Dalla categorizzazione alla discriminazione

Che cosa significa essere gay
Rispondi
Avatar utente
Cagliostro
Messaggi: 413
Iscritto il: venerdì 4 febbraio 2011, 23:36

Dalla categorizzazione alla discriminazione

Messaggio da Cagliostro » mercoledì 4 maggio 2011, 16:44

Dal momento in cui un membro del forum ha sollevato la questione inerente all’appartenza a categorie ed etichette, ho fatto qualche ricerca e ho trovato dei documenti molto interessanti. Vi riporto le parti più importanti per aprire una riflessione:

Percepire i gruppi: dalla categorizzazione alla discriminazione
Perché categorizziamo?
Funzione adattiva della categorizzazione: sotto l’aspetto cognitivo serve a ridurre la complessità del mondo sociale; sotto l’aspetto motivazionale aiuta il mantenimento di un’immagine positiva di sé perché l’autostima derivante dall’appartenenza a un gruppo è valutata positivamente.
A che cosa andiamo incontro quando ragioniamo in termini di gruppi?
Otteniamo quello che si chiama effetto di omogeneità del gruppo esterno (outgroup).
Gli effetti del processo di categorizzazione sono invece: favoritismo nei confronti dell’ingroup ed impatto sulla modalità di elaborazione.
Le spiegazioni di questo fenomeno vengono classificati in due ipotesi:
-Ipotesi della familirità: Linville, Fischer e Salovey [1989] ipotizzano che più conosciamo i membri di un gruppo più ci cominciano a sembrare diversi l’uno dall’altro.
-Ipotesi della codifica: secondo Park e Rothbarth [1982], questo effetto è dovuto al fatto che i comportamenti dei membri dell’ingroup vengono codificati attraverso categorie specifiche e quelli dei membri dell’outgroup attraverso categorie generali.
Si ha così una tendenza a distorcere le informazioni in modo che risultino a favore del proprio gruppo [Tajfel e Turner, 1979].
Questa tendenza influenza:
• i giudizi emessi in relazione alla causa di un comportamento [Pettigrew, 1979]
• la probabilità che una persona sconosciuta venga percepita come appartenente a un certo gruppo [Park e Hastie, 1987]
• la messa in atto di comportamenti discriminatori [Tajfel,Billig, Bundy e Flament, 1971]
Da quanto detto, si intuisce facilmente come la categorizzazione sia il precursore di stereotipizzazione, pregiudizio e discriminazione: si passa dalla CATEGORIZZAZIONE allo STEREOTIPO al PREGIUDIZIO alla DISCRIMINAZIONE.
Se chiedeste alla gente che ne pensa dei malati di AIDS, probabilmente trovereste la maggior parte di loro schierati dalla parte di queste persone. Risultato che cozza con la realtà, visto che il malato di AIDS viene generalmente visto come “chi se l’è cercata” e viene fortemente discriminato.
Da cosa deriva questa incongruenza? Intanto si deve cercare una risposta in una tendenza, chiamata autopresentazione, che consiste nel fare sfoggio delle qualità personali, tenendo celati al tempo stesso gli aspetti negativi della propria personalità.
Tra i lati negativi da dover nascondere ci sono anche i pregiudizi. Questo è soprattutto dovuto ai cambiamenti sociali. Ormai si parla di culture multietniche
e di uguaglianza quasi giornalmente. Di conseguenza chi usa etichette denigratorie viene condannato.
Oggi tuttavia la forma manifesta del pregiudizio è sparita condannata dai nuovi valori sociali per essere sostituita da una forma più subdola chiamata:
• razzismo simbolico [Kinder e Sears, 1981]
• razzismo moderno [McConahay, 1983]
• razzismo aversivo [Gaertner & Dovidio, 1986]
• pregiudizio latente [Pettigrew e Meertens, 1995]


Quindi il gruppo, la categoria d'appartenenza e l'etichettarsi o il voler etichettare sono, tuttora al giorno d'oggi, esempi di comportamento e socializzazione negativi perchè portano alla discriminazione.
Per confrontarsi e migliorare bisogna quindi liberarsi dall'idea di categoria.
Solo due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana e non sono sicuro della prima
Albert Einstein


Chi semina raccoglie,
ma chi raccoglie si china...
...e a quel punto è un attimo...

