OMOSESSUALITA' NATURALE E OMOSESSUALITA' INGLESE

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OMOSESSUALITA' NATURALE E OMOSESSUALITA' INGLESE

Messaggio da progettogayforum » mercoledì 7 dicembre 2016, 0:59

I capitoli di “Uranismo e Unisessualità” che vi presento oggi sono alquanto eterogenei: i primi si riferiscono a questioni generali, come la diffusione dell’omosessualità in tutte le classi sociali (il caso Wilde aveva accreditato l’idea che l’omosessualità fosse una specie di vizio da ricchi e da raffinati) e la sua naturalità, che Raffalovich coglie nel suo nascere spontaneamente, cioè indipendentemente dall’educazione; i rimanenti sono dedicati all’omosessualità inglese.

La parte dedicata alla naturalità dell’omosessualità è una delle peggiori di tutto il libro perché Raffalovich si lascia andare, uscendo parecchio dal seminato, a dare giudizi sulle donne che sono macchiati da una grossolana misoginia. È evidente che se Raffalovich è informatissimo quando parla di uomini e di omosessualità, si affida a pregiudizi di bassissima lega quando parla di donne e anche di lesbiche.

La parte dedicata all’omosessualità inglese comincia con un insieme di riflessioni sulla pudibonderia inglese di fine secolo, cioè sulla falsa moralità vittoriana, in particolare in tema di omosessualità. Raffalovich si sofferma poi William Rufus (Guglielmo il rosso) e sulla vicenda di Edoardo II e di Gaveston. Proseguirà poi nei capitoli successivi un excursus sui grandi personaggi omosessuali della storia d’Inghilterra e di Francia. Si tratta di esempi forse meno conosciuti dal lettore moderno, ma che per tutto l’800 e oltre hanno rappresentato delle citazioni d’obbligo in ogni discorso che volesse alludere all’omosessualità senza nominarla, citazioni che potevano essere colte nella loro sostanza, cioè come riferimento all’omosessualità, solo da altri omosessuali e potevano, proprio per questo motivo, essere utili per rompere in ghiaccio senza rischiare troppo.

Ma lasciamo ora la parola a Raffalovich.
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Uguaglianza dell’Unisessualità

In alcuni uranisti e in molti eterosessuali, che non hanno affatto osservato la realtà o riflettuto su di essa, esiste un pregiudizio, secondo il quale l’inversione si trova soprattutto nelle classi superiori: le cause di questo errore abbastanza curioso si trovano in teorie completamente illusorie, secondo le quali l’inversione è prima di tutto il risultato di una decadenza fisica e di una raffinamento psichico, un risultato dell’educazione delle classi superiori, della lettura dei classici, dei piaceri troppo facili, in una parola l’inversione sarebbe insieme una debolezza e un lusso, un’abitudine degli intellettuali o di coloro che sono stanchi di tutto. Sono talmente tanti gli eterosessuali poveri che si vendono, che gli uranisti credono forse che il loro vizio sia aristocratico e intellettuale, e per gli eterosessuali questa è una spiegazione così semplice e soddisfacente come l’esaurimento e la sterilità dei fiori troppo coltivati.

L’inversione congenita o acquisita è molto frequente tra i poveri e tra le persone grossolane. L’esaurimento, d’altra parte è altrettanto frequente in loro che nelle classi istruite; l’alcolismo e la sifilide si trovano ovunque, la malnutrizione, gli eccessi di privazione o di sofferenza o di brutalità, di animalità, hanno effetti simili a quelli della dispepsia e della nevrastenia dei ricchi. Se queste cause agiscono in una classe, agiscono anche in un’altra. Le letture dei classici sono rimpiazzate dalle conversazioni licenziose, la decadenza dei costumi dei bambini e degli adulti è rimpiazzata dalla promiscuità. Probabilmente è più difficile per un uomo del popolo rendersi conto altrettanto anticipatamente della sua inversione, l’uomo del popolo fa probabilmente più tentativi di eterosessualità prima di riconoscersi, ma la differenza è tutta qui. I ragazzi del popolo sono molto più esposti alla seduzione rispetto ai ragazzi delle classi superiori: le notti passate nel letto di un ragazzo più grande o di un uomo finiscono spesso nel mutuo onanismo. Se sono eterosessuali in modo insuperabile, si fermano lì, ma se sono portati all’unisessualità, persistono in tutto questo. Le prigioni i bagni pubblici, le caserme, il lavoro in comune, la fabbrica, sono altrettanti focolai di unisessualità, come la promiscuità delle grandi città, il prossenetismo e le tentazioni di ogni tipo.

