UNA COPPIA GAY IN UN TERRIBILE CALVARIO

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UNA COPPIA GAY IN UN TERRIBILE CALVARIO

Messaggio da progettogayforum » martedì 16 ottobre 2018, 18:06

Caro Project,
mi ha fatto veramente piacere poter parlare con te ieri sera, ne avevo assoluto bisogno e accolgo con entusiasmo l’idea di riportare il discorso di ieri in una mail che poi potrai inserire nel forum.

Ho 31 anni, nella mia vita sono sempre stato convinto di avere mille problemi, dall'idea che non avrei mai trovato un ragazzo che mi amasse all'idea di non essere fisicamente e psicologicamente all'altezza di un compagno serio e a tante altre cose. Per quelle cose mi ci sentivo male, mi sentivo una nullità e pensavo di avere sperimentato il peggio, le situazioni più problematiche della vita, poi ho conosciuto un ragazzo e piano piano, senza colpi di fulmine, abbiamo cominciato a volerci bene. Non so che cosa ci abbia portato a metterci insieme ma è successo.

Per molto tempo non abbiamo potuto convivere, perché non ne avevamo la possibilità, in teoria siamo stati solo due buoni amici, ma in realtà eravamo una coppia. Non ci vedevamo ogni giorno, e capitava che magari in una settimana ci vedessimo solo una volta, ma quando stavamo insieme stavamo veramente bene, abbiamo imparato a volerci bene, a capirci, a fidarci uno dell’altro. Io pensavo di avere trovato la mia serenità e credo che lo pensasse anche lui, ma, improvvisamente lui ha cominciato ad accusare dei disturbi, è andato dal medico che lo ha mandato dallo specialista e ha fatto degli esami strumentali molto approfonditi ed è emerso che il mio ragazzo ha un problema di salute molto serio. Non entro in dettagli, ma è stato veramente un fulmine a ciel sereno.

Al momento ha disturbi abbastanza sopportabili, ma non sarà sempre così e ce lo hanno detto, adesso lui ha cominciato il suo percorso di malattia, che, a parte la gravità della cosa in sé, gli creerà grossissimi problemi anche col lavoro, perché è dipendente di una grossa azienda privata e quando per fare terapia dovrà assentarsi dal lavoro rischierà il licenziamento. Per mia fortuna io ho un buon lavoro e se dovesse servire potrei dargli una mano. Al momento lui non ha detto nulla della malattia ai suoi genitori, che sono anziani e malandati e vivono con lui, non vuole preoccuparli, ma prima o poi si renderanno conto che c’è qualcosa che non va.

I miei genitori conoscono il mio ragazzo, che è stato tante volte a casa mia con loro, ma pensavano che fosse solo un amico. Qualche tempo fa, mio padre, che ha 70 anni, mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: “Si vede che non sei tranquillo, che c’è che non va?” E io gli ho detto tutto, che ero gay e che il mio ragazzo stava male e lui mi ha abbracciato e mi ha detto: “Su me e su tua madre, ci potete contare sempre e per qualsiasi cosa.” Mi sono sentito un po’ confortato ma avrei voluto che a sentirsi confortato fosse il mio ragazzo, che invece con i suoi genitori non può parlare.

Mio padre mi ha chiesto dell’ospedale dove va il mio ragazzo, dei medici che lo seguono e ha detto che sono gente seria, lui conosce quegli ambienti perché anche lui ha avuto problemi oncologici, adesso sotto controllo.

Ho modificato i miei orari di lavoro per poter essere accanto al mio ragazzo il più possibile, lo accompagno al lavoro e vado a riprenderlo, lo accompagno sempre all'ospedale, al medico che lo segue abbiamo detto che siamo una coppia e non ha fatto una piega.

Mio padre a un certo punto ha chiamato Stefano al telefono e Stefano è venuto a pranzo a casa mia, è una cosa che è successa tante volte, ma questa volta mio padre ha detto a Stefano una cosa che lui non si aspettava: “Luigi mi ha detto tutto e noi (cioè lui e mia madre) abbiamo pensato che potreste stare meglio se poteste avere una vostra privacy e una vostra vita autonoma, e allora abbiamo pensato che potreste stare in questo appartamento, noi ce ne possiamo andare in una casetta che abbiamo al paese, che è a solo 15 chilometri da qua, però poi i tuoi genitori resterebbero soli e magari la prenderebbero male, non so … Tu che ne pensi?” Stefano era perplesso e non sapeva che cosa dire e anche io, in realtà. Avrebbe dovuto andare via dalla casa dei genitori e la cosa sembrava proprio irrealizzabile. Mio padre, viste le perplessità, non ha insistito e ha detto solo: “La proposta è sempre valida, se decidete di metterla in pratica, si fa in due giorni al massimo”.