SenzaPeso
Messaggi: 221
Iscritto il: sabato 24 aprile 2010, 5:11

Re: Dalla categorizzazione alla discriminazione

Messaggio da SenzaPeso » giovedì 5 maggio 2011, 11:59

Non ci vogliono grandi nomi per capire una cosa del genere... Basta guardare certi adolescenti idioti che si menano per differenze molto più banali. Ma tant'è che come tutte le cose, categorizzare non è l'assoluto male né l'assoluto bene e a parte questo l'etichetta è in molti casi comoda. Ora considera quanti sono disposti a lasciare la strada comoda in favore della strada incerta e vedrai che c'è ben poco su cui riflettere. Chiunque può capire il concetto ma in pochi sono disposti ad accettarlo e applicarlo.

Avatar utente
Cagliostro
Messaggi: 413
Iscritto il: venerdì 4 febbraio 2011, 23:36

Re: Dalla categorizzazione alla discriminazione

Messaggio da Cagliostro » giovedì 5 maggio 2011, 12:55

SenzaPeso ha scritto:Non ci vogliono grandi nomi per capire una cosa del genere... Basta guardare certi adolescenti idioti che si menano per differenze molto più banali. Ma tant'è che come tutte le cose, categorizzare non è l'assoluto male né l'assoluto bene e a parte questo l'etichetta è in molti casi comoda. Ora considera quanti sono disposti a lasciare la strada comoda in favore della strada incerta e vedrai che c'è ben poco su cui riflettere. Chiunque può capire il concetto ma in pochi sono disposti ad accettarlo e applicarlo.
Non posso che darti ragione, è molto più difficile pensare con la propria testa che essere assorbiti da una categoria, o come hai detto tu una comoda etichetta.
La massa si sposta dove la conduce il pastore, è come un gregge di pecore.
Io mi chiedo sempre quanto perdono queste persone di sé stessi e se ne sono consapevoli o invece lo capiscono ma preferiscono la situazione di comodo.
Solo due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana e non sono sicuro della prima
Albert Einstein


Chi semina raccoglie,
ma chi raccoglie si china...
...e a quel punto è un attimo...

Torrismondo
Messaggi: 317
Iscritto il: sabato 12 febbraio 2011, 15:52

Re: Dalla categorizzazione alla discriminazione

Messaggio da Torrismondo » giovedì 5 maggio 2011, 14:14

Cagliostro ha scritto:La massa si sposta dove la conduce il pastore, è come un gregge di pecore.Io mi chiedo sempre quanto perdono queste persone di sé stessi e se ne sono consapevoli o invece lo capiscono ma preferiscono la situazione di comodo.
La massa segue la guida (che per questo dev'essere carismatica), ma perché? Per la mancanza d'educazione e d'istruzione. E' questo, Cagliostro, che serve per poter pensare da soli; il pensiero critico non nasce dal nulla, ma ha bisogno di essere instillato e coltivato! E soprattutto difeso, mentre oggi si arriva a stigmatizzare come "relativista" - che poi bisognerebbe capire bene cosa significa questo, non necessariamente è negativo - chi soltanto obietta od eccepisce qualcosa nei confronti di quello che viene diffuso come vero e normale.
Chiedi se sono consapevoli di non pensare con la propria testa? Secondo me la gran parte no... perché come ti ho scritto sopra, l'indottrinamento NON ti permette di pensare che vi sia altro al di fuori di quello che ti viene detto esser vero.
Posso confermartelo per esperienza, anch’io, a modo mio, mi sono fatto irretire da pseudo-verità assolute quando non avevo i mezzi per mettere in dubbio ciò che mi veniva propinato. Diciamo che questi mezzi mi sono arrivati dopo il ginnasio e continuano tramite ALCUNI professori all’università. Adesso sono all’opposto, ossia problematizzo tutto.

