uno specchio opaco

L'accettazione dell'identità gay, capire di essere gay
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matt80
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Re: uno specchio opaco

Messaggio da matt80 » lunedì 5 novembre 2012, 17:38

Ciao doubt,

ho letto il tuo post e intanto che leggevo, mi veniva da sorridere: mi sembra di leggere un po' la mia storia.
Accettarmi gay non è certo stato facile, avevo i tuoi stessi pensieri, le tue stesse paure, i tuoi stessi dubbi religiosi.

Come te, durante la mia adolescenza pensavo di essere etero, mi piacevano le ragazze e arrivai al punto di convincermi che amavo intensamente una mia compagna di classe (ma guardando oggi tale sentimento mi rendo conto che mi ero fortemente sbagliato, l'amore è tutt'altra cosa).

Poi, intorno ai diciottoanni, mi resi conto che anche i ragazzi mi piacevano e che forse non ero etero come pensavo e che forse ero bisessuale. Ma purtroppo mi sbagliavo anche su questo. Mascherai a me stesso la mia omosessualità come bisessualità perchè cosi mi accettavo, mi piacevano le donne e gli uomini e ciò mi faceva pensare di essere normale (ma in fondo cosa è la normalità?conformismo?o essere se stessi?) le donne mi piacevano sempre.

Quattro anni dopo, gettai la maschera che mi ero messo addosso e capii molte cose di me stesso: non ero bisessuale, sono gay. Capii che la mia era una falsa attrazione per le donne e che al contrario ero molto attratto dai ragazzi. Mi vennero in mente alcuni pensieri che facevo da bambino (peraltro mai detti a nessuno): da grande mi sarebbe piaciuto dividere la mia vita con un uomo. Quando mi resi conto della mia omosessualità furono dolori, incominciai a pensare di essere malato, diverso, sbagliato, che sarei rimasto solo per sempre, e che non capivo perchè una cosa del genere fosse successa a me. Poi, incomiciai a chattare, mi innamorai in modo platonico di un ragazzo, pur senza averlo mai visto, ci sentivamo solo per telefono e via sms. Quel sentimento mi aiutò tantissimo nel mio processo di accettazione.

Oggi, ormai sono passati nove anni. Sono felicemente fidanzato col ragazzo dei miei sogni (non ridete....è vero!!!) e capisco che ho sprecato molto tempo
nella mia processo di accettazione.

Caro doubt, NON stare a pensarci troppo, ma vivi le tue sensazioni e le tue emozioni, etero, bisex o gay che siano...

Doubt
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Re: uno specchio opaco

Messaggio da Doubt » venerdì 9 novembre 2012, 3:39

Di nuovo grazie a tutti per le osservazioni ;-)

