Dalla categorizzazione alla discriminazione

Che cosa significa essere gay
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Cagliostro
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Re: Dalla categorizzazione alla discriminazione

Messaggio da Cagliostro » giovedì 5 maggio 2011, 20:47

barbara ha scritto:Non c’è dubbio che il creare categorie sia un meccanismo necessario per decodificare e rendere "prevedibile" la realtà . La categorizzazione è riconoscere il semaforo rosso ad esempio, gli stereotipi ci aiutano ad orientare il comportamento nelle diverse situazioni . Se non esistessero categorie a cui affidarci , cosa accadrebbe ?
Se non esistessero le categorie accadrebbe che le persone comincerebbero a pensare con la propria testa.
Viviamo in un mondo dove già tutto è inquadrato e dove per forza vogliono infilarci per renderci appunto prevedibili e controllabili. Se l'uomo categorizza è perchè vuole avere il controllo della situazione; ma quando si trova davanti un'altra persona che pensa con la tua testa, che come ha detto Torrismondo ha acquisito un'educazione e un'istruzione e che quindi ha preso coscienza di sè, non riesce a interagire perchè non può controllarla nè inquadrarla in una categoria precisa.
Queste persone si chiamano outsider e riescono a vivere senza necessità di categorie.
L'essere umano appartiene solo a sè stesso: non è bianco, nero, gay, etero, ricco, povero. E' una persona e tanto dovrebbe bastare, ma a quanto pare la necessità e il bisogno di appartenenza impongono la categorizzazione per riuscire a vivere.
Io preferisco continuare a cantare fuori dal coro e vivere senza categorie o etichette.
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Annabel Lee
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Re: Dalla categorizzazione alla discriminazione

Messaggio da Annabel Lee » giovedì 5 maggio 2011, 22:19

Però adesso sono curioso: per cosa stai combattendo? Per rimanere libera di essere ciò che sei o per conformarti al gruppo che ancora non hai trovato?
Rispondimi con sincerità senza usare gli stereotipi del maschilismo e dell’omofobia (non potresti, se visto che parli di categorie, fare riferimento all’omofobia dal momento in cui non sei omosessuale ma bisex e come ha detto Senza Peso che quoto la bisessualità almeno per me non esiste. Esistono solo persone che amano) che sono discorsi OT, se desideri farlo, altrimenti grazie lo stesso per aver espresso la tua opinione.
Al momento sto combattendo per farti capire il mio punto di vista, ma, a parte gli scherzi, perché parti dal presupposto che se uno entra in una categoria automaticamente diventa un deficiente che non sa pensare con la sua testa?
Inoltre, scusa la domanda, ma è un po' che rifletto su questo e il tuo punto di vista m'interessa:
come puoi dire di non essere omologato se appena lo dici passi automaticamente ad omologarti a chi dice di non essere omologato?
E' presa dal mio blog ed è rivolta in modo generico, non prendertela se sembra molto schietta, ma non avrei saputo impostarla meglio. ovviamente intendo in questo caso omologazione interna alle categorie.

Per quanto riguarda maschilismo e omofobia era uno sfogo della giornata che m'è scappato e sono felice che la bisessualità proprio non esista, così sì che una persona fa chiarezza nella sua testa. Vallo a dire ad uno che è nel panico dell'accettazione che la bisessualità non esiste, vedi come ti ringrazia dal profondo. [no, non mi rispondere che se non ci fossero categorie saremmo liberi di amare indipendentemente dal sesso, è vero, ma è un'utopia più utopica delle mie categorie open mind, senza contare che distruggeresti 2000 e passa anni di storia di, per restare in tema, maschilismo convinto.]
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Cagliostro
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Re: Dalla categorizzazione alla discriminazione

