VITA DI UN RAGAZZO GAY

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progettogayforum
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VITA DI UN RAGAZZO GAY

Messaggio da progettogayforum » venerdì 5 aprile 2013, 18:31

Ciao Project,
circa un mese fa, navigando in internet, ho trovato progetto gay che mi ha sorpreso perché è una cosa unica nel suo genere. All’inizio mi ha colpito la sobrietà dei siti, l’assenza di pubblicità erotica, poi ho cominciato a leggere e mi ha colpito il fatto che ho letto moltissime cose del tutto simili a quelle che sono capitate a me e questo fatto, per me, è stato molto importante. È per questo che ho deciso di scriverti superando tanti dubbi e tante resistenze. La mia vita non ha niente di particolare, sono uno studente di ingegneria, vengo da una famiglia tutto sommato normale. Mio padre e mia madre più o meno vanno d’accordo, mia sorella si è sposata l’anno scorso e non vive più con me. I miei genitori non sanno nulla di me e io mi guarderò bene dal dire loro come stanno le cose perché penso che per loro sarebbe solo un trauma, non penso proprio che sarebbero in grado di capire, sono bravi genitori, né troppo invasivi, secondo il loro modo di vedere, né troppo per i fatti loro. Non parlerò con loro perché voglio evitare loro uno stress inutile, hanno troppo fissa nella testa l’idea che i figli devono essere a loro immagine e somiglianza. Non saprei dire se siano credenti oppure no e fino a che punto, vanno in chiesa la domenica e io vado con loro come se fosse una cosa naturale perché loro se lo aspettano, mia madre si confessa ogni tanto e fa la comunione, papà no, ma almeno hanno il buon senso di non farmi pressioni su queste cose. Per mia fortuna sono ancora giovane e miei pensano che io debba sbrigarmi a laurearmi e quindi il fatto che io non abbia una ragazza passa in secondo piano, perché sarebbe una distrazione dall’obiettivo fondamentale. Mio padre e mia madre nei confronti dei gay hanno atteggiamenti che mi danno profondamente fastidio ma che devo tollerare per quieto vivere: non ne sanno nulla, credono di sapere e di capire tutto, sono comprensivi verso i gay proprio come lo sono i preti, sono disposti a perdonare il vizio per la debolezza della carne perché “sono persone anche loro” (che grande concessione!) ma non ammetterebbero mai che due ragazzi possano volersi bene perché “è così bello seguire la natura!” e “tra due uomini o tra due donne l’amore non ha senso”. Io li lascio parlare perché hanno bisogno di convincersi di avere ragione. Con questo voglio dire che praticamente il rapporto coi miei genitori non esiste ma loro nemmeno se ne rendono conto, per loro è molto più importare avere ragione. Staccarmi dalla mentalità dei miei e cominciare a ragionare con la mia testa non è stato facile, a 18 anni sono andato a confessarmi per l’ultima volta, ho detto al prete che ero gay e mi ero innamorato di un ragazzo, il prete non concepiva nemmeno l’idea che potesse essere un sentimento vero e profondo, è partito a ripetere certe cose che mi hanno offeso profondamente e quello che mi ha detto mi è sembrato così palesemente falso e immorale tanto che mi sono alzato e ne me sono andato. Non accetto l’idea che un sentimento che io considero la cosa più importante della mia vita possa essere oltraggiato da chi non capisce nemmeno quello che dice e pensa di parlare in nome di Dio. Non ho avuto più ripensamenti, certe volte, in chiesa, sento delle omelie che mi danno violentemente fastidio ma faccio come se stessi pensando proprio ad altro, agli esami, all’università, ecc. ecc.. Ai tempi del liceo avevo ancora tanti dubbi per la testa, non dubbi su quello che ero, ma dubbi su quello che avrei dovuto fare. Ricordo un fatto preciso, al penultimo anno di liceo il prof. di Italiano ci diede un tema sulla violenza. Io pensai di parlare oltre che di violenza contro le donne, di razzismo e delle solite cose e anche di omofobia, ma poi lasciai perdere del tutto l’idea, quando il prof. riportò i compiti, nel commentarne uno disse a uno studente: “Hai trattato tanti aspetti del problema: l’intolleranza