IL ROMANZO DI UN INVERTITO NATO (seconda parte)

La realtà dei gay, storie ed esperienze di vita gay vissuta
Rispondi
Avatar utente
progettogayforum
Amministratore
Messaggi: 5950
Iscritto il: sabato 9 maggio 2009, 22:05

IL ROMANZO DI UN INVERTITO NATO (seconda parte)

Messaggio da progettogayforum » martedì 11 novembre 2014, 12:38

Infanzia. – Prime deviazioni

A cinque anni mi mandarono a scuola ma non ci rimasi che per qualche settimana, i medici della casa si erano accorti che diventavo pallido e malaticcio quando restavo seduto per troppo tempo sui banchi della scuola.

Quando ebbi sette anni cambiammo residenza e ce ne andammo a stare a Firenze. Gli affari di mio padre andavano magnificamente e avevamo una magnifica carrozza, lacché [domestici che precedevano a piedi la carrozza del padrone] e una bella casa dove mio padre radunò tutto quello che si piò immaginare di bello e di elegante. Fu presa allora una istitutrice per me, e subito fui preso dalla più viva e esaltata amicizia per questa signora, che era molto distinta e mi amava molto. La preferivo molto a mia madre, che era molto gelosa e cercava ogni volta che era possibile di staccarmene, cosa che non le riuscì affatto. A sette anni ero un ragazzino così affascinante come ero stato prima un bel bambino, con un’intelligenza che colpiva tutti quelli che mi avvicinavano. Avevo la massima ammirazione per tutto quello che era bello e grande e mi facevo prendere da una vera passione per tutte le belle signore e le regine di cui leggevo le storie con la mia istitutrice.

Ebbi una violenta ammirazione per la Rivoluzione francese e un giorno, avendo trovato un riassunto della Storia dei Girondini di Lamartine, lo divorai in qualche ora. La sognavo la notte e non la smettevo di voler parlare di quest’epoca grandiosa della storia di Francia. Maria Antonietta, M.me Elisabeth, la principessa di Lamballe, furono le mie grandi passioni; amavo meno gli eroi e le eroine popolari, avendo sempre avuto un’ammirazione senza limiti per le eroine e le donne sfortunate, vestire di velluto e che trascinavano mantelli di ermellino. I miei progressi nei miei piccoli studi furono rapidi e stupivo addirittura i miei maestri per la rapidità con la quale apprendevo e intuivo ogni cosa.

Allora era completamente innocente e non sospettavo assolutamente nulla. Frequentavo moto, con una governante, i musei dove, benché fossi così giovane, mi appassionavo molto alle arti, per le quali ho avuto una grande simpatia. La vista di un capolavoro mi commuoveva violentemente e lo studio della mitologia, che mi fecero fare in presenza dei capolavori antichi, mi appassionò molto e non sognavo che eroi, dei e dee. La guerra di Troia mi fece la più grande impressione ma, cosa strana, alla quale ho fatto attenzione solo più tardi, tutti i miei pensieri e tutti i miei entusiasmi erano più per gli eroi che per le eroine. Ammiravo molto Elena, Venere e Andromaca, ma il mio grande amore, la mia grande ammirazione , erano per Ettore, per Achille e Paride, ma soprattutto per il primo. Avevo una passione per lui e mi piaceva immaginare di essere Andromaca, per potere tenere nelle mie braccia l’eroe bardato di ferro, le cui belle forme atletiche, le belle braccia nude e l’alto elmo mi tenevano a pensare per lunghe ore. Mi ricordo ancora le dolci emozioni di queste ore passate nei lungi corridoi del museo dove vedevo tanti begli eroi e dèi nudi che la mia immaginazione animava prestando loro una vita immaginaria. Restavo per ore a riflettere sulla felicità di tutto questo mondo di marmo così perfetto, così al di sopra della realtà, non potevo spiegarmi tutto quello che sentivo.