Gli assalti dei pederasti, gli assassini che essi commettono e un gran numero di altre circostanze, mettono al riparo da qualsiasi dubbio il fatto che l’inversione acquista o congenita non è un’esclusiva delle classi superiori: solo che le classi superiori se ne fanno una concezione più raffinata e più filosofica.

A priori

Non bisogna stupirsi di vedere l’inversione sessuale congenita in un uomo di buona costituzione e molto equilibrato, in effetti, dato che è dimostrato che alcuni tra gli uomini più gloriosi della storia umana hanno acquisito l’inversione, dato che essa può essere accelerata o prodotta artificialmente, logicamente deve anche potersi manifestare spontaneamente, non dico senza educazione ma senza costrizione esteriore. Non immagino che esista una sola delle modificazioni o delle manifestazioni della natura umana, dovute all’educazione o alla civiltà, che non si riscontri anche spontaneamente, istintivamente.

Un’intelligenza, una sensibilità può essere sviluppata in un modo o in un altro attraverso l’istruzione. Con la buona volontà, lo sforzo interiore e esteriore, si può fare di un bambino molto dotato un essere civilizzato, soprattutto in un certo modo, si può coltivare uno dei suoi sensi più degli altri, farne un artista, un moralista, ma si trovano anche bambini che si sviluppano quasi da soli, che diventano artisti o moralisti a dispetto delle circostanze. Per ogni vocazione che viene creata incoraggiandola, richiamandola, per ogni differenziazione dell’individuo che viene favorita, se ne trova una simile congenita, a priori si sarebbe legittimati ad attendersi di trovare naturalmente e capace di svilupparsi senza alcun aiuto cosciente, tutto quello che l’ambiente o le circostanze possono far diventare da latente evidente.

Questa parola “latente” porta all’asserzione, che tutti gli scienziati accettano, che il sesso di qualsiasi essere umano è indeterminato fino ad un certo momento, che ogni sesso ha delle tracce rudimentali dell’altro, e allora, come ci si può stupire dell’inversione sessuale o dell’ermafroditismo morale?

Si sa che certe situazioni, certe cause, certe abitudini determinano l’esagerazione dei caratteri sessuali latenti.

Dato che le cose stanno così, senza il minimo dubbio, probabilmente si arriverà, in via più generale, a considerare la psicologia sessuale in modo più ragionevole. Se c’è bisogno di situazioni ben determinate, di cause molto semplici da enumerare, perché i caratteri sessuali latenti o secondari si mostrino o divengano esagerati, il carattere umano, l’insieme della personalità umana, certo ben più complicata della superficie del corpo, dimostra in un modo molto più chiaro la sessualità latente.

Un uomo che fosse uomo in tutto sarebbe altrettanto mostruoso di una donna che fosse donna in tutto. Né l’uno né l’altra si adatterebbero alla nostra civiltà. Tutto quello che si chiede loro è solo un insieme di caratteri maschili e di caratteri femminili. Sarebbe come chiedere all’umanità di essere animalità, se si volesse ritrovare in dimensione umana la differenza che esiste tra un gallo e una gallina, tra un’ape e il maschio della sua specie.