religiosa, la violenza negli stadi, l’omofobia, la violenza contro le donne…”, al sentire la parola omofobia mi sono sentito gelare e gli sguardi di tutti i ragazzi si sono concentrati sullo studente col quale il professore stava parlando e i sorrisetti maliziosi non sono mancati. Quel ragazzo di sicuro non è gay ma la parola omofobia ha suscitato una reazione particolare tra i miei compagni di scuola, per loro è solo un’allusione più o meno ridicola alla omosessualità che loro conoscono solo dalle barzellette e come una barzelletta è stata interpretata. Ovviamente avevo fatto bene a non parlare di omofobia. Non credo che i miei compagni di scuola fossero omofobi, semplicemente non si ponevano nemmeno il problema, per loro i gay erano una specie di tribù ai margini della realtà, per loro un gay doveva avere delle caratteristiche molto riconoscibili, non si rendevano nemmeno conto che il fatto che ridessero della parola omofobia a qualcuno potesse dare fastidio, in fondo loro non erano omofobi, erano superficiali (stupidi) e non avevano nessun bisogno di capire, perché era una cosa che non li interessava proprio. Istintivamente mi sono sempre tenuto lontano dalle comitive, dalla amicizie troppo strette e dai giri di pettegolezzi e questo mi ha aiutato a terminare il liceo mantenendo intatta la mia fama di falso etero. Al liceo ipotizzavo che un mio compagno di classe fosse gay, poi le mie previsioni sono state totalmente smentire. All’università mi sono trovato immerso in un mondo del tutto diverso. Avevo frequentato il classico, con una forte maggioranza femminile (più di 2/3 della classe era composto da ragazze), la facoltà di ingegneria era invece a forte prevalenza maschile, e tanto più l’indirizzo che avevo scelto io. Per un gay che veniva dall’esperienza del liceo classico, trovarsi in un’aula di ingegneria era come essere il classico bambino nella pasticceria: una tentazione enorme, un ambiente che creava una comunità quasi completamente maschile. Alcuni ragazzi erano proprio bellissimi. Se mai avevo avuto qualche piccolo dubbio circa il fatto di essere gay mi è passato subito dopo aver cominciato a frequentare le lezioni di ingegneria, poi si andava a lezione insieme, alla mensa insieme, nelle sale di studio della biblioteca insieme, si passavano insieme le ore di intervallo tra una lezione e l’altra e inevitabilmente ci si metteva d’accordo per passare anche il tempo libero insieme. Aggiungo che l’ambiente non era pettegolo e che i ragazzi non erano affatto fissati che parlavano solo di tette e culi, anzi, quando capitava, piuttosto raramente, qualche discorso che toccava anche l’omosessualità non c’erano risatine, battutine e cose simili ma discorsi seri molto lontani dagli stereotipi correnti, anche se, nonostante l’altissimo numero di ragazzi che frequentavano la facoltà non ce n’era nemmeno uno dichiaratamente gay, segno questo che quelli che c’erano non si fidavano di uscire allo scoperto, esattamente quello che facevo anche io. Dopo i primissimi giorni hanno cominciato a formarsi dei gruppi di studio stabili. L’elemento fondamentale di aggregazione era il livello di conoscenze e di competenze dei singoli. Quelli che erano evidentemente più avanti degli altri tendevano ad aggregarsi tra loro e quindi la selezione si faceva, diciamo così, per merito scolastico. Dopo pochi giorni, e dopo i risultati delle prime verifiche di profitto, il numero di studenti si è ridotto piuttosto drasticamente, in pratica circa il 40% ha cambiato indirizzo di studi e si sono formati due gruppi, quello dei geni sempre al primo banco durante le lezioni, sempre primi nelle valutazioni periodiche, ma parliamo di una decina di ragazzi in tutto, molto motivati ma in pratica si trattava di ragazzi che vivevano esclusivamente per lo studio; e un secondo gruppo, diciamo così di livello medio, con più o meno una ventina di studenti, e il gruppo di quelli che davano per scontato che non avrebbero terminato gli studi senza perdere almeno un anno. Io ero al confine tra il primo e il secondo gruppo, venivo dal classico e all’inizio per me è stata molto dura ma poi mi sono