Messaggio da Cagliostro » giovedì 5 maggio 2011, 22:47

Annabel Lee ha scritto: come puoi dire di non essere omologato se appena lo dici passi automaticamente ad omologarti a chi dice di non essere omologato?
Quello che tu hai scritto è una tautologia, come spiega Aristotele è una frase mangia frase, un serpente che si morde la coda. Nel momento in cui la pronunci o scrivi è già annullata perché non ha valore.
Io non sono omologato perché non sono alla ricerca di un gruppo di appartenenza, dico sempre quello che penso e rispondo solo delle mie azioni, non parlo per gli altri che non vogliono omologarsi perché comunque sono diversi da me in pensieri, atti e parole.
Il gruppo dei non omologati non esiste, si chiamano non omologati proprio perché non seguono le regole di nessun gruppo e ciascuno ha le sue regole.
Beh mi dispiace, ma per me la bisessualità proprio non esiste e quando tu affermi di aver subito atti omofobici ti contraddici. Sì secondo me le persone che giocano su due sponde sono incoerenti perché sanno benissimo se sono gay o etero. Diciamo che ci giocano sopra. Comunque se ti senti bisex va bene, se vuoi entrare in un gruppo va bene, io sono per la libertà più completa nel rispetto degli altri.
Io non ho intenzione di far cambiare idea a te, tu non riuscirai a far cambiare idea a me, ognuno si tenga le sue convinzioni.
Annabel Lee ha scritto: non mi rispondere che se non ci fossero categorie saremmo liberi di amare indipendentemente dal sesso, è vero, ma è un'utopia più utopica delle mie categorie open mind, senza contare che distruggeresti 2000 e passa anni di storia di, per restare in tema, maschilismo convinto
Vorrei ricordarti che l’amare a prescindere dal sesso è accaduto nella Storia: in Grecia, Egitto e Roma e non era utopie ma fatti. E’ Storia, più vecchia di duemila anni fa.
Ps- in Egitto hanno anche regnato delle donne, un esempio su tutti Cleopatra che non era di certo un uomo.
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Re: Dalla categorizzazione alla discriminazione

Messaggio da barbara » venerdì 6 maggio 2011, 12:34

Il vostro dialogo sembra che opponga tesi antitetiche . Eppure trovo un punto in comune fondamentale fra le due posizioni. Ho l'impressione che entrambi stiate ponendo fortemente il tema dell'identità personale. La teoria che difendete è quella che dal vostro punto di vista permette a voi stessi di rispondere alla domanda :chi sono io.
Se per Cagliostro la risposta alla domanda sta nella possibilità di affermarsi in modo indipendente , libero da una categoria, per Annabel la risposta sta nel poter dare a ciò che sente di essere un nome , condiviso anche da altri. (ditemi se sbaglio eh...??)
Non c'è una strada giusta o sbagliata per affermare la propria identità. La scelta che facciamo proviene dalla nostra storia ; ci sentiamo meglio in una visione proprio perché è in sintonia con le cose migliori che abbiamo vissuto finora ed è distante dalle cose peggiori che abbiamo vissuto . Purché non si danneggino altre persone credo proprio che ognuno abbia il diritto di scegliere quale sia la strada che vuole percorrere, perché in caso contrario sarebbe obbligato ad aderire alla storia di qualcun altro.
In base alla mia esperienza posso dire che molto spesso, quando le persone entrano in conflitto sulle idee in modo così radicale , quello che c'è in gioco è qualcosa che ha molto a che fare con l'identità . Possiamo cedere su tante cose, ma quando si tratta di affermare ciò che noi siamo , allora difendere il nostro punto di vista è così vitale da non riuscire nemmeno per un istante a considerare quello dell'altra persona.
Forse sarà andata O.T. ma mi sembrava una cosa utile da dire.

