Teorie psicologiche sull'omosessualità

Che cosa significa essere gay
whitetiger90
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Re: Teorie psicologiche sull'omosessualità

Messaggio da whitetiger90 » venerdì 10 agosto 2012, 22:15

grazie barbara, mi scuso se mi sono addentrato nella questione genetica, mi era completamente passato di mente che il post era sugli aspetti psicologici...comunque anche io serpentera esprimevo la mia idea, la verità non la conosce nessuno e vanno avanti per ipotesi anche i più grandi scienziati, quindi è solo un dibattito basato su opinioni personali e non potrebbe essere altrimenti :D

barbara
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Re: Teorie psicologiche sull'omosessualità

Messaggio da barbara » domenica 12 agosto 2012, 18:19

Non è così compicato aprire un topic come questo. Basta fare copia e incolla da internet . insomma far finta di fare una ricerca per li liceo... ;)

destin
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Re: Teorie psicologiche sull'omosessualità

Messaggio da destin » venerdì 17 agosto 2012, 23:45

Ciao, intanto mi presento perchè sono nuovo, sono Paolo. Provo a dire la mia su questo tema, più che altro scrivendo mi chiarisco le idee perchè non ci ho mai pensato a fondo. Io studio Psicologia,ma sono appena agli inizia,quindi non sono molto esperto, soprattutto su questi temi.

Intanto penso che seppur "terrificanti" da leggere, i pareri degli psicologi del secolo scorso sono comprensibili, visto il contesto in cui sono nati, proprio nel momento in cui si dava importanza alle pulsioni sessuali. Non ne so molto al riguardo, ma credo che almeno l' appellativo di "malati" dato da un Freud o da Jung sia più accettabile che quello dato ora da un qualunque omofobo. Malattia, perversione, significa essere stati caratterizzati da certe esperienze, da certi conflitti, da certe pulsioni che hanno fatto deviare la persona dal normale sviluppo. Certo, sono tutte parole al vento, niente di dimostrabile. Però sono parole, e le parole fanno danni e fanno la storia, quindi per fortuna che ora non si ascoltano più queste teorie, altrimenti saremmo rinchiusi in ghetti.

Dopo questa noiosa introduzione dico quello che penso.
Credo che ci possano essere dei fattori genetici, ma, come per tutto, essi sono soltanto la base da cui poi può svilupparsi qualcosa. Quindi quello che conta sono le esperienze, come avete già detto, e soprattutto quelle nella prima infanzia. A volte penso che dietro all' essere omosessuale ci possa davvero essere qualche "problema", ma per problema intendo un deviare dallo sviluppo "normale". Quello che conta è il punto di vista. Noi siamo un po' diversi, certo, non ha senso dire che siamo uguali, e cercare di esserlo a tutti i costi.

Per il fatto dei gemelli posso dire che è vero che sono gemelli e hanno lo stesso corredo genetico e vivono lo stesso presente all' interno della famiglia, ma questo non vuol dire che hanno esperienze totalmente uguali. Infatti in un esame che parlava proprio di questo facevano notare che le esperienze più significative e che hanno più influenza sulle caratteristiche dei gemelli non sono quelle comuni, ma quelle diverse, sia all' interno della famiglia(la mamma può avere rapporti diversi con i figli) sia all'esterno.

Dopo questa noiosa finta "lezione" chiudo, e nel caso qualcuno voglia parlarne sono qua, anche a me piacerebbe capirne un po di più, più che per curiosità psicologica proprio per capirmi meglio. Spero di non essere sembrato saccente perchè di cose ne so molto poche, e credo che una risposta definitiva non si troverà mai.

barbara
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Re: Teorie psicologiche sull'omosessualità

Messaggio da barbara » domenica 26 agosto 2012, 19:08

ciao destin , hai introdotto un argomento molto interessante, che è quello del rapporto fra psicologia/psichiatria e la "norma" in una data società.
La psicologia dovrebbe occuparsi di curare le patologie , intese come sofferenza psicologica , e studiare il modo di evitarle.E non dovrebbe invece preoccuparsi di rinchudere o controllare chi ha comportamenti che appaiono bizzarri agli occhi dei più, o che disturbano l'ordine costituito.
Ma spesso e volentieri nella storia si è persa la distinzione fra "benessere" e "normalità". E la psicologia si è così trovata ad occuparsi dei comportamenti che deviavano dalla norma, senza considerare se fossero o meno segnali di sofferenza.
Ma cos'è la "normalità" in una società? E' semplicemente il comportamento che chi comanda in quella società ritiene accettabile o che la maggioranza ritiene accettabile (a seconda di come la vediamo) . Ma non è detto che chi si discosti dalla norma sia infelice o malato o che soffra.
Ora quando gli omosessuali soffrono a causa della loro omosessualità, ciò è dovuto all'omofobia dell'ambiente in cui vivono e non al loro orientamento sessuale in sè e per sè.
E poichè finalmente l'omosessualità non è più considerata una patologia dalla psicologia e dalla psichiatria ufficiale , ma una variante naturale del comportamento sessuale , la società dovrebbe prenderne atto e definire l'omosessualità una condizione "normale".
Eppure ciò ancora non accade .Perchè? perchè la mentalità della gente stenta a cambiare e perchè ci sono altre realtà, come quelle religiose ad esempio, che la considerano un peccato.
Ognuno di noi fatica in realtà ad accettare pienamente questa definizione di variante naturale , perchè ci è stato inculcato il contrario.