rimesso bene in carreggiata. Prima di entrare in facoltà pensavo che sarebbe stato tutto molto più facile, poi mi sono reso conto che per stare a galla a un buon livello avrei dovuto faticare moltissimo. Quelli del primo gruppo non perdevano un colpo, qualche volta ho provato a inserirmi tra di loro ma non reggevo il ritmo e, oggettivamente, erano a livelli molto più avanzati del mio. C’è poi un’altra cosa, quei ragazzi vivevano per lo studio, ammesso e non concesso che avessero una ragazza la vedevano probabilmente solo per un’ora la domenica e io, proprio perché mi sentivo come il bambino nella pasticceria, non volevo fare la loro fine, non dico che volevo fare una scorpacciata di dolci, ma almeno avrei voluto assaggiarne uno. In pratica io stavo lì, certamente per studiate, ma altrettanto certamente non solo per quello. Decisi che sarei rimasto tra quelli di livello intermedio, perché con loro i pomeriggi di studio non erano solo ed esclusivamente di studio, c’era anche la chiacchierata. Ho letto sul forum del radar gay, beh, in effetti, quando uno, cioè, meglio, quando un ragazzo gay si trova in un ambiente come quello in cui mi trovavo io come prima cosa va a occhio, cioè cerca i ragazzi più attraenti, ma se il criterio di orientamento fosse solo quello sarebbe facilissimo sbagliare bersaglio. E lì è cominciato, su quattro o cinque ragazzi, il gioco estenuante: è gay o non è gay? E siccome la parola d’ordine era solo studiare e nessuno parlava d’altro, dare una riposta circa la gaiezza dei miei colleghi era quanto mai difficile. A questo punto è intervenuto un fenomeno imprevisto. Un ragazzo né del gruppo dei geni né di quelli bellissimi e nemmeno di quelli ipoteticamente gay mi chiede degli appunti. Io non avrei dato il mio blocco di appunti a nessuno per tutto l’oro del mondo perché erano la mia ancora di salvezza e li conservavo con cura quasi maniacale, ma quel ragazzo me li chiede, glieli faccio vedere, poi mi chiede se può fotocopiarli e gli dico di sì, lui mi sorride e mi dice una frase di cortesia, più o meno che me li avrebbe riportati l’indomani. Sul momento penso che ho fatto male a darglieli ma poi sono contento perché è stata la prima occasione concreta per agganciare un ragazzo, mi chiedo come sarebbe se quel ragazzo fosse gay, ma, mi dico, non è uno dei bellissimi, sì, ha un bel sorriso, ma è tutto qui, ho prestato i miei appunti ad un ragazzo che ha un bel sorriso! Project, ora tu potresti pensare che quel ragazzo ora è il mio ragazzo, e invece no, perché il giorno appresso mi dà appuntamento per restituirmi gli appunti e si fa accompagnare dalla sua ragazza e me la presenta! Sono rimasto come un ebete, un po’ il cervello aveva cominciato ad andare per conto suo, ma per fortuna la cosa si è chiarita subito. Project, in sostanza il bambino è entrato nella pasticceria con l’acquolina in bocca ma è rimasto a bocca asciutta! Secondo le statistiche di progetto gay tra i miei colleghi ce ne dovrebbero essere almeno cinque o sei gay, uno sono io, diciamo quindi altri quattro o cinque ma sono nascosti bene, chissà se pure loro si trovano come i bambini nella pasticceria o ormai hanno deciso di dedicarsi esclusivamente allo studio? Non escluderei che qualcuno di quei genietti che sanno sempre tutto, poi sotto sotto sia un gay terribilmente frustrato. Poi è arrivato il secondo anno, siamo ulteriormente calati di numero e le gerarchie sulla base dei risultati degli esami sono ormai consolidate, io resto nel secondo gruppo, vado avanti ma non sono il nuovo Einstein e francamente non lo desidero nemmeno. Il mio sogno è vivere una storia d’amore, non so nemmeno se ne sarei capace però è certo che mi piacerebbe provare. Fino ad ora non è successo. Ecco, Project, questo è tutto, è banale lo so, niente amori travolgenti, niente delusioni deprimenti, solo tanti sogni troppo grandi e tanta realtà molto piccola. Pubblica questa mail se vuoi. Penso che te ne scriverò un’altra stasera con tre o quattro cose che non ho capito molto bene. Sei un grande, hai fatto un lavoro mostruoso che a me è stato utilissimo! Ciao.
Gay Hunter (ma in senso buono!)