Se si esaminassero attentamente gli uomini e le donne, si vedrebbe che la sessualità femminile nel maschio (e vice versa) è molto meno latente psichicamente che fisicamente, negli uomini si ritrova la bontà, la dolcezza, la devozione, che si considerano così femminili, si trova in loro la leggerezza, la mancanza di applicazione, la mancanza di logica e di rigore intellettuale delle donne. L’uomo ha probabilmente più della donna di quando la donna non abbia dell’uomo, e questa è la sua superiorità, ed è lì che essa è evidente. Se è capace di tutti i vizi della donna, si è anche mostrato capace delle sue virtù (si pretende che sia fisicamente più sensibile) ma la sua costituzione fisica lo rende più forte, è più differenziato della donna perché l’intelligenza differenzia più del sentimento. Se le massime sulle donne sono folli per la loro ingiustizia, sono meno ingiuste delle massime sugli uomini.

Gli uomini si somigliano meno delle donne, i libri degli uomini appartengono a molte più categorie dei libri delle donne, anche nei settori che esse hanno affrontato di più. La grande superiorità dell’uomo è di essere meno monotono della donna.

La donna copia l’uomo, lo riflette, più che rassomigliargli. Si crede che le lesbiche abbiano non solo delle andature virili, ma anche dei caratteri virili; è un’illusione piuttosto che una realtà. Se si discute con loro e le si ascolta con attenzione, si è colpiti dalla poca virilità della loro intelligenza. Hanno abitudini e modi di fare da uomini, la voce di un collegiale o di un vecchio, ostentano buon senso, filosofia e cameratismo, ma di altro c’è ben poco. Una lesbica o una donna che si virilizza moralmente non impara ad essere originale e non eccelle in nulla di mascolino, la sua conversazione cessa ben presto di stupire e ci si stupisce invece di avere creduto ad uno spirito maschile che anima questa imitazione inferiore.

Unisessualità inglese

Ipocrisia

Nel capitolo sull’amicizia ho parlato della fantastica ipocrisia inglese; l’ho paragonata al giovane uomo che recitava le litanie della Vergine mentre i suoi amici lo masturbavano. E sono costretto a riprendere questa immagine perché soltanto essa può dare un’idea di questa malattia inglese.

Non mi piace la parola “ipocrisia”, perché questa parola sottintende molto l’atteggiamento da falso devoto. In Inghilterra non ci sono più falsi devoti che altrove; il male di cui soffre l’Inghilterra è molto più profondo. È la paura della gente che in realtà si disprezza e che non conta nulla per noi, è la paura dell’ipocrisia degli altri, è la sublime e beata abitudine di dire e di scrivere menzogne a dritta e a manca e proposito di tutto e “per una buona causa”, per salvaguardare la buona reputazione di una nazione, di una classe, di un individuo. È una cosa che fa piangere, che fa arrabbiare. Il massimo possibile di virtù per un Inglese consiste nello sfidare l’opinione pubblica senza diventare eccentrico. Che perdita di tempo, per un uomo impegnato, abituarsi a non credere più a nessuna delle convenzioni del protestantesimo e dell’agnosticismo! Se si analizza a fondo in lui questo sentimento, sarà classificato, ordinato, finito: sarà o un uomo senza moralità, o uno che ama il paradosso, o uno che non ha avuto i benefici di una buona educazione inglese. Per quanto un uomo disprezzi la virtù, per quanto la calpesti, per quanto pecchi di egoismo, sia vizioso e menzognero, in Inghilterra potrà essere perdonato, ma a una condizione: che egli disprezzi la virtù, ma non la virtù inglese.

Se svela i vizi inglesi, potrà essere perdonato se li fa derivare dalla Grecia, da Roma, dalla Francia, dall’Italia o dall’Oriente. L’Inglese può pervertirsi, ma quello che c’è in lui di inglese non può essere pervertito.