Nemesis

Re: Dalla categorizzazione alla discriminazione

Messaggio da Nemesis » sabato 7 maggio 2011, 18:31

Che bello trovare un topic stimolante dopo giorni tristissimi in ospedale, grazie Cagliostro, ti meriti un abbraccio! :mrgreen:

Ok evitiamo OT e parliamo dei gruppi.
Indubbiamente il gruppo umano ha la stessa funzione originaria di quello animale: socializzazione, protezione, riproduzione e difesa del territorio. Così funzionava almeno fino a quando l’uomo non è uscito dalle caverne e ha cominciato ad evolversi e lì le cose hanno cominciato a cambiare.
Potere, economia, aspettative sociali e fattori esterni si sono intrecciati nell’evoluzione della società e del comportamento delle persone, così se Seneca scriveva “l’uomo è un animale sociale” ma invitava a rifuggire dalla folla perché “non la puoi affrontare senza pericolo […] e ogni qualvolta esco ritorno a casa diverso da quello di prima”, Lewin nel 1951 inaugura lo studio della psiche sociale con un’equazione valida ancora oggi: C=f(PA) ovvero il comportamento è dato dalla funzione in cui interagiscono le variabili della persona e dell’ambiente.
Come poi ha ben illustrato Cagliostro altri autori hanno approfondito gli studi fino ad arrivare al giorno d’oggi dove la società impone non velatamente due “modelli”: il conformismo e l’emarginazione.
Il conformismo si realizza dall’infanzia attraverso l’educazione ricevuta dai genitori e si consolida nell’età puberale quando si comincia a cercare l’approvazione del gruppo dei pari. Gli esempi più negativi di questo tipo di conformismo si realizzano ad esempio nel bullismo scolastico e nella violenza giovanile. In età adulta poi le persone conformiste cercheranno sempre di appartenere ad una determinata categoria e senza il gruppo non riusciranno a sentirsi né accettate né realizzate.
L’emarginazione invece viene attuata nei confronti di tutte le persone che rientrano nelle minoranze (che ovviamente vengono decise dal gruppo maggioritario secondo criteri discriminatori e pregiudizi) oppure agli outsider e ai borderline, persone che non si possono inserire in specifiche categorie.
Ora siccome penso che Cagliostro desideri anche ricevere un’opinione personale io posso dire di essere un outsider al 100%.
Nessuno è mai riuscito a imbrigliarmi in una categoria definita né a piegarmi alla sua volontà, sin da bambina ho sempre avuto una personalità molto forte e un’intelligenza molto vivace che mi hanno sempre portata a seguire la mia strada e la mia testa, a scapito dell’approvazione altrui. Infatti vivo in solitudine ma non me ne rammarico, perché se dovessi vivere in una categoria mi sentirei in gabbia.
E’ altro quello che mi fa arrabbiare e lo spiego subito: quando incontro una persona non ho mai la possibilità di farmi conoscere e di sentirmi eventualmente dire “sì, conosciamoci meglio” oppure “no guarda non ti reputo una persona con cui potrei andare d’accordo” perché chiunque mi incontri mi inquadra subito in una categoria che io non mi sento addosso: quella degli invalidi. Vedono in me ciò che mi manca, non ciò che sono e posso dare e per questo vengo discriminata.
E’ l’effetto della categorizzazione e finchè le persone mancheranno di cultura, intelligenza e anticonformismo le cose non potranno cambiare.

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Re: Dalla categorizzazione alla discriminazione

Messaggio da Annabel Lee » domenica 8 maggio 2011, 12:00

Cagliostro ha scritto:
Annabel Lee ha scritto: non mi rispondere che se non ci fossero categorie saremmo liberi di amare indipendentemente dal sesso, è vero, ma è un'utopia più utopica delle mie categorie open mind, senza contare che distruggeresti 2000 e passa anni di storia di, per restare in tema, maschilismo convinto
Vorrei ricordarti che l’amare a prescindere dal sesso è accaduto nella Storia: in Grecia, Egitto e Roma e non era utopie ma fatti. E’ Storia, più vecchia di duemila anni fa.
Ps- in Egitto hanno anche regnato delle donne, un esempio su tutti Cleopatra che non era di certo un uomo.
Fra uomini intendi, vero? Vorrei ricordarti che anche nel periodo di Socrate le donne erano considerate suppellettili. A parte le poche eccezioni come Cleopatra, le altre non potevano nemmeno scegliere quale uomo amare, figurati se potevano decidere fra uomo e donna.
Poi, tra parentesi, ho messo 2000 anni e rotti pensando alle grandi religioni monoteiste, benche ora mi sovviene che anche altre religioni politeiste hanno privato la donna della sua umanità, figurati della possibilità di scegliere.

