I GAY E I DANNI DELLA PEDOFILIA

Solitudine, emarginazione, discriminazione, omofobia...
Rispondi
Avatar utente
progettogayforum
Amministratore
Messaggi: 5949
Iscritto il: sabato 9 maggio 2009, 22:05

I GAY E I DANNI DELLA PEDOFILIA

Messaggio da progettogayforum » mercoledì 17 gennaio 2018, 0:37

Mi è capitato molte volte nel corso di questi ultimi 10 anni di scrivere sul tema dell’abuso sessuale di minori e sulle conseguenze che questi abusi comportano nella vita delle vittime. Vorrei dedicare questo post a chiarire alcuni punti fondamentali. Partirò dal concetto di abuso per illustrare le situazioni più tipiche in cui l’abuso si concretizza. Mi fermerò poi sugli effetti dell’abuso sulla sessualità della vittima in età infantile, in età adolescenziale e poi in età adulta. Mi soffermerò in particolare sul concreto rischio che chi ha subito abusi sessuali possa a sua volta perpetrare abusi su minori e sulla dipendenza sessuale in conseguenza dell’abuso subito.

Una premessa è d’obbligo, il mio discorso si basa sull’esperienza maturata in Progetto Gay e, ovviamente, riguarda solo situazioni in cui dei ragazzi sono arrivati a parlare in modo esplicito degli abusi subiti. In sostanza questi ragazzi hanno già una consapevolezza razionale di quello che hanno subito e, almeno in modo relativo, sono capaci di oggettivarla, si tratta quindi di ragazzi che hanno già fatto un percorso individuale importante e che hanno superato già molti dei condizionamenti indotti dall’abuso.

Partiamo dal concetto di abuso. L’abuso sessuale si distingue dalla violenza sessuale perché, a differenza di questa, non si presenta quasi mai con modalità violente o intimidatorie e, molto spesso, all’inizio, nel futuro abusatore non è neppure presente una chiara volontà di compiere un abuso.

L’immaginario collettivo si raffigura l’abusatore come un maniaco dalla volontà perversa che, adocchiato casualmente il bambino o la bambina, consapevolmente concepisce un progetto di abuso e pervicacemente lo porta a termine, ma le cose sono oggettivamente molto diverse.

L’abusatore, nella stragrande maggioranza dei casi, non è un estraneo ma un parente stretto del bambino o un amico di famiglia che lo frequenta abitualmente e che ha col bambino una notevole familiarità. Va sottolineato che un bambino non ha in genere i freni inibitori che ha un adulto e il suo gioco infantile ha una immediata fisicità che per un adulto è difficile capire. L’inizio del percorso, spesso lungo e non lineare, che conduce all’abuso, sta proprio nella familiarità tra l’adulto e il bambino. Questa familiarità significa anche libertà almeno relativa di linguaggio, libertà di gioco e spesso contatto fisico. Poiché la statistica ci rende consapevoli che un’alta percentuale di abusatori è costituita da adulti che hanno subito abusi, è facile comprendere che se un adulto che è stato abusato quando era bambino, si trova in situazioni analoghe a quelle in cui ha subito l‘abuso ne può, più o meno consciamente, rimanere condizionato. La tentazione di rivestire il ruolo dell’abusatore può diventare molto forte e la capacità di resistenza a questa tentazione può giungere al limite di rottura.

In genere quando l’abusatore è un adulto che ha subito abusi in età infantile, l’iniziativa del nuovo abuso, è proprio dell’adulto, anche se il processo col quale si arriva all’abuso è molto graduale e attraversa fasi di avanzamento e di regressione. Se invece si tratta di un adulto che non ha mai subito abusi, spesso le cose si sviluppano con molta meno consapevolezza, senza uno schema predeterminato e in modo quasi spontaneo.

