e altrui e su questi aspetti l’educazione ha un’influenza decisiva.
Quando un bambino manifesta le prime forme di curiosità in relazione alla sessualità, la cosa va presa con serietà, evitando di banalizzare e di manifestare atteggiamenti evasivi. È essenziale che la sessualità non venga mai staccata dalle sue implicazioni affettive e non venga ridotta alla sola finalità procreativa. Il bambino deve familiarizzarsi con l’idea di una sessualità che non è un gioco proibito ma una manifestazione di affetto verso un’altra persona. Molti genitori non dimostrano mai davanti ai figli comportamenti affettivi espliciti, per esempio, il papà e la mamma non si abbracciano davanti ai figli e evitano qualsiasi contatto fisico tra di loro, anche le semplici carezze, altri invece si lasciano andare a forme di gioco più o meno sessuale davanti ai figli che in questo modo si sentono esclusi dal rapporto coi genitori. Ovviamente bisogna trovare un equilibrio tra questi atteggiamenti opposti: le carezze e le affettuosità spontanee tra i genitori, le coccole, che si concludono con il coinvolgimento anche dei bambini nelle affettuosità dei genitori sono estremamente positive nella stabilizzazione dell’umore e nello sviluppo armonico del carattere del bambino. Il letto matrimoniale deve diventare un ambiente non esclusivo dei genitori, ma un ambiente in cui anche i bambini possono essere ammessi. Il contatto fisico coi genitori, commisurato all’età del bambino, deve portare all’idea dell’abbraccio affettuoso tra adulti, che esprime partecipazione e simpatia.
Vengo ora ad uno dei punti chiave del discorso: come affrontare il tema dell’omosessualità. Il genitore che si trova ad affrontare per la prima volta in modo esplicito il discorso col figlio non deve mai dimenticare che se si dà per scontato che il proprio figlio sia etero, in 8 casi su 100 si sbaglia. Trasmettere messaggi positivi sulla omosessualità non induce certamente gli eterosessuali a diventare omosessuali, mentre può aiutare gli omosessuali a crescere accettando senza complessi di essere omosessuali. Molti genitori ritengono che l’educazione specificamente sessuale dei figli non sia compito loro e che debba essere delegata alla scuola, alla chiesa, ai medici e ad altre agenzie educative, come se la sessualità fosse un oggetto di studio o una questione di fede o di tutela della salute. Ovviamente tutti questi aspetti non sono estranei alla sessualità, che, però, è una realtà molto complessa che non si può considerare soltanto sotto prospettive settoriali. La sessualità è una componente della vita ordinaria di tutti ed uno dei contenuti essenziali di un rapporto educativo serio. Mi occupo di omosessuali da molti anni e ho visto spessissimo uomini adulti gay, ancora profondamente condizionati dai rapporti conflittuali coi genitori dovuti alla omosessualità. La grande maggioranza degli omosessuali non pubblicamente dichiarati, parla della propria omosessualità solo con pochi amici fidatissimi, mentre quelli che ne parlano apertamente in famiglia sono rarissimi, forse oggi meno che dieci anni fa, ma si tratta comunque di strette minoranze. Per un ragazzo gay, parlare con i propri genitori e trovare il loro rispetto e il loro affetto anche in un’atmosfera di chiarezza è una cosa assolutamente fondamentale e stabilizzante. L’incomprensione e il rifiuto lasciano invece tracce profonde e complicano molto la conquista di una vera autonomia da parte dei figli. Aggiungo una cosa fondamentale: un ragazzo gay che si sente accettato in famiglia non avrà bisogno di andare a cercare altri ambienti in cui trovare comprensione e tenderà a sviluppare la sua vita affettiva senza nascondersi e per questo correndo oggettivamente molti meno rischi. Quando un ragazzo gay presenta il suo ragazzo ai genitori (cosa un tempo impensabile e ora sempre più possibile) realizza al 100% la dimensione della normalità della sua affettività – sessualità. Gli atteggiamenti sorpresi, reticenti, perplessi o ostili da parte dei genitori minano fortemente l’autostima dei figli e creano fratture spesso insanabili.
Vorrei toccare un ultimo argomento molto delicato. Talvolta i ragazzi che crescono, siano essi gay o etero, si trovano a scoprire in sé pulsioni che li mettono in allarme, classici sono gli esempi delle fantasie sessuali relative a persone molto più grandi, delle fantasie pedofile, di quelle sadiche o masochiste, di quelle rivolte all’interno della propria famiglia. È oggettivamente molto difficile che argomenti di questo genere entrino esplicitamente nei discorsi tra genitori e figli concernenti la sessualità, perché se il timore di reazioni negative di fronte alla omosessualità è già forte, il timore di reazioni negative di fronte a quei contenuti può esserlo molto di più. Il tema della pedofilia può essere affrontato seriamente evidenziando i danni oggettivi gravissimi che quei comportamenti possono provocare ma anche il fatto che quelle tendenze possono esistere anche in persone ottime che mai li metterebbero in pratica. Se c’è un atteggiamento che un genitore deve dimostrare sempre di fonte a queste cose, non può che essere quello di distinguere nettamente le fantasie, che