Amavo già la solitudine e i giochi degli altri ragazzi quasi mi spaventavano. I miei fratelli erano troppo grandi per occuparsi di me, e d’altra parte passavano solo poco tempo a casa. Per loro non ho mai avuto molta simpatia. Il mio fratello più grande era molto bello, gli altri due meno, soprattutto il terzo, che con le sue gambe corte e con le se lunghe braccia rassomigliava alla famiglia di mia madre, famiglia che, grazie a Dio, abita lontano da noi e che io non amo affatto. I miei fratelli si sono sistemati molto bene; hanno tutti una famiglia e sono molto felici, soprattutto i primi due. Io rimasi solo nella casa paterna, cosa che non mi dispiacque affatto.

Continuai dunque i miei studi ma in un modo molto irregolare. Imparai diverse lingue e divorai tutte le letterature, entusiasmandomi per tutto quello che era bello e soprattutto poetico. I versi esercitavano una grande influenza su di me. I loro ritmi mi donavano veri brividi e imparavo a memoria lunghi monologhi e scene intere delle mie tragedie preferite. Anche la musica mi piaceva moltissimo. Ero trasportato dai bei versi come dalla bella musica. Vivevo veramente in un mondo ideale, come bambino di dieci anni non lo ha mai immaginato nei suoi sogni. Mi appassionavo sempre alle belle eroine della storia e dei poemi e le amavo come delle amiche perché la donna mi è sempre sembrata un essere gentile e pieno di fascino così lontana dalla terra che ne facevo quasi una divinità.

Ho avuto allora il più grande interesse per la Vergine Maria, che consideravo come il tipo e il modello di tutte le donne. Mi piaceva partecipare della sua Natura Divina passavo molti mesi nella devozione più spinta, e tanto più straordinaria perché a casa nostra tutte le pratiche religiose erano abolite e nessuno se ne occupava. Mia madre aveva conservato della sua vecchia religione l’odio per le chiese e per tutte le liturgie religiose ed erano proprio quelle che mi affascinavano. Allora cambiai gisti e al posto di Elena, delle dee e degli eroi, mi piaceva stare in compagna dei santi, delle vergini e dei martiri. I muri della mia camera furono tappezzati di immaginette di santi e di angeli davanti ai quali dicevo le mie preghiere quasi ogni momento. Mentre seguivo una lezione chiedevo di uscire per un bisogno e correvo nella mia camera a dire le mie preghiere all’affascinante Madonna che consideravo come una sorella, come un’amica.

La devozione durò poco e crollò di colpo, non so come. Ne do spesso la colpa a una piccola immagine di Santa Maddalena dei Pazzi che apparteneva alla cameriera di mia madre, che trovai così orribile che non potevo rimanere serio davanti a questo piccolo mostro.

Da allora la mia ammirazione per le vergini e i santi finì e io ricaddi in piena mitologia. Divenni quasi idolatra, comprai una statuetta di Venere per bruciarle l’incenso e per portarle un mazzetto di fiori tutte le mattine.

Dopo qualche tempo sentivo fremere in me tutta una nuova vita, non potevo stare tranquillo e la mia fantasia mi presentava le più belle immagini e mi teneva sveglio per nottate intere. Leggevo tutto quello che mi capitava sotto mano e divoravo i romanzi illustrati collocati nella biblioteca di mio padre. Tutto questo mi infiammò e divenni così appassionato, così nervoso che tutti se ne meravigliavano. Parlavo sempre, a proposito e a sproposito, e in questo ribollire di giovinezza precoce passavo dai pensieri più audaci e dalla più forte esaltazione a momenti di tristezza e abbattimento senza causa apparente. Piangevo spesso da solo e per consolarmi mi rifugiavo nel mio mondo immaginario.