Ogni giorno incontro nuovi esempi di questa malattia britannica. Il sig. Michaël Davitt, padre di famiglia, che è stato sette anni in prigione (è un autonomista irlandese), interrogato dall’ultima commissione che si è appena occupata delle prigioni, non vuole chiamare l’unisessualità con nessun nome. Non vuole parlare affatto di cose così spaventose. Continua a rinchiuderle in perifrasi. A che serve essere un uomo le cui virtù domestiche sono stimate, a che serve avere sofferto sette anni di prigione, a che serve essere stato interrogato da una commissione seria, se si va a finire poi in questo rivoltante pudore? Ci sono pochi uomini che, per una volta nella loro vita, hanno la possibilità di parlare in modo corretto e giusto; è soprattutto in Inghilterra che si ha paura di questa possibilità. È per questo che su questo punto accuso gli Inglesi di essere poco uomini.

La “Biografia nazionale inglese”, che ha richiesto almeno quaranta pomposi volumi per arrivare alla lettera P, è un monumento alla menzogna che in ogni modo è diventata abituale in Inghilterra. È conosciuto, riconosciuto, arci-conosciuto che Giacomo I, figlio di Maria Stuart, fosse unisessuale. Alcuni autori ben noti, a partire da Hepworth Dixon, hanno descritto i giovani che si gettavano sul suo cammino per sedurlo, li hanno descritti prendersi cura dei denti e della bocca per essere più soavi ai baci del re. Tutti sanno che Giacomo era scaltro, pederasta, trascurato e incostante, ebbene, due volte, nella lunga notizia su Giacomo, l’autore ha l’impudenza di dire che la vita privata di Giacomo era pura. Gli stessi dissoluti non ritenevano Giacomo puro. Perché questa fastidiosa menzogna? E come aggiunge splendore alla purezza degli uomini veramente puri, al candore delle anime bianche! Ci si chiede una buona volta se Swift non avesse ragione a considerare spesso sinonimi la sodomia e la fama di castità. Ci si spiega meglio questa paurosa abitudine inglese scoprendo che, fin da tempi antichi l’Inghilterra ha avuto una reputazione sodomitica, reputazione che si fa finta di ignorare ma che persiste con ciò che l’ha provocata. Là dove c’è il bacio (sulla guancia) c’è sodomia, dice Péladan nell”Androgyne”, e questa è evidentemente l’opinione della gente, sempre pronta a sospettare questi vizi in Inghilterra, ma molto intimorita dal dar vista di parlarne, tanto che certi scrittori speculano su queste due inclinazioni inglesi; si spingono sufficientemente lontano da risvegliare la paura della sodomia nelle lettrici e nei lettori, senza che essi o esse osino precisare la loro paura. In Inghilterra c’è una frequente discordanza tra quello che si dice, quello che si pensa e quello che si fa in rapporto all’amicizia, e in questo paese si possono immaginare più facilmente amicizie valorose ed eroiche o pederastiche e sodomitiche che non tenere e un po’ voluttuose e infantili; in modo che le persone che hanno un grande bisogno di questo tipo di amicizia soffrirebbero molto in questo paese, molto più che in Germania o in Austria (a giudicare dalla letteratura di questi paesi).

Thoreau, un famoso scrittore americano, è un bell’esempio di amicizia storica e ideale, fredda e chiara come la cima di una montagna. Ma molte amicizie che non sono che banali e superficiali, hanno le stesse apparenze. Se si ignorasse la maldicenza che incrudelisce nel mondo inglese, si rimarrebbe stupidi dal terrore che ispira a tanti uomini e donne inglesi le cose più innocenti. Il loro terrore sembra assolutamente inspiegabile, perché anche negli altri paesi c’è molta pederastia si si fa molto ricorso al ricatto e all’ipocrisia. C’è bisogno di una diversa analisi psicologica per ogni caso di questo terrore. Dire che si ha una tale paura dell’ombra dell’unisessualità perché si è portati da sé in quella direzione mi sembra difficile e un po’ libertino; la paura della maldicenza, della calunnia, la sensazione oscura che l’uomo eterosessuale e l’uomo omosessuale si assomiglino molto più di quanto non si pensi facilmente e a priori, hanno forse un qualche peso in questa mania nazionale.