@progetto gay: leggendo la tua spiegazione devo dire che ho provato un leggero brivido lungo la schiena perchè tenderei a ritrovarmi, più o meno, nella seconda tipologia di situazione da te descritta: rimozione della sessualità fisica dopo aver conosciuto la masturbazione, nel mio caso specifico, intorno ai tredici anni… mi ci ritrovo perché effettivamente ho vissuto e vivo in un ambiente familiare non propriamente sereno visto che i miei genitori, pur volendosi bene in qualche punto remoto del loro animo, sono ormai da anni ai ferri corti (mi sono fatto l’idea che siano incompatibili, nel modo di pensare e di agire) sebbene ciò non gli abbia impedito, singolarmente ma anche insieme, di dimostrarmi il loro affetto; più che altro i loro conflitti, la gestione dell’ambiente domestico (le frustrazioni e l’assenza di una comunicazione proficua che andasse al di là del litigio li hanno portati a rifugiarsi interessi che hanno reso la casa difficilmente presentabile) ed il loro modo di interagire con gli altri hanno maggiormente inciso, penso, sulla mia capacità di relazionarmi con amici e conoscenti (insicurezze, gaffes,…). A ciò si aggiunge un’ educazione religiosa non opprimente ma comunque pervasiva (ed ora come ora io di certo non mi sento di rinnegarla, anzi) che mi spinge a ritenere la masturbazione come qualcosa di sbagliato. Tuttavia non mi sento psicologicamente costretto a rifiutarla nel senso che ho trovato a poco a poco delle motivazioni che mi hanno spinto a considerarla sbagliata. Quella principale è semplicemente che dopo l’atto masturbatorio mi sentivo in colpa ed insoddisfatto senza capire il motivo (in chiesa, durante il catechismo, a casa non mi sono mai imbattuto in discorsi sulla sessualità e quindi nessuno mi hai mai detto che la masturbazione fosse immorale o altro); di consesguenza pur non avendo afferrato la ragione di questa colpa ed insoddisfazione, mi sono convinto che qualcosa non andasse. In più ho la sensazione che se mi masturbo, mi comporto, non avendo mai avuto un rapporto sessuale con un’altra persona, come una persona sessualmente repressa (capisco che molti degli utenti mi diranno “io mi masturbo pur avendo una vita sessuale attiva” ma se uno si mette nella mia prospettiva posso assicurare che le sensazioni sono molto diverse). Faccio infine presente come io abbia iniziato a masturbarmi quando il rapporto tra i miei genitori si stava già ampiamente sfaldando ed in questi anni di rifiuto la situazione non è cambiata, al massimo peggiorata. In che modo l’ambiente familiare può avermi potuto condizionare in questo ambito? Infine una seconda domanda, che mi inquieta molto di più: in base alla tua spiegazione, secondo te quali possono essere le conseguenze su di me, e soprattutto sugli altri, di questa mia rimozione della sfera prettamente sessuale nel lungo termine?


@alyosha: ti posso assicurare che in questi anni ho nutrito tanta, ma tanta, fiducia negli altri. In diversi casi era mal riposta ma nonostante ciò ho continuato a non mettermi sulla difensiva ed ancora oggi, come si può intuire dalla parte finale del mio primo post, nutro tanta fiducia verso parenti, amici, estranei. La mia chiusura nasce più dal sentirmi inadeguato (chiaramente non per motivi sessuali) quando sono in mezzo ad altre persone. E’ vero che non devo dimostrare nulla a nessuno però non posso nemmeno ignorare l’opinione altrui perché per me conta, soprattutto se si tratta di amici di lunga data e familiari. In fondo il coming out non nasce proprio dall’esigenza di far conoscere agli altri un lato importante di se stessi e dall’ aspettativa di essere accettati comunque? La mia conoscenza del mondo omosessuale è davvero limitata però nutro seri dubbi nel pensare che la maggior parte degli omosessuali si dichiari per questioni di onestà, volontà di rimarcare la normalità dell’essere gay, rifiuto nell’interiorizzare i pregiudizi altrui,…il motivo principale, penso, è l’insofferenza nel dover nascondere in ogni frangente i propri gusti sessuali e la contemporanea speranza di non veder mutare il rapporto con la persona a cui ci si confida a causa del proprio orientamento. Ammetto però che, forse anche per merito vostro, proprio in questi giorni ho maturato l’idea che nel caso in cui dovessi legarmi sentimentalmente con qualcuno non sarei affatto tenuto a confidargli i dubbi sulla mia sessualità.

@yin-yang: mi piacerebbe capire cosa hai trovato di contraddittorio nelle mie perplessità. Sai, io attribuisco, forse facendo bene o forse facendo male boh, molta importanza alla coerenza di una persona e di un discorso. Certe contraddizioni non sono visibili a noi stessi ma solo agli altri e quindi può darsi che tu abbia notato nel mio discorso elementi in contrasto che a me invece sfuggono.
Detto questo, condivido praticamente tutto quello che hai detto ed in fondo il tuo consiglio nello smettere di fare analisi su analisi rispecchia quanto intendo fare. Alla fine della lettura del tuo commento mi sono chiesto “ma cosa ci faccio in questo forum? Perché voglio capire se sono etero, omo o bisessuale?” La mia risposta immediata, senza rifletterci più di tanto, è che lo faccio non tanto per me stesso (i miei dubbi religiosi o sulla possibilità di avere dei figli non li vedo come ostacoli insormontabili in questa fase della mia vita) ma più per chi mi sta accanto. Gli altri si aspettano che io sia eterosessuale o che per lo meno abbia chiarito qual è il mio orientamento. Però forse questa è più una mia aspettativa sulle opinioni altrui, magari infondata. E così ora mi ritrovo a non sapere nemmeno io perché sono qui a confidarmi… di certo però, limitandomi a dove arriva la mia consapevolezza, in questo momento non avverto l’esigenza di distinguere in modo chiaro quali sono i miei gusti sessuali. Spero che il discuterne a riguardo mi aiuti a fare luce sui veri motivi che mi spingono a pormi tali interrogativi.

