Come da accordi riporto la mia storia anche nel forum pubblico. Apprezzo molto il progetto, per me è stato importante leggere le storie di altri ragazzi e ritengo doveroso dare un piccolo contributo con la mia.
Ho capito di essere gay lentamente e tardi. Le mie fantasie sono state gay fin dall'adolescenza, ma non davo peso a questo. Un occhio molto attento forse poteva notare un'affettività gay già dall'infanzia, ma di tutto questo mi sono accorto dopo.
Mi sono sempre comportato da etero e ancora adesso per il 99% delle persone che conosco sono etero, senza che io mi sia mai dichiarato né in un senso né nell'altro. Ci sono arrivato tardi forse perché provengo da una famiglia molto religiosa, per cui il sesso è visto solo come un tabù, e ho spesso cercato di nascondere la mia sessualità, prima di tutto a me stesso, indipendentemente dall'orientamento gay o etero.
Sono arrivato a prendere coscienza di me gradualmente, intorno ai 27-28 anni, quando mi sono reso conto che con le ragazze non potevo concludere niente di serio (mai andato oltre qualche flirt; il sesso con le ragazze non era desiderato; quando è capitato, ho percepito una bassa soddisfazione, più legata all'orgoglio di dire che sono come gli altri).
Così ho avuto la mia prima volta gay a 28 anni (esperienza che non è stata particolarmente piacevole) e la mia prima storia durata qualche mese a 29 anni, terminata perché non mi sembrava la persona giusta o più probabilmente perché ero immaturo.
In questi anni ho passato lunghi intervalli in cui non ho cercato né sesso né storie; ho conosciuto un piccolo numero di ragazzi, con alcuni di loro ho avuto dei contatti sessuali, con altri ho solo parlato; a parte quella storia, con tutti mi sono rapidamente perso di vista. La modalità di conoscenza è stata sempre la stessa: internet o le app su smartphone. Sono troppo timido per espormi nella vita quotidiana e nella mia piccola città non saprei in quali ambienti andare a cercare.
Nonostante la modalità di conoscenza piuttosto fredda, ho sentito il bisogno di non limitare ogni incontro al contatto sessuale, ma ho sempre cercato di stabilire una minima relazione affettiva (anche solo di amicizia), pure quando mi rendevo conto immediatamente che non saremo andati oltre il primo incontro.
La prima vera "cotta" gay è capitata a 31 anni. Ho conosciuto un ragazzo di qualche anno più piccolo di me, non dichiarato al mondo, carino. Ci incontriamo, resto molto attratto, il sesso con lui è stata una bellissima esperienza. Completata la prima parte (corteggiamento e sesso), parliamo un pochino e si dichiara sicuro della sua omosessualità ma allo stesso tempo ritratta e dice che è anche tempo che si trovi una ragazza. Alla fine di quel primo e unico incontro, mi lascia rimandandomi a un incontro successivo (abbiamo i numeri, sentiamoci, vediamoci ancora). Per me, che ancora mi consideravo bisex, è stato un turbine: la sua sicurezza di essere gay, il sesso vissuto con molta partecipazione e la richiesta di rivederci sono gli elementi che mi hanno fatto girare la testa e non mi hanno fatto vedere le contraddizioni che già aveva espresso. Dopo qualche giorno, visto che non si faceva sentire, ho provato a contattarlo. All'inizio ha rimandato, poi ha smesso di rispondere. Inutile nascondere la frustrazione, non solo perché non lo potevo rivedere e conoscere meglio, ma perché non potevo neppure avere una spiegazione di questo cambio di opinione.
Questa storia mi ha turbato; hanno seguito pochi incontri occasionali, in cui era massima la mia diffidenza e la mia insicurezza, per paura di ritrovarmi sentimentalmente coinvolto.
Da questa storia però ho maturato due certezze: l'essere gay e il puntare a relazioni stabili (non importa se amicizia con sesso, amicizia senza sesso, coppia non dichiarata; magari non mi sentivo pronto per stare in una coppia dichiarata).
Dopo alcune avventure di poco peso, circa un anno fa ho conosciuto un altro ragazzo. Era da tempo che non facevo ricerche. L'esigenza è nata non solo dall'astinenza sessuale lunga numerosi mesi, ma pure dal fatto che mi sono trasferito in un'altra città, dove ero solo e stentavo a inserirmi.
L'ho conosciuto tramite una chat e mi è apparso diverso dagli altri, per cui ha vinto la mia diffidenza e ho accettato di incontrarlo. All'incontro io ero molto timido e imbarazzato (segno di scarso allenamento

Al momento dei saluti, dopo tanti baci, mi ha detto che era meglio evitare di scambiarci il numero, ma potevamo ritrovarci con le stesse modalità. In quel momento ho intuito che non voleva più incontrarmi. Memore della precedente delusione, mi ero imposto di ragionare solo sul singolo incontro, che era stato davvero bello, senza pensare ad altro; del resto non avevo avuto ancora tempo di elaborare quanto avevo vissuto. Così l'ho lasciato andare senza aggiungere altro.
Dopo qualche ora, mi sono accorto che aveva dimenticato un oggetto. Senza troppa fretta l'avviso tramite la solita chat e mi rendo disponibile per restituirlo. Mi ringrazia, ma si mostra sfuggente. A più riprese provo a tenere il contatto, provo a scherzare, ma niente: non vuole ulteriore confidenza.
In verità questo atteggiamento non mi ha ferito, ho ripreso la mia vita senza dare troppo peso.
