MECENATE E VIRGILIO OMOSESSUALI

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MECENATE E VIRGILIO OMOSESSUALI

Messaggio da progettogayforum » lunedì 25 agosto 2014, 20:18

Tacito, negli Annali, parlando dell’anno 14 d.C., anno della morte di Augusto e della successione di Tiberio, così si esprime:

“Lo stesso anno vide l’inizio di nuove cerimonie dopo la creazione del collegio degli Augustali, proprio come un tempo Tito Tazio, per conservare i riti dei Sabini, aveva istituito il collegio dei Tizi. Ventuno furono scelti a sorte tra gli uomini più eminenti dello Stato; Tiberio, Druso, Claudio e Germanico, furono aggiunti al numero. I giochi Augustali che allora furono inaugurati, furono disturbati da liti derivanti da rivalità tra gli attori.
Augusto aveva mostrato indulgenza per quella forma di intrattenimento per assecondare Mecenate sciolto d’amore per Batillo, né poi a lui stesso dispiacevano tali divertimenti, e si riteneva che fosse cosa giusta mescolarsi ai piaceri del volgo.
Molto diverso era l’atteggiamento di Tiberio. Ma non osò mettere sotto più severo controllo un popolo trattato con indulgenza per così tanti anni.”[1]

Tacito, che scrive ai tempi di Traiano, dice chiaramente che Mecenate era innamorato di Batillo (“dum Maecenati obtemperat effuso in amorem Bathylli”), che, dal contesto appare essere un attore. Va sottolineato che se nel 14, secondo il racconto di Tacito, Batillo doveva essere ancora vivo, Mecenate però era morto da 22 anni anni, Mecenate morì infatti nell’8 a.C. Tacito parla del rapporto tra Mecenate e Batillo al passato. Il testo nulla permette di concludere sul tempo dell’innamoramento di Mecenate per Batillo o sull’età di Batillo, è però evidente che il rapporto tra Mecenate e Batillo era un fatto notorio e ampiamente accettato.

Per chiarire la faccenda è utile un passo di Dione Cassio che, raccontando i fatti dell’anno 736 dalla fondazione di Roma (circa l’anno 16 a.C.), accenna ad un attore, un certo Pilade e a un certo Batillo che lo contrastava:

“A questo proposito è voce, che il detto Pilade sgridato da Augusto, perché stava in rissa e in gara con Batillo, il quale esercitava la sua medesima professione ed era amico intrinseco di Mecenate, gli diede la seguente risposta piena di talento e saviezza: O Cesare, è assai espediente per te, che il popolo passi il suo tempo nel trattenersi alla nostre rappresentanze.”[2]

Nell’Enciclopedia Britannica, Dizionario delle arti e delle scienze, vol III, alla voce Bathyllus si legge che Bathyllus e Pylades divennero noti a Roma sotto Augusto. Sia l’uno che l’altro ebbero discepoli che perpetuarono il nome dei maestri, i seguaci di Batillo, che eccelleva nei ruoli comici, si chiamarono Bathylli, quelli di Pylades, che eccelleva nei ruoli tragici, si chiamarono Pyladi.

Effettivamente Batillo di Alessandria fu un mimo e danzatore, attivo a Roma nell’ultimo quarto del sec. I a. C., Interprete di mimi comici e condivise con il mimo tragico Pilade di Cilicia, suo rivale, il merito di aver introdotto in Roma la pantomima e di averla portata a grande successo popolare.

Batillo era dunque un personaggio molto noto cui potevano essere perdonate delle intemperanze. Il rapporto tra Mecenate e Batillo fu oggetto di un deferente, anche se velato, atto di omaggio da parte di Orazio, che lo canta nell’Epodo 14:

“Mecenate, amico sincero, mi togli la vita quando mi assilli e mi chiedi il perché una molle inerzia mi abbia diffuso nel fondo dei sensi tanto oblio, come se avessi ingollato con fauci riarse bicchieri che inducono ai sonni del Lete.

E’ un dio. Un dio mi impedisce di finire i giambi che avevo cominciato, le poesie un tempo promesse. Non diversamente, dicono, per Batillo di Samo arse Anacreonte di Teo, che molto spesso pianse l'amore, improvvisando i versi, sul guscio cavo della lira.

Tu stesso bruci, poveraccio. E se è vero che la fiamma che fece bruciare Troia assediata non era più bella, godi della tua sorte. Quanto a me, mi logora la libertina Frine, cui non basta un amante solo.”[3]

Va sottolineato che l’omaggio di Orazio non cita esplicitamente il Batillo amato da Mecenate ma un altro Batillo, Batillo di Samo, amato da Anacreonte di Teo. Il riferimento è dotto e indiretto ma è inequivocabile.

