GAY E MORALE

Che cosa significa essere gay
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monox
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Re: GAY E MORALE

Messaggio da monox » domenica 19 agosto 2012, 8:46

Ciao a tutti, ho letto via via ma un po' di corsa gli interventi, e li ho riletti ora, gli spunti sono diversi, negli ultimi post si parla di castità, credo che questa virtù sia propria della testa e del cuore e come tale applicabile a qualsiasi condizione, penso che siano altrettanto reali il matrimonio casto e l'astinenza impura, la seconda penso che si capisca benissimo cosa è, il primo ha a che fare con una esperienza di amore che anche nell'espressione fisica non si riduce al solo scopo procreativo o di ricerca del piacere.
Ricordo questo testo che fu citato dal sacerdote al matrimonio di amici:
http://www.amoreconiugale.it/tre-per-sposarsi/
(ho trovato questo link che almeno dà l'indice del libro).
Il concetto non è estraneo anche in ambito cattolico, almeno per qualcuno che vede un po' più in là.
Alyosha scrive:
"Resta infatti comunque il problema del perché l'amore omosessuale, che può raggiungere nella dimenzione della relazione vette altissime di spiritualità debba essere escluso per principio. Il punto fondamentale mi pare proprio questo. Perché mai?"
Penso che il thread sul rito dell'affratellamento delle chiese orientali risponda bene, evidentemente l'amore fra due persone dello stesso sesso non è escluso ma lo è la sessualità...
Per dare qualche spunto di comprensione in più ho citato la tradizione orientale non cristiana, questa tradizione dà qualche strumento di comprensione sul perchè l'unione fisica fra uomo e donna possa portare, in condizioni certo non comuni, alla "liberazione" e non sia previsto per motivi di complementarietà di "energie", una unione fisica fra persone dello stesso sesso... non è facile come argomento e penso che chi vuole debba approfondire personalmente, so anche bene che quando si parla di certi argomenti, castità, purificazione etc. si entra in un terreno spinoso, anche per le punture che avverte chi intraprende questo cammino e fra il dire e il fare c'è di mezzo il mare... (io sono in mezzo al mare).
Nicomaco scrive:
"Ma non che questa fiducia esiga per definizione dalle persone comportamenti disumani, quasi che per essere credenti si debba rinunciare alla propria umanità (tra l’altro esaltata dall’incarnazione del Figlio di Dio..."
Dopo l'incarnazione c'è però la croce... nel cristianesimo è presente il concetto del "perdersi", perdere se stesso per ritrovarsi, le finalità religiose, spirituali, sono di allineamento a una realtà elevata, immanente e trascendente, il fine tracciato non è quello di divenire "brave persone", certo bisogna esserlo ma per questo non è indispensabile essere religiosi... gli esempi dei santi non sono astrazioni, con questo penso che ognuno, ogni credente, debba stare in ascolto, "stay tuned", non mettere mai un tetto o un limite all'ideale pur non sognando e tendendo presenti i propri limiti, ma in un certo stato di "tensione" dell'anima.
Penso che un gay, come tutti, possa vivere una fede forte pur nelle proprie (eventuali) contraddizioni umane ma sempre in questo stato di "apertura" verso l'assoluto e le richieste che possano esserci fatte.
In questo senso un libro che trovai e trovo molto interessante sulla fede, il modo possibile, umano di viverla, ma anche con questo senso di ascolto e anche di rinuncia a qualcosa per un bene superiore (oltretutto ne libro è presente la tematica gay) è "Ritorno a Brideshead" di Evelyn Waugh, probabilmente lo conoscete già, forse dal film (brutto) mentre era perfetta la serie tv della BBC di diversi anni fa, ciao a tutti e buona domenica
Ultima modifica di monox il domenica 19 agosto 2012, 9:28, modificato 1 volta in totale.

pavlosss
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Re: GAY E MORALE

Messaggio da pavlosss » domenica 19 agosto 2012, 9:16

Le limitazioni ai campi semantici (castità-fedeltà) le ho poste con una certa cognizione di causa anche se non chiudo il ragionamento e cerco sempre di capire cosa l'altro mi dice. Non vorrei, dunque, essere frainteso come persona che non vuole "vedere più in là".

Per quanto riguarda la questione del Cristianesimo in se stesso, monox ricorda giustamente che fa parte del suo messaggio la cosiddetta "rinuncia" e la scelta della via stretta. Questo esisterà sempre e non lo si può evacuare.

Quello che, invece, mi sembra più giusto è focalizzare l'attenzione sulle possibilità dell'individuo, su ciò che la natura gli consente di fare.
Se in ambito eterosessuale lo stesso san Paolo, vedendo alcuni "bruciare", consigliava fosse meglio sposarsi, oggi, osservando con rispetto, conoscenza e attenzione, la situazione di un omosessuale, come si fa a continuare a non volere da lui una relazione stabile, soprattutto nel caso di chi "non ce la fa" a seguire la via stretta?

