GAY E STRADE SBAGLIATE

L'accettazione dell'identità gay, capire di essere gay
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GAY E STRADE SBAGLIATE

Messaggio da progettogayforum » sabato 8 aprile 2017, 16:26

Caro Project,
ho scaricato dal forum il libro sull’omosessualità che hai scritto “Essere Gay”, non l’ho letto tutto perché molte questioni non mi toccano direttamente, ma ne ho letto un bel po’. Sostanzialmente condivido quello che dici, ma c’è un punto che mi sembra un po’ trascurato e penso che potrebbe essere utile aggiungere qualche puntualizzazione sulle trappole in cui può finire un gay che si fa condizionare troppo dalla famiglia e dalla gente in generale. È per questo che ti mando la mia storia, vedi tu se ti sembra il caso di metterla nel libro.

Ora ho 41 anni e tutto sommato sono tranquillo, ma al tempo in cui cominciarono i miei problemi ne avevo poco più di 14. Vengo da una famiglia piccolo borghese di funzionari dello stato, sia mio padre che mia madre e anche i miei nonni materni, Ho passato un’infanzia tutto sommato felice ma non ne ricordo gran che, dai 13 anni in poi ho cominciato ad avvertire un interesse spiccatamente sessuale per i miei amici maschi. Avvertivo chiaramente che avevo un bisogno quasi fisico della loro compagnia, mi piacevano anche e soprattutto fisicamente, almeno alcuni, ma alla cosa non davo particolare peso, avevo un amico stretto che si chiamava Attilio e ne ero innamorato, ma ancora non me ne rendevo conto. Più o meno in quel periodo ho cominciato a masturbarmi e le fantasie che facevo riguardavano tutte Attilio. Una domenica andammo al mare (io e la mia famiglia) e venne pure Attilio, ci cambiammo per fare il bagno sotto un ombrellone con un telo intorno. Per me vedere Attilio nudo fu una cosa sconvolgente, lui nemmeno ci fece caso. Quella immagine me la porto fissa in mente da allora e ancora adesso è oggetto per me di fantasie sessuali. Avevo 13 anni, probabilmente avevo già sentito parlare dei gay, ma li identificavo come personaggi da operetta che parlano in falsetto, come quelli dei film comici e quindi l’idea che il mio interesse per Attilio avesse qualcosa a che vedere con l’essere gay, proprio non mi passò per la testa, come non ebbi il minimo senso di colpa, la cosa mi sembrava del tutto naturale.

A 14 anni mi mandarono in una “buona” scuola privata, retta da religiosi a fare il mio percorso ovvio di liceo classico, il problema della scelta non si pose neppure, a scuola andavo bene e la mia famiglia aveva i suoi complessi di identità sociale. Cominciai il quarto ginnasio, l’insegnante di religione organizzava i ragazzi, che rimanevano il pomeriggio in una specie di oratorio. L’ambiente all’inizio non mi piacque proprio, c’erano i biliardini, il calcio balilla, i tavoli da ping pong e avevo l’impressione che quelle fossero solo esche per attirare i ragazzi e per indottrinarli al meglio. In quell’ambiente sono cominciate le mie angosce, prima non avevo alcun problema con l’omosessualità, me la vivevo tranquillamente e non sapevo nemmeno he si chiamasse omosessualità ma, quando ho cominciato il quarto ginnasio e l’indottrinamento religioso pomeridiano, le cose sono cambiate e molto radicalmente. Mi sono fidato troppo, o forse ero troppo giovane per ragionare con la mia testa. Prima del quarto ginnasio non avevo avuto nessun rapporto con la chiesa, i miei non ci andavano quasi mai e io non avevo nemmeno fatto la prima comunione. Quando l’insegnante di religione lo seppe parlò coi miei e mi spedirono al catechismo anche se ero un po’ troppo grande in mezzo a tanti ragazzini, ma ci fu poco da fare, il catechismo e l’oratorio erano un po’ un’appendice obbligatoria della scuola. Sorvolo sul senso iniziale di rigetto che certe cose mi ispiravano, finii comunque praticamente succube di un prete che era diventato il mio confessore (una volta alla settimana), non era il mio insegnante di religione ma era un prete di una chiesa vicino all’oratorio. Questo prete mi mise molte volte in un imbarazzo terribile con l’ossessione della purezza, perché una volta capito che la masturbazione era considerata peccato mi sentii nella necessità morale di confessarla, e la sensazione di liberazione che mi veniva dall’assoluzione mi sembrava qualcosa che autenticamente liberatorio. Comunque a me non passava neppure per la testa che il fare fantasie su un ragazzo invece che su una ragazza potesse essere qualcosa di terribile. Un giorno il prete mi disse in confessione che dovevo evitare assolutamente sia la masturbazione che il toccarsi reciprocamente, e che al massimo potevamo accarezzarci un po’ e darci qualche bacetto come amici perché la vera sessualità è lecita solo dopo il matrimonio, la cosa mi suonò strana e sentii la necessità di precisare che io non pensavo a una ragazza ma a un ragazzo, al che il prete rimase un attimo zitto e poi disse: “Oddio!” come se gli avessi confessato di aver ammazzato qualcuno. Da allora è cominciata un’autentica tortura. Il prete si era messo in testa di riportarmi sulla buona strada e mi faceva dei discorsi che io ascoltavo molto passivamente, tipo; “Che cosa direbbe la tua mamma se lo sapesse!” Da allora è cominciata la mia auto-repressione, avevo appena compiuto i 15 anni. Ovviamente promisi mille cose, feci voti alla madonna e a tutti i santi di lasciare certe “abitudini perniciose” ma le abitudini rispuntavano sistematicamente. Se per una settimana riuscivo a non masturbarmi venivo lodato a nome di Gesù, se non ci riuscivo mi veniva ricordato che era come se gli avessi inchiodato io la mano sulla croce. Comunque arrivai alla comunione e anche alla cresima, e qui voti e promesse si sprecarono, ci misi la massima buona volontà ma non durò per più di 10 giorni, ormai ritenevo sostanzialmente impossibile adeguarmi a quello che mi si chiedeva, e, cosa ancora più assurda, mi veniva suggerito di frequentare delle ragazze e di evitare di stare con i miei compagni di scuola.