Per quanto riguarda la tautologia, forse io non concepisco l'infinito, perciò vedo l'uscita di una persona da un gruppo come l'entrata in un altro gruppo. Per me non è una tautologia ma ha un senso, checché ne dica Aristotele (che tra parentesi è un filosofo che odio a morte proprio =D).


Barbara, la mia identità è stabile con o senza un gruppo, se devo essere sincera. Trovare un gruppo o una categoria per me significherebbe esprimermi meglio. Tutto qui.
Ed ho capito benissimo il punto di vista di Cagliostro, è anche piuttosto diffuso se bisogna dirla tutta =D Sto solo tentando di fargli percepire il mio (guerra persa in partenza mi sa xD).
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coeranos
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Re: Dalla categorizzazione alla discriminazione

Messaggio da coeranos » lunedì 9 maggio 2011, 14:36

in realtà chi rifiuta la denominazione "gay" è semplicemente un represso che non riesce ad accettarsi, purtroppo molte persone danno degli attributi che nella realtà non esistono ma questo non deve condizionare il proprio processo di accettazione.

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Pugsley
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Re: Dalla categorizzazione alla discriminazione

Messaggio da Pugsley » lunedì 9 maggio 2011, 19:02

Io non sono d'accordo con Coeranos.
E rispondo che a cavallo degli Anni '50 è stato redatto anche il Rapporto Kinsey con la relativa interessante scala di valutazione.
http://it.wikipedia.org/wiki/Rapporto_Kinsey
Questo generalismo spicciolo non mi piace, infatti anche al laboratorio omosessuale della Statale si è parlato a più riprese che tutto non è nè nero e nè bianco, ma è anche con una ampia scala di grigio. Tra l'altro l'orientamentento sessuale in queste persone "ambivalenti" può variare molto durante la vita, non si piegherebbero altrimenti certi comportamenti, ad esempio, di persone adulte che hanno vissuto storie sentimentali e sessuali con donne per decenni, dopo una prima fase con esperienze magari gay, per poi tornare ad apprezzare i maschi dopo i 50 anni. E non vuol dire che per decenni queste persone non hanno vissuto rapporti sessuali soddisfacenti con le donne per nascondersi da stigmatizzazioni sociali ed etichettature...ovviamente parlo di persone che hanno seguito un solo genere alla volta, non di coloro che conducono una doppia vita omo ed etero, e comunque ci sono anche questi ultimi.
Insomma è tutto un "melting-pot", passatemi il termine.