@machilosa: innanzitutto scusami per aver storpiato ripetutamente il tuo nickname! La tua spiegazione su cosa vuol dire riproduzione della specie e la relazione di ciò con l’omosessualità è davvero interessante (l’hai elaborata in modo autonomo? In questo caso, complimenti!). Il mio dubbio però non riguarda la compatibilità tra una persona omosessuale e la possibilità di evoluzione della specie ma il rapporto tra la pratica omosessuale e lo scopo riproduttivo (sempre non a livello statistico ma in termini di funzionalità generica di tale atto). Faccio un’esempio per essere più chiaro: poniamo che esistano 100 individui omosessuali di una determinata specie. Tutti i 100 esemplari potenzialmente contribuiscono alla trasmissione del patrimonio genetico ma alla fine chi effettivamente, tramite il rapporto sessuale, è in grado di fare ciò? Nessuno, o sbaglio?
Per quanto riguarda la questione dell’intelligenza, non intendevo assolutamente dire che l’uomo sia l’unico essere intelligente mentre le altre specie sono idiote, anche perché, dopotutto, deriviamo da delle scimmie. Volevo semplicemente osservare come, allo stadio attuale, l’uomo possiede una capacità intellettiva molto più articolata rispetto alle altre specie; ciò non vuol dire che quella di queste ultime non possa essere articolata, lo può essere ma ad un livello inferiore. Tra 5miliardi di anni il Sole inghiottirà la Terra, senza alcuna speranza di sopravvivenza per tutte le specie viventi. Chi ha più possibilità nel lunghissimo termine di poter trovare una soluzione nei confronti di tale evento e di adattarsi quindi a tale problema? Un’ uomo o un delfino? Io sinceramente penso l’uomo…
Parlando di superbia intellettuale non mi riferivo ad una superbia nei confronti degli altri ma ad una superbia verso Dio.
Scusa per queste risposte striminzite ma mi sembrava di aver aperto un discorso, secondo me più che interessante, che va un po’ fuori l’argomento del topic ;-)
In effetti non è che io stia cercando di evitare la situazione, come invece è capitato nel tuo caso (ma leggendo alcune pagine del topic riferito ad esso mi sembra che tu abbia finalmente superato tale scoglio), semplicemente non è arrivata! Ovviamente ti parlo di ciò di cui riesco ad essere consapevole...vai a capire cosa mi frulla in testa e nell'animo incosciamente...



@matt80: uno dei miei dubbi combacia perfettamente con la tua esperienza, ossia il sapere se sono bisessuale (attualmente, se fossi costretto a darmi una risposta, mi identificherei con tale orientamento) oppure se ciò è frutto di una velatura mentale, ad opera di un filtraggio sociale e culturale del mio modo di pensare, e che quindi, in realtà, sono omosessuale.
Certo che è bello sentire di un rapporto che dura da 9anni…porta tanta speranza! E se fossi in te (mi permetto una piccola e modesta osservazione) non starei a rodermi il fegato per aver “sprecato tempo”. In ogni ambito della vita ci sono cose che non capiamo immediatamente ma dopo un lungo processo, l’importante è comprenderle quando non sia troppo tardi no? E nel tuo caso non mi sembra proprio che tu abbia fatto goal a partita ormai terminata ;-)