Mi obbligai a provarci e probabilmente commisi così il peggiore errore della mia vita, perché cominciai a non scappare più ma in un certo senso a dare corda ad una ragazza di 14 anni, figlia di una lontana cugina di mia madre e considerata da sempre un po’ come una persona della nostra famiglia, era d’altra parte l’unica ragazza che frequentava casa mia. Si chiamava Lucia, non era brutta, era alta, aveva un bel sorriso e per un ragazzo interessato alle ragazze poteva essere veramente attraente, ma certamente non per me, comunque era acqua e sapone, niente trucco, niente smalto, niente vestiti eccentrici, insomma non mi provocava le sensazioni di netta repulsione che provavo per altre ragazzine molto civette.

Un giorno Lucia sta a casa nostra a pranzo, mia madre e sua madre stanno in cucina e noi siamo soli nella mia stanza a sentire musica, lei mi sorride, fa una piroetta su se stessa (al tempo andava a scuola di danza) e i sui capelli liscissimi si aprono come un ombrello. Aveva belle mani, dico belle nel senso di non molto femminili, mani ben formate e non piccole. Resto colpito dai suoi atteggiamenti, non mi attira ma non provo alcun rigetto, se mai una qualche curiosità, mi lascio andare a sorridere a mia volta. Non segue nessun tentativo di andare oltre né da parte sua né tantomeno da parte mia. Io non so che dire, parlo della mia scuola e le dico che non mi piace, lei mi racconta della sua, un altro classico ovviamente, e non ne dice affatto bene, dice che è un posto asfissiante, e che le manca l’aria quando sta lì dentro. Non recita con me, mi sembra una ragazza intelligente e poco disponibile a farsi addomesticare, ma non è rabbiosa contro i genitori e contro la scuola, però ha un cervello suo e mi colpisce. Mi fermo a pensare che se fosse un ragazzo sarebbe il ragazzo ideale per me. Io ero tutto obbedientino e pieno di sensi di colpa, lei, anche se era ancora quindicenne era molto emancipata e in fondo la ammiravo soprattutto per questo. Cominciammo a frequentarci un po’ meno formalmente, cioè a parlare in modo più serio tra noi, in pratica divenne un’amica. Non raccontava niente alla madre di quello che ci dicevamo e io apprezzavo moltissimo questa cosa. Parlammo anche di religione e io restai un po’ sconvolto perché lei non se ne sentiva affatto condizionata, quando facevo il moralista mi guardava con uno sguardo di commiserazione come per dire: “Ancora a questo punto stai!” Lucia fu la mia migliore amica, anzi la mia unica amica anche per tutto il quinto ginnasio e il primo classico, uscivo con lei quasi tutti i giorni, ci scambiavamo qualche carezza ma niente che a me sembrasse sessuale, non ci aveva nemmeno provato e io meno di lei, ma per tutti, piano piano siamo diventati i due classici fidanzatini, ci chiamavano Valentino e Valentina. I nostri genitori non ci creavano problemi e anzi vedevano di buon occhio il nostro rapporto. Parlando coi miei compagni di scuola mi rendevo conto che quello che loro cercavano dalle ragazze non era quello che cercavo io. Lucia non tentava approcci di altro genere e questo mi rassicurava e mi spingeva ad andare avanti nella relazione e mi permetteva si sentirmi etereo, cioè “normale”, parola orribile. In secondo classico cominciai a chiedermi perché Lucia non ci provasse con me, perché sarebbe stato facilissimo, quasi scontato, ma non accadeva, ne pensai di tutti i colori, pensai che fosse lesbica e che si fosse innamorata di un’amica, ero talmente portato a dare credito a questa ipotesi che fui sul punto di fare coming out con lei, ma alla fine non lo feci. Fatta la maturità io cominciai a pensare all’università, ma lei mi propose di andare in vacanza insieme in Spagna prima dell’inizio dell’università e qui cominciai ad andare in crisi: entrambi maggiorenni, in vacanza insieme, in albergo insieme, da soli … la situazione si presentava imbarazzate anche se era pur vero che lei non ci aveva mai provato prima neppure a livello minimo. Non sapevo che fare. Poi Lucia mise in mezzo mia madre, che disse che per lei andava bene, e per me fu quasi impossibile tirarmi indietro. Partimmo in aereo per le Baleari, albergo prenotato a Formentera, due singole, noi due soli. Galeotta fu la vacanza... finimmo a letto insieme, mi faceva una strana sensazione, scusa l’espressione, ma quando l’accarezzavo dovevo evitare i seni e quando scendevo tra le gambe immaginavo che ci fosse un pisello ma non c’era. Il primo giorno solo petting, anche se lei voleva di più, il secondo giorno petting più spinto, io andavo in erezione e la cosa per lei era molto importante, ma niente sesso vero e proprio, il terzo giorno me lo propone e mi dice che se ho paura che rimanga incinta si è portata i preservativi, riesco a driblare per un giorno, poi il quarto giorno non riesco a sottrarmi e abbiamo un rapporto completo, anche se protetto, lei è contentissima e sorridente, io sono sconvolto… ho fatto sesso con una ragazza e non è stato poi così terribile, però mi sento strano, molto strano, mi sento fuori posto, come se ci fossi stato portato con l’inganno, lei è contenta, io no! La tratto con durezza, non ho più voglia di parlare con lei, non è più la mia amica, la tengo a distanza, lei se ne accorge e non capisce il perché, poi facciamo pace ma decidiamo che al massimo ci saremmo coccolati un po’, il che, onestamente, non fu meno sgradevole che fare sesso, perché mi sembrava di dover recitare controvoglia, però, la parola terribile tornava a galla, in fondo (forse) ero un ragazzo “normale”, ma che senso aveva essere un ragazzo normale se bisognava fingere a quel modo?