Se invece un minima parte è consapevole di "far numero" allora si tratta di quelle persone che capiscono, ma preferiscono non ragionare per comodità... non riesco a considerarle positivamente in quanto, a mio parere, chi ha i mezzi per difendersi dalla "propaganda" deve metterli in atto, o perlomeno non seguire la massa degli automi che corrono su e giù perché glielo comanda qualcuno.

Son riuscito a spiegarmi o ci sono punti oscuri?
Velle parum est: cupias ut re potiaris oportet (Ov. Ex Ponto I 1, 35)

Avatar utente
naufrago18
Messaggi: 139
Iscritto il: mercoledì 27 ottobre 2010, 16:33

Re: Dalla categorizzazione alla discriminazione

Messaggio da naufrago18 » giovedì 5 maggio 2011, 15:13

cerco di esprimere la mia...credo che la categorizzazione sia un'arma a doppio taglio...per l'"etichettato" può cioè avere sia l'aspetto di un autoriconoscimento risolutivo e sbrigativo della propria coscienza, del proprio sè, poichè si tende a cercare un' identificazione o un ruolo nella società ben definito, dall'altra parte però si può anche cadere nella non accettazione di questo ruolo e io penso a riguardo che colui che non vuole essere etichettato è ben libero di scegliere di non esserlo...cioè in fondo siamo noi a scegliere un abito diverso ad un altro e se quest'abito ci piace ce ne freghiamo dei commenti della gente...dunque un omosessuale che non si categorizza come omosessuale (stereotipo) è libero di non categorizzarsi in quanto sono convinto che l'autoriconoscimento parta innanzitutto da sè stessi per poi traslarsi in ciò che gli altri pensano di noi. La gente attua metodi discriminatori, certo, ma siamo noi a decidere se dare peso o meno a queste azioni. siamo noi a decidere di noi stessi e fin quanto potremo farlo saremo uomini liberi. viva la libertà
Panta rei. Sarà, ma io mi sento sempre lo stesso.

Avatar utente
Cagliostro
Messaggi: 413
Iscritto il: venerdì 4 febbraio 2011, 23:36

Re: Dalla categorizzazione alla discriminazione

Messaggio da Cagliostro » giovedì 5 maggio 2011, 15:25

Torrismondo ha scritto:Son riuscito a spiegarmi o ci sono punti oscuri?
Grazie Torrismondo,ti sei spiegato benissimo, condivido il tuo pensiero!
dunque un omosessuale che non si categorizza come omosessuale (stereotipo) è libero di non categorizzarsi in quanto sono convinto che l'autoriconoscimento parta innanzitutto da sè
Grazie Naufrago18, hai messo l'accento anche sul fatto che l'accettazione non significa categorizzazione e soprattutto deve partire da sé e non dipendere dagli altri. Non si deve per forza appartenere a un gruppo per sentirsi bene con sé stessi, non è il gruppo che determina la nostra libertà, il nostro pensiero, le nostre scelte: anzi le limita.
Solo due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana e non sono sicuro della prima
Albert Einstein


Chi semina raccoglie,
ma chi raccoglie si china...
...e a quel punto è un attimo...

Avatar utente
Manuel_novara
Messaggi: 4
Iscritto il: giovedì 5 maggio 2011, 15:13

Re: Dalla categorizzazione alla discriminazione

Messaggio da Manuel_novara » giovedì 5 maggio 2011, 15:40

"...Ma ho scoperto con il tempo ...
Che se l’uomo in gruppo è più cattivo
Quando è solo ha più paura"

Parole di Mia Martini in una sua nota canzone.
Far gruppo è un istinto naturale, inutile dirlo. Quando si è parte di qualcosa ci si sente più forti e soprattutto ci si sente protetti.