Dopo alcune settimane dal primo incontro, mi ha chiesto di rivederci dandomi uno scarso anticipo (la notte per la sera successiva). Ero libero, perciò ho accettato. Dovevamo risentirci durante il giorno per stabilire luogo e ora dell'appuntamento, ma lui non si è fatto sentire. Mi ha bidonato, ma non me la sono presa. Per la sera ho trovato altri impegni. Del resto vedevo quell'appuntamento limitato a restituirgli il suo oggetto, non avevo ulteriori aspettative. Il giorno successivo, con un anticipo di poche ore, mi ho richiesto di vederci. Anche se non si è scusato, accetto. Avevo messo in conto un incontro rapido, limitato a scambiare due chiacchiere. Invece lui, non appena mi vede, mi bacia. Riparte il film della volta precedente, con ancora più coinvolgimento e meno timidezza. Mi chiede cosa avevo fatto la sera prima, dopo il suo bidone. Glielo dico e quasi si stupisce ("Ma non mi avevi detto che eri libero?" "Sì inizialmente ero libero, ma poi.."). Dopo qualche ora di sesso e tenerezze, accenna al doverci lasciare. Ribadisco che per me è un piacere dormire insieme ma non voglio essere causa di problemi. Non aspettava altro per restare (non aveva portato il pigiama solo perché sapeva che non lo avrebbe indossato). A questo punto ne approfitto per incalzarlo un po' (sempre in tono amichevole), gli dico che si è fatto aspettare, gli chiedo di frequentarci ogni tanto. Ma lui si difende con scuse più o meno credibili (nessuno sa di me.. gli amici.. la famiglia, mi sono lasciato da poco con la mia fidanzata). Deduco che ha paura di iniziare qualcosa, non tanto per gli amici (molti di loro mi confida che sono gay), quanto per la famiglia (ha sondato la loro opinione su un eventuale coming out e sarebbero fortemente contrari). Ci raccontiamo meglio, ci diciamo chi siamo. Mi parla del suo lavoro, delle sue attività; ne è piuttosto orgoglioso, mi dice che è una persona molta conosciuta. Anch'io ho un buon lavoro, ma non dò mai molto peso a questi aspetti che dipendono spesso più dalla fortuna che dai propri meriti. Mi interessa di più la persona, capire la sua indole; mi rendo conto che è uno sveglio e pure una brava persona.
La nottata va alla grande, ma al mattino stesso film della volta precedente. Mi riempie di baci, gli chiedo di sentirci ancora e glissa. Perciò dopo i saluti capisco che ho poche speranze, timidamente riprovo a mantenere i contatti. Lui è sempre più freddo, per cui dopo qualche settimana lascio perdere.
A questo punto i miei sentimenti sono di frustrazione, non tanto perché non ho conquistato lui (avrà di meglio a cui pensare, o teme che possa essere causa di problemi; oppure è soddisfatto di un'affettività limitata a incontri episodici, possibilmente con partner diversi), ma quanto perché mi rendo conto come sia difficile, per un gay, costruire un rapporto stabile, anche quando le premesse sembrano le migliori.
Mi impegno a dimenticarlo, a qualche mese di distanza una conoscente comune me ne parla e ne descrive ogni gloria. Lo ritrae come una splendida persona, evidenziando i pregi che avevo già avuto modo di apprezzare. Fingo di non conoscerlo, ma davanti alla foto mi esplode il cuore. Prendo fiato, dopo qualche giorno lo ricontatto. Questa volta su un canale ufficiale, senza anonimato. All'inizio finge di non conoscermi (ma sapeva bene chi ero), non mi mostro offeso; dopo poco corregge il tiro e mi rendo conto che non vuole perdere il contatto (è troppo educato). Non sono ipocrita, in quel periodo sono ancora attratto da lui; sono però molto razionale e mi rendo conto che se l'attrazione è unilaterale, tanto più per una persona che conosco pochissimo, non posso farmi illusioni. Perciò il mio obiettivo è sinceramente solo l'amicizia. Così mi faccio sentire ogni tanto, lui si mostra sempre educato ma non lascia segnali di apertura. Non accoglie i miei inviti, anche se privi di secondi fini (ci beviamo una birra? scegli tu dove..); solo una volta accetta, ma poi mi bidona nuovamente). Ci vediamo alcune volte per caso, noto che in lui persiste ancora una certa curiosità nei miei confronti, ma ha paura di esporsi e diventa sfuggente. All'ultima richiesta di uscire non risponde. Perciò rinuncio definitivamente. Ormai tutto si è spento, anche il desiderio di mantenere un rapporto di amicizia.
Caro Project,
Come vedi da queste esperienze sono uscito sconfitto, perché non ho realizzato i miei desideri, ma non mi sento un perdente.
Sono parte del mio percorso, mi sono servite anzitutto a capire che sono gay e ad accettare serenamente il mio essere.
Non sento la necessità di dichiararmi al mondo, né di fare gesti eclatanti. E' una confidenza che posso fare agli amici di cui mi fido, ma non è un atto dovuto.
Sono una persona normale, non amo gli eccessi, mi piace la compagnia; sicuramente non cercherò di fregare una ragazza, fingendomi quello che non sono.
Se qualcuno dovesse scoprire, per caso, che sono gay, non sarà una tragedia: gli chiederò quale sia il problema.
Attualmente mi pongo come obiettivo di vivere l'affettività secondo la mia natura, che si tratti di amicizia o di amore. Se negassi a me stesso di essere gay, mi priverei di vivere serenamente la mia affettività.
Le chat e gli incontri occasionali assomigliano spesso a una roulette russa, dove il sesso è solo uno sfogo. Non c'è solo il rischio di contrarre infezioni (mai trascurabile per quante protezioni si mettano in atto), ma pure la certezza di distruggere il proprio 'Io' accumulando delusioni, facendo passare gli anni e rendendosi col tempo sempre più ridicoli.
Spero di essere ancora in tempo per cambiare strada
Grazie, un abbraccio