Quando non c’è stupidità o ipocrisia deliberata, o prudenza necessaria, c’è in Inghilterra una specie di panico nel pudore degli uomini. E i più temerari a parole, i più fanfaroni della temerarietà, sono i primi a crollare se si credono calunniati o sospettati. È nello stesso tempo una cosa ridicola e penosa da vedere. Gli uomini sensati, ovviamente, non sono così, ma in tutte le società gli uomini sensati non sono certo preponderanti.

Si obietterà che l’eterosessuale ha nei confronti dell’unisessualità il pudore della vergine di fronte all’uomo nudo; e in questo c’è del vero, ma il pudore verginale è lo stesso in tutti i paesi civilizzati. È in Inghilterra che l’uomo (forse perché la donna inglese si crede giudice di tutto, della letteratura come della scienza e della filosofia) ha più paura, finge di più, ed è lì che l’unisessualità ha sempre avuto un ruolo considerevole.

William Rufus

William Rufus (Guglielmo il rosso), figlio di Guglielmo il conquistatore (regna dal 1087 al 1100. Scelto da suo padre per il trono di Inghilterra benché fosse il figlio cadetto) fu a parere unanime (Si veda “William Rufus” di Edward Freeman) un invertito. I Normanni erano molto dediti all’unisessualità e gli storici contemporanei sono molto espliciti quando parlano dell’effeminazione e della sodomia di quei tempi (Oderic Vitalis, Robert Courte-Heusè), ma non bisogna dimenticare che l’effeminazione e la sodomia, anche se indicavano chiaramente unisessualità e inversione, non comportavano sempre vera effeminazione, passivismo determinato e accentuato e sodomia tecnica. William Rufus, per esempio, non era effeminato e l’effeminatezza di allora era qualcosa di molto più maschile di molte virilità di oggi. Quando leggiamo che i sovrani o i nobili erano effeminati, questo significa che si vestivano all’ultima moda, che si rasavano, che si occupavano della loro capigliatura, che si interessavano delle arti rudimentali, di certe delicatezze o raffinatezze, e che erano sospettati di amare il loro sesso, o che il loro amore era fuori di dubbio; e la “sodomia” di cui si parlava, era probabilmente la maggior parte delle volte unisessualità e non c’è bisogno di credere che il coito anale fosse molto più frequente allora di oggi. Certamente c’erano allora come oggi molti sodomiti semi-vergini, e quando nei documenti storici si legge “sodomia”, salvo prova contraria, sarebbe prudente tradurre questa parola con unisessualità. Bisogna ricordarsi sempre che, in Europa, il coito anale criminale, compiuto per provare un piacere speciale, non avrebbe avuto motivo per essere praticato inizialmente su un ragazzo o su un uomo, la donna avrebbe avuto il primo posto per questa esperienza. E l’uomo che avrebbe trovato così una voluttà più intensa e che fosse interessato alla donna in quanto donna non avrebbe avuto una motivazione sufficientemente forte per provare il sesso maschile, la sodomia del medioevo, praticata nelle corti o nei castelli, ovunque ci fossero donne, doveva dunque provenire da cause più complesse e l’inversione congenita o acquisita, l’unisessualità psichica, dovevano giocare il loro solito ruolo.

Rufus non si sposò mai e fu celebre per i suoi costumi unisessuali; quelli che lo circondavano avevano la medesima reputazione. Basta leggere in Freeman il confronto di tutti gli autori che ne parlano: anche la pudibonderia inglese si esprime senza ambage: lo storico, comunque, si consola pensando che i vizi del Greco antico e del Turco moderno erano stati introdotti in Inghilterra dai Normanni; i vizi normanni erano stati accostati al re dal famoso sant’Anselmo. Invece di cercare nelle profondità della natura umana universale si preferisce sempre ritenersi complice di un contagio piuttosto che vittima di se stessi.