Tozeur
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Re: Teorie psicologiche sull'omosessualità

Messaggio da Tozeur » domenica 26 agosto 2012, 19:26

barbara ha scritto: Eppure ciò ancora non accade .Perchè? perchè la mentalità della gente stenta a cambiare e perchè ci sono altre realtà, come quelle religiose ad esempio, che la considerano un peccato.
Ognuno di noi fatica in realtà ad accettare pienamente questa definizione di variante naturale , perchè ci è stato inculcato il contrario.
Bentornata Barbara. Sono d'accordo in particolare su questa parte che ho riportato. Io penso che nonostante sia stato inculcato il contrario le cose possono cambiare se i bambini sin dall'infanzia vengono educati all'uguaglianza e alla tolleranza; qui dovrebbe essere essenziale il ruolo della scuola, della famiglia oppure delle diverse associazioni lgbt
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serpentera
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Re: Teorie psicologiche sull'omosessualità

Messaggio da serpentera » domenica 26 agosto 2012, 20:00

Tozeur,il fatto è che nessuna di queste tre istituzioni fa davvero qualcosa.
In particolare continuo a criticare le associazioni lgbt che non si muovono,tirano a campare pensando di fare davvero il loro dovere:e come lo fanno? Organizzando i "Gay Pride",collaborando e pubblicizzando i locali etichettati "Gay",rispondendo attraverso i comunicati stampa inutili(parole che nessuno si sbatte minimamente) ad ogni aggressione omofoba fisica o verbale e fregiandosi dei finanziamenti pubblici per fare il nulla...dì un po' te come pensano di cambiare la realtà dei fatti in questo modo...

Tozeur
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Re: Teorie psicologiche sull'omosessualità

Messaggio da Tozeur » domenica 26 agosto 2012, 21:08

@serpentera: certamente, sono d'accordo ma se vedi ho usato il condizionale perchè "in teoria" queste tre istituzioni potrebbero fare molto però per diversi motivi questo non accade :mrgreen:
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Fabri782
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Re: Teorie psicologiche sull'omosessualità

Messaggio da Fabri782 » mercoledì 16 gennaio 2013, 9:32

Non sono un esperto, ma, come a molti qui, ho letto qualcosa sull'argomento e provo a fare qualche riflessione.
Sono tendenzialmente contrario alle etichette: l'omosessualità è parte integrante e necessaria di ogni persona, mi spiego meglio: l'essere umano è una delle poche specie animali in cui il sesso assume funzioni che vanno molto al di là di quella riproduttiva (che, anzi, è abbastanza marginale, forse). La sessualità (intesa in senso MOLTO LATO con il piacere "fisico" che si prova nello stare in compagnia di qualcuno) nell'essere umano è il cemento dei rapporti è parte integrante e, di fatto, non distinguibile, dei sentimenti di amore che proviamo nei confronti di altre persone, amici, partner, familiari.
L'amore, inoltre, ha come effetto quello di farci crescere, cambiare; quando amiamo realmente una persona noi cresciamo, nel senso che cerchiamo di fare nostre le caratteristiche di quella persona; almeno in alcuni ambiti quella persona diventa un MODELLO (si dice spesso che dopo molti anni i coniugi tendano ad assomigliarsi anche fisicamente).
Da questo io traggo una conclusione: non si può appartenere compiutamente al proprio genere se non lo si ama profondamente e l'amore, nella specie umana, prevede l'attrazione fisica (che non necessariamente deve dar luogo a rapporti sessuali propriamente detti).
In quest'ottica in maniera più o meno consapevole l'omosessualità non è "variante" di un comportamento, ma una caratteristica, una tensione universale e necessaria alla crescita di una persona (e l'uomo non smette mai di crescere), la cui accettazione (che non consiste necessariamente nell'avere rapporti omosessuali) è addirittura indispensabile.
Nella mia esperienza, quindi, non si parla né di variante, né di malattia: al limite si può osservare che essendo un "universale antropologico" (forse il termine non è usato in maniera del tutto propria) più o meno visibile a seconda di quanto la società lo accetti, l'omosessualità può essere una caratteristica normale della vita di ognuno (proviamo ad immaginare una società in cui sia normale avere rapporti tra amici, nessuno si chiederebbe se è gay, lesbica o etero o travestito o trans o trasgender o etc etc, si vivrebbe la sessualità come si vuole e come andrebbe vissuta) e venire agita più o meno a seconda dei "gusti".