Gli Epodi furono scritti dopo il 42-41 a.C. e pubblicati intorno al 30. Mecenate era nato nell’anno 68 a.C., Batillo era più giovane ma è improbabile che avesse meno di 20 anni, quando Orazio scrisse l’epodo 14, perché Batillo, che era di Alessandria, era stato chiamato a Roma da Augusto per allestire le feste sceniche da lui volute ed era all’epoca un personaggio già noto. Poiché come abbiamo visto, Dione Cassio colloca Batillo e Pilade a Roma nell’anno 736 di Roma, cioè nel 16 a.C., Batillo poteva avere all’epoca più o meno 34-35 anni, quando Mecenate ne aveva ormai 52, il loro rapporto non poteva certamente essere inquadrato nelle categorie tipiche della pederastia classica e rappresenta in sostanza un rapporto omosessuale di tipo moderno, anche se profondamente condizionato dalla differenza di status sociale dei due.

Un libro recente e molto interessante [4] data la nascita della pantomima, come forma di danza tra il 22 e il 23 a.C., e, secondo la tradizione, l’attribuisce a Batillo e Pialde. La data del 23 a.C. è la più probabile perché in quell’anno Marcello celebrò i giochi per la sua edilità.[5]

La nascita di Batillo deve essere collocata certamente prima del 43 a.C., il 50 a.C. potrebbe essere un’ipotesi credibile.

Batillo visse a lungo e ottenne posizioni di grande decoro che durarono anche dopo la morte di Mecenate.

Dall’epitaffio di Batillo, ritrovato, anche se mutilo, lungo la via Appia, si deduce che Caio Giulio Batillo, Liberto di Augusto, che si fregiava dei primi due nomi dell’imperatore (Caio Giulio), sopravvisse ad Augusto e a Livia moglie di Augusto, e fu immune e onorato custode del tempio loro dedicato sul Palatino dopo la loro morte.[6]

In realtà negli scavi delle tombe dei servi e dei liberti imperiali di Vigna Bianchi, presso il Fiume Almome, Oltre al Caio Giulio Batillo, citato in precedenza, compare anche un Caio Giuvenio Batillo, liberto di Caio (Caio Cesare, nipote di Augusto, morto nel 4 d.C. a 24 anni).

Se il Batillo amato da Mecenate è realmente il Caio Giulio Batillo, custode del tempio dedicato ad Augusto e Livia sul Palatino, ci sono fondate ragioni di credere che avesse una compagna (contubernalis) ma non una moglie (uxor).

Il cosiddetto sepolcro di Batillo non è un sarcofago ma una cassa onoraria di marmo, a guisa di letto funebre, sopra la quale giace una figura togata che tiene in mano un’olla cineraria. La cassa onoraria, che era piuttosto piccola, non poteva certo contenere il cadavere del defunto, poteva contenere però il vaso delle sue ceneri.

Sul davanti della cassa di Batillo si legge questa iscrizione:

DIS MANIBUS
…..S.AUG.LIB.BATHYLLUS.AEDITU’S.TEMPLI.DIVI.AUG.
ET.DIVAE.AUGUSTAE.QUOD.EST IN.PALATIUM.
IMMUNIS.ET HONORATUS

Osservo che l’edituo è il custode del tempio (aedes).

Vicinissima alla memoria di Batillo si trova il cippo di Giulia Sedata, con l’iscrizione:

DIS.MANIBUS.
IULIAE.SEDATAE
DEC.
CONTUBERN.
C.IULI.BATHYLLI
IMMUNIS

Come si vede Giulia Sedata, che si fregia del Decurionato (DEC), che era attribuito anche alle donne, si dichiara contubernale di Batillo, non moglie.[7]

Se l’omosessualità di Mecenate è un dato sul quale si sorvola, o la si cita ancora oggi con toni moralistici, come facevano Persio e Seneca, l’omosessualità di Virgilio è stata ed è tuttora per la scuola italiana un tabù assolutamente inviolabile. Non basta il rapporto che lega Eurialo e Niso nell’Eneide, che lo stesso Virgilio definisce amore, né il fatto che un’altra coppia, analoga a quella costituita da Eurialo e Niso, si ritrovi in modo molto esplicito nell’Eneide (libro X) in Cidone e Clizio, Questi rapporti sono presentati spesso come forme intense di amicizia perché l’idea che un autore cardine della letteratura latina, che ancora oggi si legge e si studia, sia omosessuale sembra quasi una smitizzazione del personaggio. Ma Virgilio è cresciuto all’ombra di Mecenate che era di circa due anni più giovane di lui anche se poteva vantare ben altre origini e uno status sociale assolutamente unico a Roma. Non voglio però disperdermi su altre questioni e preferisco focalizzare il discorso sulla omosessualità in modo diretto.