L’adulto concede al bambino troppa libertà senza capire in anticipo i rischi che questo comportamento può comportare. L’adulto sottovaluta, o meglio è portato a sottovalutare la gravità dell’abuso, e commette alcuni tipici errori di valutazione indotti, o meglio sarebbe dire autoindotti a propria giustificazione: ritiene che siccome il ragazzino è piccolo, prenderà la cosa come un gioco, non ne capirà le implicazioni sessuali e soprattutto si dimenticherà molto facilmente di quell’esperienza, ma evidentemente queste tre ipotesi sono del tutto infondate, e sono destinate solo ad alimentare l’irresponsabilità dell’adulto. L’adulto che finisce per accettare un gioco sessuale spinto con un bambino pretende di trovare una giustificazione in frasi del tipo: “il bambino era consenziente” o addirittura: “Io non ho fatto che stare al suo gioco”. È evidente che queste due formule, che possono avere un senso per legittimare un comportamento sessuale libero con un adulto, non possono assolutamente applicarsi a un bambino, perché il bambino è oggettivamente incapace di valutare le conseguenze a lungo termine di ciò che può avere anche ricercato.

È evidente che l’educazione sessuale dovrebbe mirare, tra le altre cose, anche e in particolare, a rendere gli adulti consapevoli della gravità delle conseguenze della pedofilia, facendo altresì capire che in moltissimi casi nella pedofilia si scivola gradualmente, e spesso non se ne ha neppure la piena consapevolezza, e quando la consapevolezza arriva, il danno è ormai irreparabile. Va precisato che uno dei parametri fondamentali per quantificare il danno prodotto dall’abuso sessuale su un minore è la durata dell’abuso. Quando l’abuso si realizza in un unico episodio certamente lascia molte meno tracce, tanto più se l’abusatore non è un familiare, ma se l’abuso è ripetuto e diventa abitudinario ed è accompagnato da minacce del tipo: “Non lo dire a nessuno, se no, non sai che cosa succede!” crea uno stato di soggezione e di vera e propria costrizione, cioè diventa una vera forma di violenza.

Chi si trovasse ad aver commesso un abuso singolo nei confronti di un bambino farebbe bene, se ha un minimo di coscienza, ad andare a vivere in un’altra città per evitare che la sua presenza possa contribuire a consolidare il ricordo dell’abuso. Il comportamento dell’adulto che partendo dall’assunto che “siccome ormai il danno è fatto”, tanto vale far diventare l’abuso un fatto abitudinario, confonde due piani totalmente diversi, quello dell’abusatore e quello dell’abusato.

In termini giuridici dopo il primo abuso si è colpevoli di un reato grave, tecnicamente di un crimine, e si corre il rischio di potere essere denunciati e perseguiti, anche se la continuazione delle condotte criminali nel tempo aggrava il reato, la cessazione di quelle condotte non lo cancella comunque, e proprio su questo ragionamento si basa l’adulto che trasforma l’abuso in un fatto abituale, ma dal punto di vista del bambino, la ripetizione dell’abuso può creare a distanza di anni situazioni veramente molto pericolose, come forme di colpevolizzazione profonda, interruzione del dialogo coi genitori con conseguente progressivo isolamento del ragazzo, e soprattutto può rappresentare per il ragazzo un imprinting sessuale capace di condizionate tutta la sua vita, creando dipendenze e interferendo pesantemente nella formazione degli archetipi sessuali e quindi dell’orientamento sessuale e delle relative preferenze.