Quando ho riaccompagnato Stefano a casa sua e ci siamo separati, lui ha pensato che se fosse stato con me nella stessa casa sarebbe stato più tranquillo, anche per la malattia, perché i suoi non sapevano nulla e in caso di necessità non avrebbero saputo che cosa fare. Mi ha detto: “Devo provare a farlo accettare ai miei genitori, ma loro hanno anche mia sorella e non rimarrebbero comunque soli … vediamo che succede.” Dopo nemmeno una settimana, i miei sono andati a vivere in paese e Stefano si è trasferito a casa mia. Era felice di stare con me, era anche quello un modo di realizzare un sogno, ma alla base di tutto c’era una terribile malinconia. Vedevo Stefano sorridente e apparentemente tranquillo ma avevo paura del trascorrere del tempo, mi sembrava tutto effimero e paurosamente instabile.

Al momento la situazione è questa, Stefano fa controlli in ospedale ogni due mesi, i medici non si sbilanciano, decideranno loro che cosa fare passo dopo passo, io mi porto dentro un’angoscia terribile e penso a quello che può provare Stefano, noi parliamo di tutto, meno che della malattia, il che significa che sta provando a rimuoverla e a non farsi condizionare troppo.

Io mi sento in imbarazzo soprattutto per il sesso, ti giuro, Project, non so mai come comportarmi, prima non avevamo mai avuto problemi, veniva tutto da sé in modo spontaneo, adesso lanciare l’idea mi sembra inopportuno, ma alla fine questo è pure un discorso stupido. Lui ogni tanto prende l’iniziativa, raramente arriviamo al sesso, nella maggior parte dei casi ci limitiamo a sorridere e a passare oltre. È diverso per le coccole, adesso c’è molta più tenerezza di prima, un po’ per compensare la diminuzione netta della sessualità e soprattutto, penso, perché adesso abbiamo una intimità nostra, abbiamo una casa nostra e possiamo accoccolarci uno appoggiato all'altro a vedere la televisione o semplicemente a sentire che ci siamo e che ci vogliano bene.

Project, mai avrei pensato di dover affrontare una situazione come questa, che mi mette alla prova in modo violento a livello emotivo. Ho il terrore del futuro, i medici non incoraggiano ma non scoraggiano nemmeno, parlano della fase di terapia verso la quale si sta andando ma non parlano mai di prospettive a lungo termine. Io non faccio domande quando andiamo insieme in ospedale. Stefano chiede qualcosa e io cerco di memorizzare le risposte del dottore e di rimettere insieme i pezzi del puzzle per capire qualcosa in più. Ci siamo imposti di non andare a leggere Wikipedia e di lasciare fare ai medici il loro lavoro.

Qualche volta al mattino mi sveglio accanto a Stefano e mi metto a pregare per Stefano, e io non sono mai stato religioso, però adesso un conforto nelle idee della religione ce lo trovo. Di questo non posso parlare con Stefano, non tanto perché lui è radicalmente razionalista e non credente, ma perché per lui sarebbe come una ulteriore conferma che io considero insormontabile il suo problema di salute. Anche lui, secondo me, non vede affatto prospettive favorevoli, ma non ne parla mai. Certe volte, quando ci abbracciamo, mi chiedo che cosa stia pensando ma ovviamente lui non dice nulla. Quei momenti di silenzio sono intensissimi, il nostro modo di stringerci le mani è già molto eloquente. Anche questo è essere gay e io non lo avevo mai immaginato.

Adesso mi rendo conto di quanto fossero assurdi i problemi che avevo qualche anno fa, adesso ho fatto un bagno di realtà che mi ha messo a contatto con la natura umana nella sua fragilità. Sto imparando delle lezioni durissime, so solo che amo Stefano, che non lo lascerò mai solo, non voglio pensare a un futuro senza Stefano, la sola idea mi fa venire da piangere, perché lo vedo accanto a me sereno che mi stringe la mano, sento la sua voce un po’ esitante e lo vedo anche sorridere, è lui che cerca di non farmi pensare e di farmi coraggio.

Adesso siamo a questo punto, Project, e il resto non lo conosce nessuno. Mi sento profondamente malinconico, mi sento una piuma portata dal vento. I miei cercano di essere presenti e di rasserenare un po’ l’atmosfera, trattano Stefano come se fosse un figlio loro, questo consola un po’, ma la malinconia terribile di fondo resta. Io amo Stefano anche perché ha una dignità anche in questa situazione, e non si chiude in se stesso, accetta di condividere le sue angosce con me, senza troppe parole ma con tanto amore.
Chiudo qui, Project, perché non riesco ad andare avanti.
Luigi

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agis
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Re: UNA COPPIA GAY IN UN TERRIBILE CALVARIO