Se, da una parte, il gruppo è positivo per la vita dei suoi membri, dall'altra, spesso crea contrasti con l'esterno che se ciascuno agisse individualmente molto spesso non di presenterebbero.
Quindi sono d'accordo che se ci fosse in generale meno appartenenza a gruppi vi sarebbe meno chiusura e meno discriminazione, ma la formazione dei gruppi, sin dall'origine del mondo, non si può fermare...

Manuel
Quando il mondo è in controluce e ti senti un negativo, modula l'esposizione e non cambiare l'obiettivo ;)

Avatar utente
Annabel Lee
Messaggi: 146
Iscritto il: domenica 3 ottobre 2010, 21:39

Re: Dalla categorizzazione alla discriminazione

Messaggio da Annabel Lee » giovedì 5 maggio 2011, 16:18

Cagliostro, tu parti dall'idea che si debba "uscire" da questa concezione a categorie che ha la società e su questo punto non posso darti torto perché, come hai ben chiarito, le "caste" rigide portano a discriminazione.
Fin qui suppongo che tutti bene o male siano d'accordo.

Quando io ho provato a spiegarti il concetto "buono" di categorie tu sei andato a fissarti sull'uscire da una categoria, ma se ora ti dicessi che per me, ipoteticamente, fai parte della categoria delle persone con i capelli scuri? Andresti a tingerti solo per non farne parte? E' una banalizzazione estrema, ma il concetto resta: dal lato buono delle categorie non puoi scappare perché altrimenti non esisteresti affatto - a mio parere.
Inoltre non si può negare che la mente umana è portata a distinguere in gruppi, non per niente abbiamo diviso le discipline che studiamo, creiamo ordine in una libreria dividendo i libri per altezza o colore, ci relazioniamo alle persone secondo delle precise indicazioni più o meno inconscie che la mente ci invia. E' umano e a mio parere giusto.

Questo non sta chiaramente a giustificare razzismo, discriminazione, violenza, olocausti ecc., lungi da me anche solo pensare di non condannare delle simili dimostrazioni di debolezza e ignoranza.
Quello che voglio far presente è che categorizzare non per forza è un male, anzi, è più che normale che una persona tenda a farlo, senza per questo perdere della sua integrità e singolarità.
Tutt'altro, sono fermamente convinta che se la mente è elastica e conosce la propria individualità, inserirsi in una categoria non sia affatto un male, considerando il fatto poi che una mente elastica non cadrà nel tranello della discriminazione, non vedo dove sia il problema.

Ti porto solo un esempio su cui ho ragionato tutto ieri: gli scrittori e i letterati in generale tendono a riunirsi in gruppi a seconda della corrente che seguono: vociani, crepuscolari, futuristi...
Questo non è mai stato mal visto, eppure se ci fai caso è una categorizzazione anche questa. Eppure, sono sicura che lo saprai anche meglio di me, ogni scrittore ha conservato la sua "essenza" pur facendo parte di una categoria talvolta rigida (ad esempio gli ermetici).


Quello secondo me su cui tu stai battendo molto è un concetto diverso ed è quello di ghettizzazione delle categorie e perdita dell'individualità: quando si crea una categoria le persone che non hanno resistito al lavaggio del cervello propinatoci dalla società cadono vittime di un auto-annullamento e si ghettizzano in queste categorie rigidissime in cui non c'è scambio di opinione, ma solo una corrente di "pensiero" unica e dittatoriale. Io lo vedo come un totalitarismo del pensiero in cui la società è il tiranno e le persone ne restano vittime. Questo non è il modello di categoria in cui mi piacerebbe entrare, chiaramente. Sono profondamente contro queste caste a ghetto e dentro soffocherei.