Torniamo in Italia, diradiamo i contatti al minimo, dobbiamo fare i test di ammissione all’università e dobbiamo studiare, facciamo i test e li passiamo. A settembre cominciano i corsi preliminari della mia facoltà, sono quasi tutti ragazzi e sono bellissimi, mi sconvolgono proprio, ce ne sono un paio, uno in particolare, che mi attirano proprio sessualmente in modo fortissimo, il pensiero corre spontaneamente ad immaginarli nudi ed eccitati. Con Lucia non mi è mai capitato niente di nemmeno vagamente simile. Mi sono detto che con Lucia dovevo chiudere, potevo anche fare l’amore con una donna ma non era quello che volevo e non mi dovevo fare incastrare, altrimenti sarei stato condannato a vita a fare l’amore con le donne. Cominciai molto nettamente a prendere le distanze da Lucia, dovevo studiare per gli esami ed ero riuscito a fare amicizia con i due ragazzi che mi interessavano di più e studiavamo tutti e tre insieme a rotazione un giorno a casa dell’uno e uno giorno a casa dell’altro. Non sapevo se fossero etero e sospetto fortemente di sì, ma non me ne importava nulla, erano bellissimi, erano i ragazzi che avevo sempre sognato. Lucia pensava che io avessi un’altra ragazza, l’idea che io fossi gay non l’ha mai sfiorata, lei pensa che i gay siano quelli che vanno in giro con le penne di struzzo, ma non sarò certo io a spiegarle che non è così, e poi, se sapesse che ha fatto l’amore con un gay ci resterebbe malissimo, quindi… alla larga!

La svolta della mia vita l’ho avuta con l’inizio della specialistica. Studiavo con un ragazzo che mi piaceva moltissimo ma che pensavo fosse etero, anche se speravo fosse gay. Un giorno, in un attimo di pausa, mentre stavano sgranocchiando un panino, passano in TV un servizio sui gay e lui mi dice: “Un po’ di prudenza va bene, ma a uno come te io non ho problemi a dire che sono gay” Io gli ho risposto: “Anche tu?” poi ci siamo guardati in faccia e siamo scoppiati in uno “Wow!” potentissimo. Adesso sono quasi 18 anni che stiamo insieme! Lavoriamo insieme, siamo amici, viviamo insieme e ovviamente andiamo anche a letto insieme e mi sento felicissimo di non essere normale!

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Re: GAY E STRADE SBAGLIATE

Messaggio da agis » sabato 8 aprile 2017, 16:52

Certo anche 'sta Lucia... immaginar project ad andare in giro con le piume di struzzo... tzè :roll: Ci sono cose che neppure una talpa immagina epperbacco! :lol:

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