La mia passione per gli abiti con lo strascico durava sempre e quando ero solo mi mettevo davanti allo specchio di mia madre e camminavo tirandomi dietro le coperte del letto o dei vecchi scialli le cui lunghe pieghe cadevano giù dalla persona e il cui fruscio sui tappeti mi faceva fremere di gioia. Provavo sempre il desiderio di coprirmi con lunghi veli e questa passione, che dall’infanzia non mi aveva mai abbandonato del tutto, mi riconquistò ancora di più forte.

Un giorno che un’amica di mia madre mi disse scherzando che si cominciavano a vedere spuntare i miei baffi, poco ci mancò che la strozzassi per quanto questa insinuazione mi parve insultante e la notizia fu per me un grande dolore. Andai di corsa davanti allo specchio e fui molto felice di vedere le mie belle labbra rosate completamente libere dalla terribile peluria che tanto mi spaventava.

Mi compiacevo a farmi donna con l’immaginazione e la bellezza di cui mi dotavo, e le avventure che vivevo in spirito mi facevano trasalite di piacere.

Ero ancora molto innocente a tredici anni, quanti ne avevo allora, e non avevo alcuna idea dell’unione dei sessi e delle differenze che esistono tra loro. Questo sembrerà strano per un ragazzo così sveglio per la sua età, ma è la pura verità! Vivevo troppo di sentimenti e immaginazione, amavo troppo tutto quello che è ideale per vedere le cose che erano più vicine a me.

Uno stalliere [il testo usa il termine inglese “groom”] di circa 15 anni mise ben presto fine alla mia innocenza su questo argomento. Accadde durante un soggiorno in una città termale, dove tutti i nostri domestici ci avevano seguito. Andavo spesso alla scuderie a vedere i cavalli e mi divertivo a parlare e a giocare con un ragazzo della mia età col quale mi lasciavano qualche volta correre nel grande giardino. Fui ben presto istruito da questo ragazzino, che mi rese tanto consapevole quanto lui stesso. Quando venni a sapere come si facevano i bambini ne fui indignato ed ebbi un profondo disgusto per i miei genitori che non si erano vergognati di mettermi al mondo in quello strano modo.

Queste conversazioni finirono per infastidirmi terribilmente, perché se ero molto ben dotato dal punto di vista dell’intelligenza – troppo bene ahimè! – ero meno ben dotato dal punto di vista fisico e a tredici anni non era ancora uomo.
Questo ragazzo si masturbò parecchie volte davanti a me e benché io bruciassi dalla voglia di imitarlo e un sangue caldissimo circolasse nelle mie vene, non ci riuscii comunque quando fui da solo.

Ben presto questo ragazzo venne mandato via e se io non dimenticai le sue lezioni, comunque non ci pensai più molto. Ma quello che comunque mi stupiva abbastanza era il fatto che lui parlava sempre di andare a letto con donne nude e di fare loro quello che lui faceva, mentre io non provavo alcun desiderio di fare quelle cose e avrei trovato molto più naturale andare a letto con un uomo. Pensavo di essere troppo debole, troppo carino, troppo delicato per dormire con una donna alla quale rassomigliavo troppo e d’altra parte non ne avrei mai avuto il coraggio.

L’uomo mi sembrava fin da allora molto più belo della donna, perché ammiravo in lui una forza, un vigore di forme che io non avevo e mi sembrava impossibile che potessi mai avere. Io mi ero sempre immaginato di essere donna e tutti i miei desideri furono da allora quelli di una donna.

Avevo allora qualche amico e provavo, senza rendermene ancora conto, un’amicizia esagerata per loro. Ne ero geloso e quando mi passavano le braccia dietro la schiena, fremevo in tutta la mia persona. Ero geloso di loro e la mia più grande gioia era di dar loro qualche prova del mio affetto, e di fare per loro qualche piccolo sacrificio, ero tormentato dalla loro indifferenza e dai loro gusti rumorosi che differivano dai miei e avrei voluto che non si occupassero di altro che di me.