Alyosha
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Re: Teorie psicologiche sull'omosessualità

Messaggio da Alyosha » mercoledì 16 gennaio 2013, 15:24

Fabri innanzitutto benvenuto. Quanto a quelo che scrivi posso ovviamente dirti la mia, perché neanch'io mi riconosco reali competenze in merito. E' ovvio che una tensione omosessuale esiste in ogni etero, una tensione che come giustamente scrivevi tu finisce per diventare un modello imitativo, un punto di riferimento e chissà cos'altro. Però tenderei a distinguere questo aspetto dall'orientamento sessuale vero e proprio. Che etero possano arrivare a forme di coinvolgimento tali da presuppore anche il contatto fisico, in particolari momenti della loro vita non lo escludo, ma l'omosessualità secondo me non si ferma a questo. Crescendo al di là della fase di sperimentazione adolescenziale che può avere anche connotati omosessuali, mi pare che l'orientamento sessuale tenda ad assestarsi, senza considerare poi che la maggior parte dei gay sente la spinta omosessuale sin dalla tenera età, come spinta in lui preponderante. Insomma la versione per la quale tutti potremmo essere omosessuali se la società non inibisse questa spinta un pò pare annacquare le cose. Sarebbe come dire che tutti (gay compresi) sentono la spinta sessuale verso la donna per converso, però a quel punto non potresti dire che i gay non l'assecondano perché la società condanna gli atti eterosessuali. Insomma io penso che la curva della sessualità sia proprio di tipo gaussiano con una maggioranza al centro che ha forme più o meno forti di bisessualità tendente all'eteroseussalità e via via le code che spingono sempre più verso comportamenti omosessuali. Però no, non viviamo tutti la sessualità allo stesso modo e credo che il desiderio sessuale verso una cosa piuttosto che un'altra o anche solo la preferenza sia connaturata.

Fabri782
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Re: Teorie psicologiche sull'omosessualità

Messaggio da Fabri782 » giovedì 17 gennaio 2013, 9:58

Concordo con te, Alyosha, la "distribuzione" dell'omosessualità tende a seguire una curva gaussiana, i "duri e puri" etero o omo sono, di fatto una parte piccola, il grosso si situa in una zona sostanzialmente mista, con varie prevalenze.
Assodato, credo, che la pulsione più o meno forte e continuativa ad avere rapporti con persone del proprio sesso è presente pressocchè in tutti, va certo detto che, invece, l'affettività nei confronti delle persone del proprio sesso sia cosa diversa; un conto è avere o desiderare un rapporto omosessuale, un conto è innamorarsi e formare o sognare una vita di coppia.
Qui, però, si entra in un ginepraio di grande complessità, a mio parere, leggendo le varie "teorie" sull'origine dell'omosessualità a me ha colpito un fatto, il tentativo di ricondurre un affare articolato, complesso e misterioso come la sessualità umana a pochi e semplici fatti da identificare come cause.
A mio parere è sbagliato cercare le cause: le malattie hanno le cause, di ogni tipo: genetiche, ambientali etc. Essere gay o lesbica non è una malattia, è una caratteristica della propria personalità. In una società che non considera normale questa caratteristica, al limite, occorre mettere in atto alcune "strategie di adattamento" nella comunicazione e nella ricerca del partner, non è giusto, ma purtroppo è così.
Parlando di affettività e di innamoramento, si sa che nonostante l'amore venga vissuto come sostanzialmente casuale, in realtà il nostro inconscio ci fa innamorare di talune persone e non di altre a seconda dei bisogni profondi che abbiamo. Questi bisogni come tutta la nostra personalità, sono frutto di un intrico inestricabile, unico e non riproducibile di geni, modelli incontrati (genitori, insegnanti, amici, ambiente, televisione, etc.), esperienze vissute direttamente o indirettamente, etc. Questo porta le persone a cercare partner con determinate caratteristiche piuttosto che altre e, a questo punto, apro una parentesi e pongo un altro tema, che richiederebbe uno spazio enorme e che io, invece, lancio qui a mo' di domanda: esistono caratteristiche intrinsecamente maschili tali che se io le cerco nel partner non posso far altro che cercare uomini? (naturalmente viceversa per le donne) Oppure questi tratti della personalità posso trovarli indifferentemente nei due sessi? Ovvero, la domanda fondamentale, il genere è innato o frutto della cultura. Uomini e donne si nasce o si diventa?
Chiusa la parentesi riprendo con un esempio; io mi ritengo una persona timida, non saprei dire se ho il gene della timidezza, se l'ho imparata dai miei, se mi è stata inculcata dall'ambiente; non lo saprei e non me lo chiedo, lo sono e vivo insieme alla mia timidezza, a volte essa è un problema, a volte è una risorsa.
La questione è, secondo me, quella dell'accettazione, chi se ne frega se essere gay è un dato innato o acquisito, ognuno deve semplicemente convivere con sé stesso

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