Rufus fu forse il primo “gentleman”, dice Freeman, il primo sovrano inglese che sostituì il punto d’onore alla morale poco rispettata e al dovere poco seguito. Quando dava la sua parola in un certo modo, la manteneva. Ed era meno crudele dei suoi tempi. Era empio, non credeva ai giudizi di Dio né alla sua giustizia. Suo fratello Enrico, che aveva un battaglione di concubine e di figli naturali, vedeva male i costumi di suo fratello; Enrico si sposò solo quando salì al trono. Sappiamo da Guillome de Nangis che i due figli di Enrico, che annegarono insieme con molti nobili, erano tutti considerati come sodomiti (1120). Le riforme di Enrico, uomo di una grande immoralità sessuale, ebbero poca importanza in rapporto ai costumi. I libertini che deridevano all’inizio la corte di Enrico e di Matilda e la sua decenza, che fece seguito alla licenza del re celibe Rufus, poterono vedere Enrico che aveva di nuovo delle amanti e dei figli naturali e la “sodomia” del suo figlio legittimo
William.

Edoardo II

Parlerò poco di Edoardo II [1] non perché non sia stato un invertito famoso, ma perché la letteratura si è molto occupata di lui, e perché i suoi amori e i suoi dolori furono romanzeschi. Molto bello, grande, ben fatto, costante nella sua passione per Piers Gaveston, Edoardo II, se non fosse stato re d’Inghilterra e marito di Isabella di Francia, non avrebbe attirato su di sé i fulmini degli storici, non avrebbe sofferto tanto, e probabilmente non sarebbe morto tragicamente.

Suo padre Edoardo primo lo aveva fatto allevare con il giovane figlio di un cavaliere basco o guascone, Piers Gaveston (o Perot), ragazzo affascinante, bello, gioioso. L’attaccamento del principe per il suo compagno divenne così stretto che il re, irritato, mandò in esilio Piers e vietò a suo figlio di farlo ritornare.

Prima di morire il re ribadì quel divieto, ma Edoardo II (che aveva 23 anni), appassionatamente legato a Piers, lo fece richiamare immediatamente, gli donò la contea di Cornovaglia e una principessa del sangue come moglie e lo colmò di ricchezze, lo innalzò al primo posto del regno. I nobili furiosi, disprezzando l’intruso e i suoi bassi natali si coalizzarono contro di lui. Piers li trattava con insolenza, sicuro dell’amore del re. I baroni costrinsero il re a esiliare Piers, e Piers partì per essere viceré d’Irlanda, ma Edoardo non poté fare a meno di lui e lo richiamò: all’atto del suo matrimonio con Isabella di Francia, Edoardo fece portare la corona da Gaveston e si fece mettere gli speroni d’oro dal fratello del re di Francia e dal favorito. Si è sostenuto che Edoardo abbia passato la notte delle nozze con Piers al posto della regina. C’erano allora gli elementi di una tragedia in una tale passione, nell’aver gettato una tale sfida ai nobili e alla regina.

Ci furono delle rivolte. Piers fu ucciso a tradimento dallo stesso Warwick (quello che lui chiamava cane nero) e il re fu disperato. Il posto dove Piers fu ucciso è misterioso e oscuro, in mezzo agli alberi e ai fiori. Marlowe, uno dei grandi poeti inglesi, ha celebrato Piers Gaveston nella sua tragedia Edoardo II. Edoardo ebbe un secondo favorito, e morì in prigione, assassinato brutalmente dopo un regno di vent’anni. Sembra che il regno e il matrimonio gli abbiano procurato una fine così deplorevole. Anche Drayton, un poeta celebre, si è occupato di Edoardo e di Piers. E certamente hanno avuto entrambi ragione nel cogliere l’aspetto romanzesco di una passione così folle e infelice. Dal punto di vista della psicologia e della sentimentalità, Edoardo e Piers si trovano accostati agli amanti tragici: pochi sovrani hanno combattuto per il loro favorito o per la loro favorita come Enrico.[2]
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[1] Regna dal 1307 al 1327, unico figlio sopravvissuto, e il più giovane, dei quattro figli della spagnola Eleonora.

[2] Drayton (1563-1631); Marlowe (1564-1593).

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