barbara
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Re: VITA DI UN RAGAZZO GAY

Messaggio da barbara » venerdì 5 aprile 2013, 19:00

Per una volta mi viene da mettermi nei panni della madre di questo ragazzo.
Quanto di suo figlio sta perdendo in questi anni , e quanto perderà ancora...
Si tratta in fondo di una buona madre, che gli ha voluto bene e lo ha protetto, come solo una madre può fare. E magari il suo desiderio che il figlio si laurei riflette la genuina preoccupazione che possa avere un buon lavoro e andare per la sua strada. Eppure commette un errore capace di compromettere la cosa più importante: la fiducia. Commette l'errore di dare per scontato che suo figlio sia eterosessuale. E di conseguenza parla a vanvera di un argomento che non conosce per nulla, dicendo cose di cui si pentirà amaramente. Mi metto nei suoi panni e so che commettere errori è facile.
Un giorno lontano magari chiederà a suo figlio: perché non me lo hai detto? Perché mi hai lasciato dire cose per me senza importanza e così dannose per te? Perché non hai pensato che avrei potuto imparare da te una verità nuova , che mi avrebbe aperto gli occhi ?
Come genitori, abbiamo molto da imparare dai nostri figli. A volte la verità è proprio davanti ai nostri occhi e non la vediamo.
Vorrei dire a questo ragazzo di non dare per scontato che i genitori siano convinti di ciò che dicono. Sono persone come le altre, con i loro limiti, con le loro pigre consuetudini , fatte di frasi e di gesti tutti uguali, che si possono anche cambiare, se ne vale davvero la pena.

Alyosha
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Re: VITA DI UN RAGAZZO GAY

Messaggio da Alyosha » venerdì 5 aprile 2013, 22:05

Dunque proviamo ad essere sintetici. In effetti credo che le proporzioni non centrino nulla, ma molto più che sei passato dal liceo all'università. Mi riferisco a questo germoglio di vitalità che è apparso in te nella fase di passaggio. Tirando a indovinare sei prossimo alla laurea, il che spiega questo secondo passaggio (mi riferisco proprio a questa lettera) e finalmente un pizzico di apertura. SPero davvero ti iscriverai e che questo posto possa esssere un occasione per te per cominciare a comunicare. Purtroppo lo studio.... certo fai pure un'università bella pesante, ma c'è molta chiusura da parte tua, molta poca fiducia nei confronti del prossimo. Domanda gli appunti te li ha ridati? Come è stato condividere qualcosa? Certo leggere tutte le proprie relazioni in chiave "forse me ne potrei innamorare" non giova, perché "sporca" un pò le esperienze e le relazioni (che è poi la ragione per la quale bisognerebbe non vivere avendo in testa di dover trovare un ragazzo. Però insomma qualcuno aveva provato a rompere un pò questo muro spessissimo che ti isola dal resto del mondo è questa la cosa importante. Potresti provare sul serio a stabilire rapporti con i tuoi colleghi povrare a vivere di più quel posto e non solo e non tanto perché più persone conosci e più aumentano le possibilità, ma sopratutto perché viviamo di relazioni e più ricche e articolate sono e meglio stiamo. Non è semplice condividere le cose con gli altri, ma se fai tutta quella fatica per condividere i tuoi appunti con un'altra persona, come pensi di poter condividere tutto te stesso con un eventuale amore della tua vita? Sembrano cose completamente distanti tra loro e invece non lo sono. Un augurio per tutto!