non si possono controllare, dalle azioni che si possono e si devono controllare. Un discorso simile si può fare rispetto alle fantasie sadiche e a quelle incestuose. Relativamente ai rapporti intergenerazionali bisogna evitare di confonderli con forme larvate di pedofilia, perché si tratta di rapporti tra adulti consenzienti anche se di età molto diversa. Un atteggiamento corretto di fronte a tutte queste cose aiuta le persone a sentirsi capite e accettate e valorizza la loro moralità e la loro capacità di intendere e di volere e questa è la premessa fondamentale per accettarsi e per essere capaci di autocontrollarsi. Va comunque sottolineato che le fantasie pedofile, delle quali non si parla quasi mai in modo scientificamente corretto, sono una realtà molto complessa e difficile da gestire. In molti casi queste fantasie si riscontrano in adulti che sono stati a loro volta vittime di violenza o abuso sessuale. Va chiarito che, pur essendo le fantasie e le azioni cose distinte, accade che le fantasie siano o possano essere prodromiche a comportamenti effettivi o possibili, che, anche solo considerati come ipotesi, possono provocare livelli di sofferenza profonda. Scivolare dalle fantasie ai comportamenti pedofili può talvolta diventare facile e quasi scontato. Il turismo sessuale, ad esempio; può portare l’adulto a cercare partner sempre più giovani dell’uno o dell’altro sesso, producendo uno scivolamento lento ma progressivo verso la pedofilia. L’uso di pedopornografia via internet dovrebbe essere considerato come segno fortemente indicativo di un pericoloso corroborarsi della fantasie, prodromico e possibili comportamenti pedofili. Da quello che apprendo da persone che sperimentano fantasie pedofile sono portato a ritenere che scivolare in comportamenti pedofili occasionali, che possono essere all’origine di fantasie pedofile ricorrenti anche di tipo ossessivo, è certamente possibile anche per persone che non hanno avuto mai in precedenza questo tipo di fantasie. Mi raccontava una persona che sperimentava questo tipo di fantasie: “Prima non avevo mai avito fantasie del genere, poi mi è capitata un’esperienza in cui sarebbe stato facilissimo passare all’azione, ma non è successo, ma fare un passo senza ritorno sarebbe stato facilissimo. E da allora la fantasia mi è rimasta fissa e non mi piace proprio, in qualche modo ha compromesso la mia sessualità per anni perché penso che non ne potrei parlare nemmeno col mio compagno, perché reagirebbe male.” Non entro qui nei possibili aspetti compulsivi della pedofilia ma proprio perché molti uomini che hanno fantasie pedofile ne sono coscienti e hanno paura di poter mettere in pratica comportamenti pedofili, in alcuni paesi (in Germania in Inghilterra e negli USA) esistono servizi di supporto che si occupano di prevenzione provvedendo a fornire sostegno psicologico specialistico alle persone che ne fanno richiesta perché avvertono in sé tendenze pedofile. A livello educativo generale sussiste ancora un timore ancestrale nei confronti di psicologi e psichiatri che andrebbe eliminato portando le persone a comprendere che si tratta di operatori sanitari che possono fornire supporto psicologico e anche farmacologico quando necessario. L’educazione alla prevenzione, che meriterebbe un esame dettagliato, non si realizza solo nel fornire nozioni sulle malattie sessualmente trasmesse, ma anche nella prevenzione di altri comportamenti rischiosi per sé e per gli altri come quelli pedofili.
Certamente meno sensibili sono le tematiche connesse alla struttura del rapporto di coppia: monogamia, indissolubilità, socializzazione e formalizzazione del rapporto di coppia, rapporto tra amicizia e amore. L’insistere sulla legittimità di un unico modello comportamentale urta contro la realtà della vita affettiva che spesso non è monogama, non è indissolubile né strutturabile. Il senso del rapporto di coppia si assimila per imitazione già in età infantile e, secondo la regola generale, si trasmette attraverso i comportamenti degli adulti e non attraverso i loro discorsi. Non andrebbe mai trascurato l’aspetto relazionale della sessualità per il quale la fondamentale soddisfazione in un rapporto sessuale deriva dal rendersi conto che il nostro partner è realmente coinvolto ed è a sua volta gratificato dal rapporto. Non c’è bisogno di dire che deve trattarsi di rapporti effettivamente voluti in modo consapevole e libero da entrambi i partner.

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agis
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Re: GAY E EDUCAZIONE SESSUALE

Messaggio da agis » lunedì 14 gennaio 2019, 10:00

Bah :evil:
Confessa che stai facendo sviluppo project. Ora se due poveri etero in odor di riproduzione dovessero entrar qui dentro e leggersi tutto sto papocchio mi sa che diventan omo in un microsecondo :lol: Scherzi a parte di tempo per commentare ne ho purtroppo poco. Alcune critiche al tuo impianto ormai dovresti conoscerle e naturalmente ci sono anche punti con i quali concordo pienamente. Magari in futuro mi riuscirà di scrivere qualcosa di meno generico e più articolato. Ciao! ^_^

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