Ma quello che mi attirava soprattutto erano gli uomini maturi, uomini dai trenta ai quarant'anni. Ammiravo soprattutto la loro bella statura, la loro voce grave, che contrastava in modo netto con la mia voce ancora infantile. Non mi rendevo conto di quello che provavo. Ma avrei dato ogni cosa al mondo per essere stretto dalle loro braccia e per incollare tutta la mia persona sulla loro.

Passavo notti intere a sognare queste cose e a prestar loro un’apparenza di realtà. Non sapevo ancora fino a che punto può farci abbassare il vizio terribile che io nutrivo senza saperlo, mio malgrado, e che mi ha poi reso così infelice.

Un domestico, che avevamo da poco al nostro servizio e che aveva una statura superba con baffi e barbetta neri, attirò tutta la mia attenzione.
Con dei trucchetti da ragazzino volevo indurlo a parlare di cose indecenti e lui si prestava con tutto l’entusiasmo. Mi piaceva molto e desideravo sempre di averlo al mio fianco quando andavo da qualche parte. Mi accompagnava la sera nella mia stanza al secondo piano e restava vicino a me finché ero quasi addormentato. Io lo facevo parlare delle sue amanti, dei luoghi cattivi dove andava, e ci trovavo tanto piacere che restavo poi delle lunghe ore sveglio e pieno di desideri dei quali non mi rendevo affatto conto. Avrei volto averlo a letto vicino a me, avrei voluto sentire il suo corpo biondo e levigato. Avrei voluto abbracciarlo per prenderne piacere e darne a lui. I miei desideri non andavano più lontano e non pensavo proprio ad altre cose. Una sera, dopo delle lunghe conversazioni sul nostro tema favorito e dopo che gli avevo fatto domande sulle cose più indecenti, improvvisamente fui preso dal desiderio di conoscerlo più intimamente, semplicemente e senza nessuna vergogna e come per ridere.

Gli chiesi di mostrarmi il suo pene per vedere se fosse così grande e bello come diceva. All’inizio non volle, ma avendo io promesso che non avrei detto nulla, si aprì i pantaloni e me lo mostrò eretto, per un’erezione che era derivata dalla mie parole. Si avvicinò al lettino in cui ero steso anelante per libidine o per pudore.

Non avevo mai visto il pene di un uomo adulto e rimasi così turbato che non riuscii a proferire parola. Spinto non so da qual forza o da quale desiderio innato, lo presi nella mano destra e molto lo strofinavo dicendo: “Quanto è bello! Quanto è bello!” Ardevo di un furioso desiderio di fare qualcosa di quel pene che riempiva tutta la mia mano destra, e violentemente desideravo che nel mio corpo ci fosse un buco attraverso il quale si potesse introdurre in me ciò che io ardentemente desideravo.

Sentendo un rumore il domestico si coprì subito e si ritirò lasciandomi bruciante di un desiderio che prima non avevo mai avuto e che non credevo potesse esistere. In fondo ai miei pensieri c’era già allora una sorta di disperazione e quasi la convinzione che non avrei mai potuto godere di quello che avrei tanto desiderato.

La sera volevo ricominciare la scena di quella orribile serata, ma l’uomo temeva apparentemente qualche indiscrezione e non volle mostrarmi nulla. Io dimagrii per la rabbia.

Una sera questo domestico fu violentemente rimproverato e fu quasi cacciato da mio padre, che si era accorto che lui faceva entrare quasi ogni notte una delle sue amanti nella nostra casa.

Venendo a sapere tutto questo e che c’era lì vicino una persona che godeva di lui desiderandolo ardentemente, piangevo di rabbia e maledissi il cielo per non avermi fatto nascere donna.

Ben presto quell'uomo uscì dalla nostra casa ma non fui gran che afflitto. Ero molto giovane allora e le mie impressioni, per forti che fossero non erano durature.

Rispondi