Poi, se le altre persone mi etichettano secondo il tradizionale modo di vedere le etichette (non quello degli insiemi, per dire) non m'interessa, possono fare quello che vogliono, io resto comunque me stessa. Se vogliono discriminarmi facciano pure (come se non c'avessi ormai fatto il callo fra maschilisti e omofobi), sono stanca di combattere una guerra senza possibilità di vittoria e che non mi darà alcun beneficio (e se mai ne darà uno qualcuno dopo di me lo userà nel modo sbagliato, facendomi pentire d'aver combattuto per avere quel diritto). Personalmente trovo più utili delle battaglie concrete piuttosto che contro la società in sé, che se cambierà, lo farà comunque in peggio.
« It was the best thing to do; nobody ever said it was also the right one. »

Avatar utente
Cagliostro
Messaggi: 413
Iscritto il: venerdì 4 febbraio 2011, 23:36

Re: Dalla categorizzazione alla discriminazione

Messaggio da Cagliostro » giovedì 5 maggio 2011, 16:43

Annabel Lee ha scritto: Quando io ho provato a spiegarti il concetto "buono" di categorie tu sei andato a fissarti sull'uscire da una categoria, ma se ora ti dicessi che per me, ipoteticamente, fai parte della categoria delle persone con i capelli scuri?
Le categorie che tu definisci scientificamente si chiamano caratteristiche dipendenti e variabili perché, a differenza di quelle invariabili (codificate nel DNA) possono mutare e quindi non categorizzano né classificano la persona che dal momento in cui si chiama persone è già stata classificata come essere umano ed è l’unica classificazione accettabile.
Tu usi come esempio “fai parte della categoria delle persone coi capelli scuri” e se domani mi rado a zero di che categoria faccio parte? E se li tingo di verde? E se indosso una parrucca? I tuoi punti di riferimento vengono a mancare.
La mente umana non è detto che raggruppi seguendo una logica comune e dire che categorizzare non significhi arrivare ad atti di discriminazione e violenza è un controsenso perché la discriminazione nasce proprio dalla categorizzazione (vedi il bullismo presente dappertutto ormai, come bene ha fatto notare Senza Peso); se poi tu dici che categorizzandoti non perdi la tua individualità non mi trovi affatto d’accordo.
Non solo la perdi ma ne vai ad acquisire un’altra che non è quella che avevi in partenza ma è “l’individualità” di gruppo.
Quindi tu da numero unico diventi un sottomultiplo del numero capo del gruppo e perdi la tua individualità.
Se poi parliamo di letterati, che tu hai portato ad esempio, ti posso dire che Oriana Fallaci non ha mai voluto rientrare in nessuna categoria, così come Alda Merini, Tiziano Terzani, Pier Paolo Pasolini e Paulo Coelho e ce ne sono ancora tanti. Sono stati gli altri che hanno cercato di categorizzarli senza riuscirci.
La categoria open mind di cui vorresti far parte è un’utopia, ma se vuoi farne parte nessuno te lo impedisce, ma non pensare di poter essere realmente libera entrando in una categoria.
Però adesso sono curioso: per cosa stai combattendo? Per rimanere libera di essere ciò che sei o per conformarti al gruppo che ancora non hai trovato?
Rispondimi con sincerità senza usare gli stereotipi del maschilismo e dell’omofobia (non potresti, se visto che parli di categorie, fare riferimento all’omofobia dal momento in cui non sei omosessuale ma bisex e come ha detto Senza Peso che quoto la bisessualità almeno per me non esiste. Esistono solo persone che amano) che sono discorsi OT, se desideri farlo, altrimenti grazie lo stesso per aver espresso la tua opinione.
Solo due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana e non sono sicuro della prima
Albert Einstein


Chi semina raccoglie,
ma chi raccoglie si china...
...e a quel punto è un attimo...

barbara
Utenti Storici
Messaggi: 2864
Iscritto il: mercoledì 14 aprile 2010, 9:22