Tutti gli studenti che studiano il Latino si trovano prima o poi, quasi inevitabilmente, a dover tradurre la prima egloga delle Bucoliche di Virgilio, quella di Titiro e Melibeo, ma ben pochi studenti, ammesso che ce ne sia qualcuno, si sono trovati a tradurre la seconda egloga delle Bucoliche, quella dedicata a Corydon e Alessi. Si tratta di un lamento d’amore, ma di un lamento di amore omosessuale, trattato esattamente con le stesse categorie con le quali si trattavano gli amori eterosessuali.

Riporto qui di seguito una mia traduzione della intera seconda egloga:

Egloga II

Poeta
Il pastore Coridon ardeva per il bell'Alessi, delizia del padrone; ma non aveva nessuna speranza.
Soltanto tra i densi faggi, dai vertici ombrosi, veniva assiduamente: lì questi rozzi lamenti solitario lanciava ai monti e alle selve con vana passione:

Corydon
O crudele Alessi, non ti curi dei miei canti? Non hai compassione di me? Alla fine mi farai morire. Ora anche le pecore prendono le ombre e il fresco, ora anche gli spineti nascondono le verdi lucertole; e Testili (nome di una serva nel secondo Idillio di Teocrito) per i mietitori affaticati dall'intensa calura pesta l'aglio e il timo, erbe odorose; ma mentre le tue orme seguo, sotto il sole ardente risuonano gli arbusti per il canto delle rauche cicale.
Non fu già abbastanza sopportare le tristi ire di Amarilli e il suo superbo disprezzo? Non fu meglio amare Menalca, sebbene egli fosse scuro e tu candido? O bel fanciullo, non fidarti troppo del colore: i bianchi ligustri cadono, gli scuri giacinti si colgono. Son da te disprezzato, né vuoi sapere chi io sia, o Alessi, né quanta ricchezza di greggi o di niveo latte io possegga: mille mie agnelle errano sui monti siculi, il latte fresco a me non manca né d'estate né d'inverno.
Quei motivi io canto che era solito intonare Anfione dirceo (Anfione, figlio di Zeus e Antiope, aveva costruito le mura di Tebe muovendo le pietre col canto. Dirceo, sinonimo di teabano, da Dirce, moglie di Lico re di Tebe), quando chiamava gli armenti sull'attico Aracinto (monte tra la Beozia e l’Attica).
Tanto sgraziato non sono: mi vidi poco fa riflesso nell'acqua sulla riva, mentre il mare era calmo dai venti: non Dafni (Dafni, esaltato nell’egloga quinta, pastore siciliano di origine divina, famoso per la sua bellezza e la sua bravura musicale, è l’eroe per eccellenza della poesia bucolica) temerei, se tu fossi il giudice, se la mia immagine non m’inganna.
O soltanto ti piacesse abitare con me le povere campagne, le umili case, e trafiggere i cervi, spingere il gregge dei capretti verso il verde ibisco.
Con me nelle selve imiterai Pan cantando. Pan per primo insegnò a congiungere più canne con la cera; Pan si cura del gregge e dei pastori del gregge.
Né ti dispiaccia strofinare il labbro sulla canna: cosa non faceva Aminta per imparare le stesse cose?
Ho un flauto di sette canne disuguali, che un giorno mi donò Dameta, e morendomi disse: "Ora ha un degno secondo proprietario". Questo disse Dameta; lo stolto Aminta provò invidia.
Inoltre possiedo due capretti trovati in una valle scoscesa con la pelle ancora sparsa di macchie bianche; due mammelle di pecora prosciugano ogni giorno. Prendili.
Già da tempo Testili mi prega di poterseli portare via, e lo farà, perché tu disprezzi i miei doni.
Vieni qui, o bel fanciullo: ecco che a te le Ninfe recano canestri pieni di gigli; una candida Naiade, cogliendo pallide viole e la sommità dei papaveri, vi congiunge bene il narciso e il fiore odoroso dell'aneto; poi intrecciando la cassia e altre soavi erbe, screzia i molli giacinti con il fiorrancio dorato.
Io stesso coglierò le cotogne bianche per la tenera lanugine, e le castagne, che la mia Amarillide amava;
aggiungerò le ceree prugne (si onorerà anche questo frutto), e voi, o allori, coglierò, e te, mirto, che cresci vicino, perché così disposti mescolate profumi soavi".