Messaggio da agis » mercoledì 17 ottobre 2018, 13:42

La vita non è ahimè un'avventura dalla quale alcuno di noi possa uscire vivo. Di veder l'erba dalla parte delle radici in senso non metaforico mi è capitato personalmente in un paio di occasioni così come mi capitò, dodici anni fa, di dover far fronte psicologicamente alla morte improvvisa di un partner. Ripensare a quella mezz'ora in cui la cosa accadde mi aiutò, più tardi, a capire come costruiamo mentalmente il concetto verbalizzato dal termine "agonia". La prima volta che sentii dire da una dottoressa che mia madre era a rischio di vita avevo 30 anni e, da allora, ne sono passati 28 di battaglie continue ed incessanti con la comare secca. Ciò detto, mi ritengo ancora fortunato se sono arrivato a questa età avendo assistito ad un solo episodio in cui si possa parlare di "agonia" nel senso veramente biblico del termine. Era il padre di una mia amica e vi risparmio i particolari. Il problema della morte in termini teorici non sussiste. Quando ci siamo noi non c'è lei e vice versa. Bene fa Stefano a non parlarne e non è affatto detto che si tratti di rimozione ma, semplicemente, dell'unico atteggiamento logico e razionale possibile. Sul piano analogico rimangono ovviamente i problemi della sofferenza fisica e psicologica e quelli che riguardano soprattutto chi resta della privazione relazionale. I primi sono fortunatamente risolti nella maggior parte dei casi dalla farmacologia. I secondi, come scrisse anche Voltaire, sostanzialmente dal tempo nella misura in cui esso ti porta a vedere che la vita è tale proprio perché in essa alla creazione di senso ed alla relazione non c'è scampo.

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progettogayforum
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Re: UNA COPPIA GAY IN UN TERRIBILE CALVARIO

Messaggio da progettogayforum » mercoledì 17 ottobre 2018, 14:09

Sostanzialmente concordo. Vedo le cose da vecchio e da vecchio malandato che un po’ di conti se li fa, ma un vecchio si abitua all'idea piano piano, in qualche maniera supera il problema in sé, che oggettivamente non esiste e si concentra su quello del dolore che purtroppo esiste, ma in qualche modo è preparato all'idea, per quando sembri un’espressione paradossale. Ma Luigi ha 31 anni e Stefano suppongo più o meno lo stesso, e andare incontro a quelle cose a quell'età è devastante perché a quell'età c’è una legittima aspettativa di vita. Ho provato a pensare alla situazione di questi due ragazzi, l’impressione è che facciano di tutto per normalizzare la situazione, che è, in fondo, l’unica cosa sensata. Hanno qualcosa che li terrà uniti in ogni caso ad affrontare quello che Dio o il destino presenterà loro. Stefano ha almeno la certezza di essere amato. Quando si ragiona con cose più grandi noi i conti non tornano mai e si prova una sensazione di totale smarrimento, da lì anche il recupero della religione, più come accettazione del venerdì santo che come attesa della Pasqua, perché bisogna comunque dare un valore alla sofferenza che non può evitare.

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agis
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Re: UNA COPPIA GAY IN UN TERRIBILE CALVARIO

Messaggio da agis » mercoledì 17 ottobre 2018, 16:27

Vabbè Project uno dei miei cugini morì all'improvviso a 40 anni per lo stesso problema del mio ex e sua moglie, che era della sua stessa leva, lo seguì più laboriosamente per un tumore sei anni dopo. Non possiamo dimenticare che è stato solo nell'ultimo scorcio del passato millennio che l'aspettativa di vita delle popolazioni del mondo cosiddetto occidentale è aumentata. Ai tempi dell'acme dell'impero romano era, ad esempio, intorno ai 35 anni per cui, in modo un po' dissacrante, si potrebbe pensare che neppure Cristo ebbe poi a fare questo gran sacrificio per quelli che erano gli standards dei suoi tempi.
E' forse per questo che le considerazioni degli antichi suonano ancor oggi così efficaci:

vita longa si scias uti

o Marco Aurelio

Se anche dovessi vivere tremila anni, o anche 10 volte tanto, ricorda che non perdi alcuna vita se non quella che vai vivendo e non vivi alcuna vita se non quella che vai perdendo...

^_^
Ultima modifica di agis il mercoledì 17 ottobre 2018, 16:57, modificato 1 volta in totale.

marmar77
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Re: UNA COPPIA GAY IN UN TERRIBILE CALVARIO

Messaggio da marmar77 » mercoledì 17 ottobre 2018, 22:08

Grazie a Luigi per condividere con noi la sua esperienza.

Per quanto possa essergli d'aiuto, sono vicino a lui e a Stefano, sperando arrivi loro anche solo un po' del mio sostegno per andare avanti positivi.
La lettera che scrive è testimonianza di puro amore. Fa riflettere su come sia futile essere etichettati gay o etero: siamo tutti persone, tra cui indistintamente dalla propria inclinazione sessuale, alcune si trovano in situazioni difficili. A fare la differenza sono l'onestà, la dignità, l'impegno, l'amore che ci mettiamo per affrontarle.

Nel leggere il racconto pensavo che sembra la trama di un film: è raro pensare a due gay che si trovano in una situazione così dura. L'immaginario collettivo non associa alla parola "amore omosessuale" quella di sacrificio, sostegno reciproco, ma solo quella di divertimento, superficialità, tradimento e questa è una prova di quanto si sbagli.

Nello spirito malinconco della lettera primeggia il bello che è fuoriuscito da una situazione così dura: il coming out di Luigi e l'appoggio della sua famiglia, la convivenza con Stefano, l'unione tra i due che supera ogni difficoltà, il loro legame senza tempo.

Un forte abbraccio ad entrambi

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