Nemesis

Re: Dalla categorizzazione alla discriminazione

Messaggio da Nemesis » lunedì 9 maggio 2011, 21:19

Pugsley ha scritto:Insomma è tutto un "melting-pot", passatemi il termine.
Pensavo fosse un topic in cui si parlasse della discriminazione a livello sociale, non di sessualità, ma siccome l’argomento è stato messo sul fuoco spero Cagliostro mi perdoni se rispondo.
Premettendo che mi trovo d’accordo con Coeranos, parliamo del rapporto Kinsey.
Alfred Kinsey scrisse il rapporto dopo un’indagine svolta su un campione di persone in cui cercava di capire quali fossero gli orientamenti e i comportamenti sessuali degli individui. Elaborò una scala con punteggi da 0 (totalmente eterosessuale) a 6 (totalmente omosessuale) e arrivò a concludere che eterosessuale, omosessuale e bisessuale (termine smentito immediatamente dopo la pubblicazione dello studio) non esistono perché una persona per l’intero arco della vita continua ad oscillare fra questi comportamenti in un continuum dipendente da psiche e fisicità.
Per fortuna la validità del rapporto, che pur ha fatto tanto perché comunque ha dato inizio agli studi sul comportamento sessuale, è stata smentita nel giro di una decina di anni e adesso non è più ritenuta importante.
I primi a criticare il rapporto furono lo statistico John Tukey, il quale riteneva che il campione fosse poco rappresentativo in quanto costituito in maniera massiccia da particolari gruppi sociali: il 25% di essi era o era stato in prigione e il 5% era costituito da persone che si prostituivano. Critiche analoghe giunsero dallo psicologo Abraham Maslow che riteneva i risultati dell’indagine falsati proprio dalla scelta del campione.
Le critiche che stroncarono definitivi mante Kinsey giunsero quando volle scrivere un libro sul comportamento omosessuale mai realizzato (per tentare di smentire i risultati dei suoi studi in cui gli omosessuali venivano dipinti come persone dal comportamento esagerato e deviato) e quando cercò di giustificare la sessualità di alcuno soggetti denominati successivamente pedofili.
Nella sessualità, com’è stato dimostrato da tempo, non ci sono grigi: il famoso punteggio 3 della scala (che ammetteva pari eterosessualità e pari omosessualità) è stato ridimensionato, si tratta della normale confusione sessuale presente nell’individuo al momento della pubertà, non di un comportamento che caratterizza la persona per tutta la vita. O si è carne o si è pesce, in ostanta o si è etero o si è gay.
Ma in fondo, come si suol dire, ognuno è libero di comportarsi come meglio crede basta che lo faccia fra le mura di casa sua…

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marc090
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Re: Dalla categorizzazione alla discriminazione

Messaggio da marc090 » martedì 10 maggio 2011, 9:36

Spero non ne avrete se intervengo solo adesso quando prima son rimasto a guardare:)
in realtà chi rifiuta la denominazione "gay" è semplicemente un represso che non riesce ad accettarsi, purtroppo molte persone danno degli attributi che nella realtà non esistono ma questo non deve condizionare il proprio processo di accettazione.
Secondo me è proprio questo il discorso pericoloso delle etichette, il pericolo insito nella generalizzazione e nella categorizzazione: chiunque non faccia parte della categoria, viene esorcizzato, viene allontanato come "represso" e non importa se il termine ha senso dispregiativo o meno, basta che lo etichetti come "diverso". Ovviamente non voglio colpevolizzare coreanos eh (le opinioni son sacre! :) ), è che secondo me la frase rispecchiava quel processo che ci porta a fare di un certo numero di persone, tutti individui formati e con le loro storie uniche, una categoria che viene trattata pariteticamente allo stesso modo, dimenticando tutto ciò che sono queste persone, in realtà e, appunto, la loro unicità...

E condivido infatti con Cagliostro quando dice che la categorizzazione è una comodità che non dovremmo permettere alla nostra mente... (oddio, spero di non aver banlizzato! :) ) Sebbene sia praticamente impossibile sottrarsi al concetto, i rischi della categorizzazione sono enormi, ben più evidenti e preponderanti dei vantaggi possibili secondo me..

p.s Comunque se vi interessa approfondire sugli effetti della categorizzazione (e dalla de-umanizzazione che ne deriva, ossia dal considerare tutti uguali i membri che ne appartengono) vi invito caldamente a leggere l'Effetto Lucifero, una verità sul mondo che mi ha lasciato davvero sorpreso e un libro che anche se appartenente al genere proprio della psicologia (non è un romanzo ma ci assomiglia) riesce a dare un sacco di verità e mezzi per capire e affrontare il mondo.
Per prima cosa portarono via i comunisti, e io rimasi in silenzio perché non ero un comunista. Poi se la presero coi sindacalisti, e io che non ero un sindacalista non dissi nulla. Poi fu il turno degli ebrei, ma non ero ebreo.. E dei cattolici, ma non ero cattolico... Poi vennero da me, e a quel punto non c'era rimasto nessuno che potesse prendere le difese di qualcun altro.
Martin Niemoller


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