Poeta:
Sei un villano, Coridon, e Alessi non si cura dei tuoi doni: nemmeno se volessi gareggiare con i regali riusciresti a spuntarla su Iolla (probabilmente il ricco padrone di Alessi).

Corydon
Ahi, che ho fatto, me misero! Come un folle ho lanciato l'Austro tra i fiori e i cinghiali nelle limpide fonti.

Poeta
Chi fuggi, stolto? Abitarono le selve anche gli dei, e il dardanio Paride. Abiti pure Pallade le rocche che lei stessa costruì; a noi piacciono soprattutto le selve.
La torva leonessa insegue il lupo, il lupo la capretta, la vivace capretta cerca il fiorente citiso; Coridon insegue te, o Alessi: ciascuno è attratto dal suo desiderio. Guarda i giovenchi che legati al giogo riportano gli aratri, e il sole calando raddoppia le ombre;

Corydon
eppure l'amore mi brucia: chi può mettere una regola all'amore?

Poeta
Ahi, Coridon, Coridon, quale follia ti prese! Tu lasci le viti sono potate a metà sull'olmo frondoso.
Piuttosto perché non ti prepari ad intrecciare qualcosa di cui c’è veramente bisogno, con i vimini o con il molle giunco?
Troverai un altro Alessi, se questo ti disprezza.

Questo testo potrebbe sembrare l’ennesimo lamento d’amore di ispirazione teocritea, ma si tratta in realtà di un testo autobiografico. Per approfondire il discorso rifacciamoci alla biografia di Virgilio cui maggiormente hanno attinto gli studiosi, già a partire dal IV secolo d. C., e, poi, per tutto il Medioevo, ossia alla Vita di Virgilio di Elio Donato; che, in realtà, è a sua volta una trascrizione, o un compendio, di una perduta “Vita Vergilii” dello storico Caio Svetonio Tranquillo (75-150), avvocato e segretario privato dell'imperatore Adriano, universalmente noto per le sue “Vite dei dodici Cesari”, raccolta di biografie di dodici imperatori romani, da Giulio Cesare a Domiziano.

Così dunque si legge di Virgilio nella vita di Donato:

“Fu di grande corpo e di alta statura, di colorito piuttosto scuro, di lineamenti contadineschi e di salute incerta. Infatti per lo più stava male di stomaco e di gola ed aveva mal di testa e spesso sputò anche sangue. Assai poco propenso al cibo e al vino, era molto incline ad innamorarsi dei ragazzi, dei quali amò soprattutto Cebete e Alessandro, che nella seconda Ecloga delle Bucoliche chiama Alessi e che gli era stato donato da Asinio Pollione, sia Cebete che Alessandro erano certamente ragazzi non senza istruzione, Cebete poi era anche poeta. Si disse che Virgilio fosse solito frequentare Plozia Hieria. Ma Asconio Pediano afferma che lei stessa, ormai avanti negli anni, soleva narrare che Virgilio, benché invitato da Vario e mettersi con lei, rifiutò nel modo più netto.
Consta che sia stato, per il resto, talmente onesto, sia nelle parole che nello spirito, che a Napoli fu chiamato “verginello” dalla gente, e se qualche volta a Roma, dove dimorava rarissimamente, lo si vedeva in pubblico, sfuggiva a quelli che lo osservavano e lo indicavano a dito nascondendosi in una casa vicina.”
[Traduzione mia][8]

Va sottolineato che Alessandro era uno schiavo che Virgilio ricevette come regalo di Asinio Pollione. Se è vero che finire schiavo di Virgilio era certamente una condizione infinitamente migliore di quella della stragrande maggioranza degli schiavi del tempo, perché Virgilio era di temperamento mite ed era realmente innamorato di Alessandro che lo teneva a distanza, resta comunque il fatto che in questi rapporti mancava un requisito che oggi è ritenuto ed è effettivamente fondamentale, ossia la libertà di scelta. Uno schiavo, cioè una persona, anche se i Romani non lo consideravano tale, poteva essere acquistato per denaro e poteva essere ceduto ad un amico come regalo. E, nel caso specifico, un bel ragazzo poteva essere acquistato per denaro per divenire un prezioso regalo per un amico omosessuale. Sottolineo che il caso di Asinio Pollione e di Virgilio rispetto ad Alessandro-Alessi è in realtà molto particolare ma ben pochi padroni avevano nei confronti dei loro schiavi il rispetto affettuoso che aveva Virgilio.