Buona notte a tutti (e buona giornata a tutti per chi leggerà il messaggio nei prossimi giorni) :)

Alyosha
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Re: uno specchio opaco

Messaggio da Alyosha » venerdì 9 novembre 2012, 11:20

Esiste un motivo ben preciso per cui odio l'inglese ed è che le cose dette in inglese non significano nulla. Il coming out indica letteralmente il processo del venir fuori, il percorso di emersione, è un movimento non un gesto. La parola che meglio definisce è emancipazione e se usassimo quella come parola capiremmo subito che uno non ha senso fare emancipazione con qualcuno, due è un movimento più generico che ha a che fare con la crescita in generale, terzo che non è un gesto ma un percorso che riguarda il singolo, come la società come il percorso storico che sia lui che la sua società stanno facendo. Ci si emancipa dalla famiglia e dai valori che ci hanno insegnato, si rimettono in discussione leggi che sembrano imposte dalla natura, ci si emancipa da una società che ci impone le sue regole di condotta e visioni morali, ci si oppone a quelle visioni morali. Si rifiuta dentro sé l'occhio degli altri e si impara a guardare se sstessi e il mondo con i propri occhi. Insomma emancipazione come opposto di emarginazione. Il primo è il movimento con cui le minoranze emergono, il secondo quello con cui reimmergono. L'atto del dire a qualcuno che si è gay è il modo più stupido (e quindi inglese) di interpretare l'emancipazione. Se non c'è un percoso alle spalle che presuppone questa ristrutturazione interiore, il gesto resta vuoto e privo di alcun significato. Cosa succede di solito? Che la gente confonde gli addendi e pensa che i cambiamenti possano partire dal fatto stesso di dirlo, quando invece è l'esatto contrario, più questo percorso interiore prende strada, più ciascuno di noi esteriormente condiziona la realtà, la trasforma, nel senso di reinterpreta, la rivaluta. In questo spazio scaturisce l'esigenza di parlarne con qualcuno prima e poi via via presentare agli altri la nuova forma del proprio Io. Ho invece l'impressione che molti, almeno nelle intenzioni, immaginano il c.o. quasi come un ariete, per forzare ogni porta e ricalibrare ogni loro rapporto e in qualche modo forzano anche loro stessi convinti che dicendolo le cose cambieranno. Cambiare, cambiano, ma non è dettto che poi si è preparati a governare questo cambiamento.

Doubt
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Re: uno specchio opaco

Messaggio da Doubt » martedì 13 novembre 2012, 1:24

Ciao alyosha!
Premesso che l’inglese è una lingua che non disprezzo affatto (già il fatto che ci permette di parlare, a differenza di tutte le lingue attuali e del passato, praticamente con chiunque nel mondo la rende pregevole), penso che il termine in questione possa tranquillamente riferirsi sia ad un movimento fisico che ad un’azione non fisica; la multivalenza dei significati è tipica di ogni lingua indoeuropea, magari nell’inglese è un fenomeno più diffuso.
Correggimi se ho capito male ma secondo te ciò che noi generalmente indichiamo come “coming out” sia un processo di emancipazione giusto? A mio modo di vedere il processo di emancipazione è solo una componente, nemmeno prioritaria, del coming out (perdonami se continuo ad usare questo termine a te non particolarmente gradito ma lo faccio giusto per intenderci senza equivoci) personale; se invece parliamo del percorso di affrancamento dallo stato di inferiorità degli omosessuali all’interno della società civile e politica mi trovi totalmente d’accordo. Io mi posso liberare dai vincoli culturali e sociali imposti dall’ambiente in cui vivo ed accettare il mio orientamento sessuale ma il successivo coming out, sia che lo si consideri come una fase finale del mio processo dia accettazione, sia che venga considerato come un qualcosa di distinto da tale processo, rimane comunque al massimo collegato al percorso di accettazione, che in fondo si traduce in un percorso di emancipazione. Se decido di confidare a qualcuno la mia omosessualità, lo faccio, ma sarebbe solo la mia situazione personale, perché magari non riesco più o sopportare l’idea che questo qualcuno continui a vedermi, per quanto riguarda la sessualità, in un modo che non corrisponde alla realtà e perché non voglio più nascondere i miei gusti sessuali o addirittura una relazione sentimentale con un altro ragazzo (posso pure aver concluso il mio processo di emancipazione personale ma a quel punto devo confrontarmi con l’apertura mentale o meno di chi mi sta di fronte).
Giusto per evitare fraintendimenti, io non sono affatto un difensore del coming out, anzi, lo trovo potenzialmente pericoloso ed irritante. Pericoloso per le ragioni da te esplicate sopra ed in particolare perché non è possibile prevedere le reazioni altrui (e non parlo di esplicite forme di discriminazione ma di quelle più subdole, difficili da individuare e da estirpare). Irritante perché l’orientamento sessuale non dovrebbe essere oggetto di confidenze e dichiarazioni. Io dichiaro il mio orientamento politico, confido un tradimento, non devo di certo mettere sul piatto di una discussione il sesso di chi vorrei portarmi a letto. Fin quando esisterà il coming out non ci sarà mai parità tra eterosessuali ed omosessuali.