Sono domande che si pongono e che poi i singoli cercano di risolvere come possono, magari allontanandosi dalla Chiesa o venendo illuminati da qualche psicologo o da qualche sacerdote aperto.

Il rito dell'affratellamento (che si praticava in Oriente secoli fa') mi sembra che indichi un segnale interessante: l'esistenza di ambiti ecclesiali nei quali non si precludeva l'amore alla semplice espressione eterosessuale ma lo si estendeva anche tra persone dello stesso sesso (anche se fprse in questo caso era casto).

Una posizione decisamente all' "avanguardia" se consideriamo certi rigorismi con i quali si vuole a tutti i costi escludere l'amore omosessuale, magari etichettandolo con la penosa definizione di "amore debole", e "contro" la famiglia tradizionale.

Sotto questo profilo, è evidente che una certa cultura cattolica non aiuta affatto a capire i nodi veri del problema e continua ad intorbidire le acque per delle paure che sono perfettamente inconsistenti.

I veri nodi del problema sono cercare d'armonizzare - in chi crede - le esigenze morali con le sue possibilità di praticarle. Un problema che, poi, per un omosessuale maturo e informato non sussiste affatto!

pavlosss
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Re: GAY E MORALE

Messaggio da pavlosss » domenica 19 agosto 2012, 9:47

progettogayforum ha scritto: Benvenuto monox!! E grazie per il tuo intervento!
Premetto che non mi è facile capire il senso di fondo di quello che dici perché mi manca il presupposto di una fede che possa dirsi tale e quindi vedo le cose necessariamente dall’esterno. Mi è difficile capire il senso di una dimensione ascetica che vede nella castità (concetto che mi sembra molto astratto e troppo flessibile) uno strumento per l’avvicinamento a Dio.
Sempre che l'esempio possa calzare in tutto, posso rispondere paragonando la castità al far silenzio per ascoltare il suono di una musica lieve, laddove, invece, nel totale baccano non sarebbe assolutamente possibile.
La castità è stata interpretata moralisticamente dalla cultura clericale, che s'impone nella Chiesa occidentale a partire dall'XI-XII secolo, in corrispondenza della decadenza del monachesimo.
Il monachesimo antico (di estrazione laicale) aveva, invece, una visione pragmatica delle cose: la castità non serve ad attirare la benevolenza di Dio (che tanto Dio di suo è benevolente con tutti poiché è come il sole che splende sui giusti e sui meno giusti) ma a preparare l'uomo focalizzando le sue energie. Non a caso era sempre associata ad una dieta alimentare (astinenza da certi cibi). Questo perché esiste un'interazione tra l'animo umano e il suo corpo. In questo senso si consigliava anche la cosiddetta "castità coniugale".
I chierici, che nonostante tutto monaci non erano, hanno a loro modo "semplificato" le cose rendendole pero' banali e giungendo all'estremo di certi moralismi che altro non sono che pura vetrina ed apparenza. In quel caso più che giustamente, la modernità ha rifiutato questo tipo di cose.
progettogayforum ha scritto: I documenti del magistero ecclesiastico in questo senso sono purtroppo molti, autorevoli e senza possibilità di letture edulcorate. ... Queste cose provocano sofferenza, conflitti interni, senso di abbandono e di solitudine finché poi nella maggioranza dei casi non si arriva a tagliare i ponti definitivamente con chiesa, ritenendo cristianesimo e chiesa come due cose completamente diverse. ... Non sono un teologo certo, ma mi sono chiesto se nel messaggio di Cristo ci siano le premesse per considerare l’omosessualità come un peccato secondo per gravità solo all’omicidio volontario (sono parole di San Pio X), se così fosse non potrei nemmeno sentirmi genericamente cristiano.
Quello che dici sono sacrosante verità e manifestano semplicemente due cose:

1) la persistenza di una pervicace ignoranza nei riguardi della sessualità umana, intesa principalmente come mezzo procreativo e non come alta espressione di dialogo amoroso. Nella misura in cui si procrea allora si vede "fertilità", nella misura in cui non si procrea l'amore non è "fertile", come se avere un nuovo "prodotto umano" (passi l'espressione) sia l'unico segno di fertilità. Chi sostiene questo evidentemente non ha capito nulla dell'amore umano. Se la Chiesa non fosse clericale com'è, da tempo certe bocche si sarebbero smorzate! Non a caso le realtà protestanti - che non sono affatto clericali - non si arrischiano a dire certe stupidaggini (a parte certe sezioni fondamentaliste di esse).

2) la persistenza di una pervicace ignoranza nei riguardi dell'omosessualità, ossia come di una condizione dalla quale guarire e da reprimere, quando, invece, non è che un modo di essere che chiede la sua espansione armoniosa e ordinata.
L'atteggiamento nei riguardi dell'omosessualità da parte delle Chiese è la spia che indica il modo in cui esse concepiscono la sessualità in generale, il suo ruolo nella vita umana. Fintanto che certi signori non saranno in grado di ragionare in modo più umano e meno fobico, continueranno a sussistere squilibri e ci saranno ragazzi che si sentiranno esclusi.

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