Re: Dalla categorizzazione alla discriminazione

Messaggio da barbara » giovedì 5 maggio 2011, 18:32

Provo a inerpicarmi in questo argomento assai scivoloso per continuare la riflessione.
Non c’è dubbio che il creare categorie sia un meccanismo necessario per decodificare e rendere "prevedibile" la realtà . La categorizzazione è riconoscere il semaforo rosso ad esempio, gli stereotipi ci aiutano ad orientare il comportamento nelle diverse situazioni . Se non esistessero categorie a cui affidarci , cosa accadrebbe ?
Non riesco nemmeno ad immaginarlo.
Certo che in una società come la nostra assistiamo ad un'invasione di categorie. Se pensiamo alla medicina ad esempio possiamo renderci conto di come si siano moltiplicate le categorie usate per definire le malattie. Ogni branca del sapere viene sempre più suddivisa in rami separati , ognuno dei quali produce categorie. Oltretutto lo stesso malessere a volte può essere incasellato diversamente se la persona si rivolge a un medico che ha certa specializzazione o un’altra , se si rivolge a uno psichiatra, a uno psicologo, a un sacerdote, a un filosofo, ecc .
Ma anche qui c'è il pro e il contro. Vedere la persona in funzione di un aspetto parziale di essa (che sia una malattia o la nazionalità oppure il colore della pelle, l'orientamento sessuale ) da una parte permette di mettere a fuoco un aspetto, una caratteristica che magari prima non riceveva l'opportuna attenzione. In medicina può permettere di mirare meglio l'uso di un farmaco, ma dall’altra il rischio è quello di vedere un malato solo in funzione di quel singolo disturbo. Il rischio è anche quello di forzare la realtà all'interno di ciò che mi aspetto di trovare, perché in un certo senso obbligo la mia mente a fare una quadratura del cerchio per cui a quella categoria corrispondono certi sintomi, certe cause e infine un certo rimedio. La categoria tende a renderci pigri e "allergici" all'incongruenza, al dato di novità, a ciò che esce dallo schema.
Questo pro e contro lo vedo anche per quanto riguarda l'omosessualità . L'invenzione di questa categoria ha in qualche modo obbligato tutti noi a tenere presente che questa realtà esiste. Se non ho la parola per definire qualcosa, cosa testimonia la sua presenza?
Ma d'altro canto ha favorito la nascita di stereotipi.
E' altrettanto vero che diverso sarebbe dire : quel ragazzo ha un orientamento omosessuale dal dire quel ragazzo "è" omosessuale.
C'è una grande differenza tra le due cose. Un po' come si dice ai genitori: dire a un bambino : "Sei un bugiardo" è molto diverso dal dire ; "hai detto una cosa non vera" .
Allora, se è vero, come affermano certe teorie , che il linguaggio produce effetti sul nostro pensiero e quindi sulle nostre azioni, è probabile che abituarsi, quando parliamo , a non confondere un singolo aspetto con l'identità della persona forse potrebbe rappresentare un passo in avanti verso una società più rispettosa della varietà umana.
Ad esempio nella frase precedente stavo usando "diversità" , ma poi ho pensato: la parola diversità presuppone il fatto che ci sia qualcosa di uguale e qualcosa che non lo è. Ma se dico "varietà" allora ogni tipo di comportamento viene messo sullo stesso piano , esattamente là dove dovrebbe essere.
Quanto all'appartenenza, se posso fare un esempio che mi riguarda , io , pur essendo eterosessuale, sento in questa mia fase della vita di fare parte di questa comunità virtuale a predominanza omosessuale , più di quanto mi senta di appartenere a categorie che corrispondono per davvero ad alcune mie caratteristiche (esempio i Lombardi, i cinquantenni, i miopi ecc) .
Ne deduco che il senso di appartenenza è qualcosa che c'entra e non c'entra con la categoria di cui si fa parte.

A proposito! benvenuto manuel_novara!!!! ci siamo conosciuti ieri all 'incontro con Stuart Milk e già facciamo parte della stessa categoria : i "Progettogayesi" :mrgreen:

Rispondi