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Re: uno specchio opaco

Messaggio da Alyosha » martedì 13 novembre 2012, 10:36

Anche l'italiano ha mille sfumature di sifnificato è che a forza di usare l'inglese ce le dimentichiamo, rivendiacavo il diritto a pensare in italiano, che poi sarebbe anche un diritto ad elaborare in maniera autonoma i significati delle cose.
Non voglio persuaderti a tutti i costi, ma "coming out" neanche mettendoci sottosopra può significare dire della propria omosessualità a qualcuno. Potrebbe tradurlo "venir fuori", nel senso di "emergere" ma il corretto traducente mi pare proprio "emanciparsi". L'emancipazione è il movimento del singolo, della comunita e della storia. Dal punto di vista individuale è il movimento con cui ciascuno si "accetta", nel senso di rinunciare alle visioni del mondo che ha imparato, ai precetti morali e a leggi, per rifondarle dentro sé dandogli un significato del tutto diverso. In questo movimento interiore, l'estriorità si adatta alla nuova figura e il risultato finale potrebbe essere inteso nel senso ordinario che si da al coming out, che in effetti non è "dirlo", ma un "lasciar vedere", ovvero, un non vergognarsi più di ciò che si è o meglio ancora un aver capito fino in fondo cosa si è a tal punto che si capisce pure che non v'è nulla di cuiv ergognarsi. Prima di "dirlo" in pratica è necessario dare forma alla propria omosessualità, capire cosa sia, dargli un contenuto insomma.
Per il resto se letto così il c.o. non equivale per niente al "dirlo", ma all'esprimere se stessi e siccome non tutti siamo uguali, non tutti ci troveremo ad esprimerci allo stesso modo. C'è chi vorrà per sé più riservatezza, chi sentirà l'esigenza di dirlo proprio a tutti, chi a qualche a mico, chi semplicemente di fregarse. Per il resto perfettamente d'accordo, se nonci fosse l'omofobia non ci sarebbe nemmeno bisogno di c.o.. Se non ci fosse emarginazione non ci sarebbe bisogno di emancipazione. Vedere il c.o.come un movimento di emancipazione significa al contempo collocarlo, rispetto alla propria comunità e periodo storico. Questo vuol dire anche che non si può fare in astratto c.o., ma solo rispetto al sistema di relazioni che si vivono e alla fase storica che si attraversa ed entrambe queste componenti andrebbero sempre tenute presenti. In ogni caso l'atto materiale del dirlo, quando questo succede è solo l'epifenomeno, la parte superficiale di un processo che ha o dovrebbe avere radici più profonde. E' più il risultato di un processo, che il motore del processo stesso. Tante volte invece si confondono le cose e si pensa che dicendolo si innescheranno cambiamenti interni ed esterni, si immagina il c.o. come passo iniziale in altre parole, ma per me le cose non possono stare così.

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