In genere le storie degli schiavi che si rifiutavano di compiacere i loro padroni o le loro padrone erano ben diverse da quelle di Batillo o di Alessandro-Alessi.

Giovenale nella VI satira descrive come la vita e la morte di uno schiavo potessero dipendere da capricci o da litigi interni alla coppia dei padroni:

“Metti in croce quel servo!”;
“Per quale delitto ha meritato il supplizio? Chi lo denuncia? Chi sono i testimoni? Ascoltali; nessun indugio è eccessivo quando si tratta della vita di un uomo”.

“Imbecille, un servo non è un uomo! Anche se non ha fatto niente, io lo voglio e lo comando, e la mia volontà è un motivo sufficiente!”
Così comanda al marito.[9]

Il testo va preso con beneficio di inventario perché è inserito in una satira radicalmente misogina, ma situazioni del tipo di quella descritta potevano capitare nella realtà.

Come abbiamo visto, la società Romana tra il primo secolo avanti e il primo secolo dopo Cristo era in genere molto più aperta verso l’omosessualità della società attuale ma non per questo era più civile perché la schiavitù e i privilegi di casta legittimavano gravissime violazioni dei diritti umani più elementari. Proviamo a pensare alla situazione di un bel ragazzo eterosessuale venduto come schiavo ad un padrone omosessuale. La schiavitù legittimava non l’amore omosessuale, che vuole un consenso libero, ma forme indegne di violenza sessuale ai danni del più debole.
______
[1] Idem annus novas caerimonias accepit addito sodalium Augustalium sacerdotio, ut quondam Titus Tatius retinendis Sabinorum sacris sodalis Titios instituerat. sorte ducti e primoribus civitatis unus et viginti: Tiberius Drususque et Claudius et Germanicus adiciuntur. ludos Augustalis tunc primum coeptos turbavit discordia ex certamine histrionum. indulserat ei ludicro Augustus, dum Maecenati obtemperat effuso in amorem Bathylli; neque ipse abhorrebat talibus studiis, et civile rebatur misceri voluptatibus vulgi. alia Tiberio morum via: sed populum per tot annos molliter habitum nondum audebat ad duriora vertere. Tacito, Annales, I, 54 (Annales ab excessu divi Augusti. Cornelius Tacitus. Charles Dennis Fisher. Clarendon Press. Oxford. 1906.)
[2] Dione Cassio, Storia romana, LV 17 – Istorie romane di Dione Cassio Coccejano, tradotte da Giovanni Viviani, Tomo 3, Milano, Editore Sonzogno, 1823, p. 186)
[3] Mollis inertia cur tantam diffuderit imis
oblivionem sensibus,
pocula Lethaeos ut si ducentia somnos
arente fauce traxerim,
candide Maecenas, occidis saepe rogando:
deus, deus nam me vetat
inceptos olim, promissum carmen, iambos
ad umbilicum adducere.
non aliter Samio dicunt arsisse Bathyllo
Anacreonta Teium,
qui persaepe cava testudine flevit amorem
non elaboratum ad pedem.
ureris ipse miser. quodsi non pulchrior ignis
accendit obsessam Ilion,
gaude sorte tua; me libertina, nec uno
contenta, Phryne macerat.
(Orazio, Epodo 14)
[4] New Directions in Ancient Pantomime” (Edith Hall, Rosie Wyles - Oxford University Press, 2008.
[5] Athenaeus, Deipnospphistae, 1.20D.
[6] Le maschere sceniche e le figure comiche d'antichi romani descritte ... Di Francesco : de Ficoroni, Bartolomeo De Petris, Silvestro Pomarede, Francesco Mazzoni, Primo gennaio 1736 nella Stamperia di Antonio de' Rossi. p.37 –
http://books.google.it/books?id=EZ99A9F ... &q&f=false
[7] Camera ed inscrizioni sepulcrali de'liberti, servi ed ufficiali della casa di Augusto, Di Francesco Bianchini – Roma, 1727 – Archiginnasio della Sapienza.
[8] Vitae Vergilianae antiquae. Virgilii vita secundum Donatum. Edidit Colinus Hardie. Editio altera, Oxonii, 1960. Il testo dell’intera vita virgiliana si può leggere in Italiano alla pagina “La «Vita di Virgilio» di Elio Donato e la nascita del culto virgiliano” http://www.ariannaeditrice.it/articolo. ... colo=17459 e in Inglese alla pagina Ancient History Sourcebook: Suetonius: De Viris Illustris, c. 106-113 C.E., Translated by J. C. Rolfe. http://www.fordham.edu/halsall/ancient/ ... -rolfe.asp
[9] Giovenale, Satira VI, 221-224.

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