star_dust
Messaggi: 22
Iscritto il: domenica 6 marzo 2011, 6:18

Re: VITA DI UN RAGAZZO GAY

Messaggio da star_dust » sabato 6 aprile 2013, 3:14

Dopo un po' di tempo ricompaio e ritorno a scrivere sul forum. Lo faccio in questo post perchè leggendolo ho trovato davvero tante somiglianze con quella che è stata la mia esperienza. Volevo solo dire che fa bene ogni tanto riuscire a sentirsi simili a qualcun altro, sentirsi normali almeno per una volta e un po' meno soli.

Il rapporto con i genitori e con gli amici che descrive sono davvero molto simili ai miei, complessivamente ed in apparenza buoni, ma in realtà molto superficiali.
Per quel che riguarda l'università, beh di ingegneri gay ne esistono sicuramente ma sono davvero ben nascosti. Forse è anche un po' colpa dell'ambiente. In genere si parla quasi solo di studio e università, il lato più umano, sociale ed affettivo esiste ma spesso viene lasciato in secondo piano, per questo fare amicizia può risultare difficoltoso.
Un'ultima osservazione: la condivisione degli appunti in realtà fra gli ingegneri rappresenta un atto di grandissima fiducia! C'è gente che li difenderebbe a costo della vita... Sì può sembrare gente strana, ma in fondo non sono così cattivi. ;)

Stellagemella
Messaggi: 42
Iscritto il: sabato 2 giugno 2012, 18:00

Re: VITA DI UN RAGAZZO GAY

Messaggio da Stellagemella » martedì 9 aprile 2013, 1:14

Da ingegnere non posso non intervenire!
Quello che racconti riguardo alla vita da studente mi è molto familiare, anche io avevo un gruppo di amici con i quali studiavo. All'epoca non mi ero ancora accettato e quindi non ci pensavo proprio a cercarmi un ragazzo, poi a dire il vero da me erano tutti bruttini, alcuni brutti forte :). Ripensandoci ora, un ragazzo mi piaceva anche se avevo represso la cosa (e per fortuna: ora è fidanzato con una ragazza). Ad ingegneria, come in qualunque altra facoltà, si trovano le persone più diverse, c'è il secchione che non ti presta gli appunti nemmeno se lo paghi,insensibile alle vicende umane dei suoi compagni e fedele al motto "mors tua vita mea" come il ragazzo sensibile con cui puoi parlare di tutto dalle cavolate alle cose più serie. Quest'ultimo tipo di ragazzo è diventato il mio migliore amico. Purtroppo di ragazzi gay, soprattutto nel mio ramo ,non ce n'era nessuno (ovviamente nessuno che lo dichiarasse). L'ambiente era abbastanza omofobo. Mi è capitato un giorno di parlare con un ragazzo del corso e insieme a me c'era un ragazzo gay dichiarato (ma il ragazzo del corso non lo sapeva) e questo si è messo a dire che aveva parlato con un professore dicendo più o meno "ah quello è frocio, bisogna stare attenti", ma più che le parole mi aveva colpito il tono molto schifato usato da quel ragazzo. Io mi sono sentito a disagio perché il mio amico gay non sa di me e la situazione mi è sembrata molto imbarazzante. Per quanto riguarda il rapporto con la famiglia bisogna viverci per capire bene come comportarsi, certamente io ora non lascerei che i miei pronunciassero parole contro gli omosessuali, a volte il timore di essere scoperti ci fa soprassedere a difendere la "nostra categoria" e questo è profondamente sbagliato; non è necessario esporsi molto, a volte bastano poche parole per smontare certi stereotipi che la gente si fà. Noi, omosessuali non effemminati, se vogliamo siamo proprio bravi a nasconderci. Mia madre a volte mi dice "Certo che sei stato proprio bravo, mi hai proprio fregato!"

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