Se l’abuso non è violento la vittima può non avvertirne subito la pericolosità, ma a distanza di anni, quando il livello di consapevolezza sarà adeguato, il ricordo dell’abuso lavorerà nel profondo della coscienza del ragazzo. La maggior parte dei danni derivanti dall’abuso non violento si manifesta con l’adolescenza. Quando la sessualità profonda e innata del ragazzo si risveglia; se si tratta di una sessualità etero, il ragazzo, pur soffrendo profondamente per il ricordo dell’accaduto, nell’andare verso la sessualità adulta (etero) proverà anche un senso di liberazione rispetto alla memoria dell’abuso subito, in sostanza il ricordo dell’abuso sarà del tutto separato dalla sessualità adulta. Se invece la sessualità adulta dovesse manifestarsi come gay le cose si complicherebbero parecchio perché i sentimenti gay sarebbero fortemente condizionati dalla memoria dell’abuso al punto tale che il ragazzo arriverebbe a pensare di essere gay solo in conseguenza dell’abuso e questo comporterebbe che l’atmosfera di negatività legata all’abuso sarebbe automaticamente estesa ai nascenti sentimenti gay. Ciò che ho appena scritto non è un discorso teorico ma è quello che ho visto praticamente nei ragazzi gay che sono stati oggetto di abuso. Ma c’è di più: la luce negativa gettata sulla dimensione gay nascente per effetto della contaminazione con il ricordo dell’abuso provoca molto spesso tentativi di fuga verso l’eterosessualità (la cosiddetta eterosessualità di fuga) destinati a finire miseramente e talvolta in tempi lunghi, lasciando strascichi di frustrazioni e di pensiero depressivo. Va subito chiarito che gli effetti negativi dell’abuso si estendono praticamente sempre anche all’età adulta. Il ricordo dei fatti, in particolare se si sono ripetuti sistematicamente per lunghi periodi, diventa ossessivo, il ragazzo, divenuto ormai adulto, rivede spesso la scena dell’abuso che diventa il nucleo di un disturbo ossessivo-compulsivo e come tale, pur essendo sostanzialmente un pensiero intrusivo e disturbante, finisce per assumere caratteri via via più attraenti. Il ragazzo cerca di ricreare nella realtà situazioni analoghe a quelle dell’abuso, in alcuni casi crea più o meno inconsciamente dei rapporti intergenerazionali in cui però la genuina sessualità è molto intimamente mescolata col pensiero ossessivo dell’abuso, e piano piano, il ragazzo abusato, diventato adulto comincia a chiedersi come si comporterebbe se fosse lui dalla parte dell’abusatore, e qui spesso arrivano momenti di crisi profonda, perché un uomo ormai adulto si rende conto che l’abuso non ha solo condizionato la sua sessualità ma può averlo trasformato in un potenziale pedofilo, cioè a sua volta in un persona oggettivamente pericolosa. Nella loro vita sessuale gli adulti che sono stati abusati quando erano bambini tendono a riprodurre con molta frequenza comportamenti e pratiche sessuali corrispondenti a quelle oggetto dell’abuso. La compulsione a ripetere quei comportamenti può rasentare la dipendenza. In sostanza un adulto arriva alla consapevolezza che l’abuso gli ha letteralmente rovinato la vita e ha marcato la sua sessualità in modo pesantemente negativo tanto da renderlo un potenziale pedofilo attraverso fantasie ossessive di quel tipo.

Cercheremo ora di capire come un adulto che sia stato abusato in età infantile tenda a costruirsi una vita affettiva e sessuale. Ovviamente qui il discorso sarà ristretto soltanto a situazioni riguardanti adulti gay abusati in età infantile da uomini. Quando dico adulti, intendo riferirmi a persone di almeno vent’anni. Non va mai dimenticato che chi viene in contatto con questi adulti non conosce la loro storia perché anche nell’ambito di una relazione affettiva importante, l’adulto che abbia subito abusi in età infantile , se arriverà a parlare di queste cose col suo compagno, cosa assolutamente non scontata, lo farà soltanto dopo parecchio tempo, quando cioè i rapporti affettivi saranno ben consolidati e sarà ragionevolmente prevedibile che un discorso chiaro non metterà in crisi il rapporto. La paura di non essere accettati che all’esterno è connessa all’abuso subito, in realtà nasconde una paura molto più profonda e consistente legata al fatto che gli adulti abusati in età infantile possono avere e in realtà hanno spesso fantasie sessuali riguardanti minori e su questo punto il partner potrebbe sentirsi profondamente a disagio. Va aggiunto che spesso, quando non in modo esclusivo, l’adulto che ha subito abusi da bambino tende a creare rapporti intergenerazionali, e in questi rapporti il partner più anziano teme di poter essere accusato di qualcosa, in qualche modo, affine alla pedofilia. In questi casi il partner più anziano tende facilmente ad emarginare il suo compagno sia perché portatore di fantasie, più o meno sporadiche, su minori, sia perché si rende conto che il rapporto intergenerazionale tende ad essere una ripetizione della scena dell’abuso.

È ovvio che l’adulto che è stato vittima di abuso, chiamiamolo adulto A, tenda a tenere per sé l’argomento, ma così facendo si rende conto che il rapporto è profondamente condizionato da un non detto molto pesante. Accade talvolta che l’adulto A cerchi in modo più o meno coperto a trasversale di condividere col suo partner fantasie su minori, che per lui sono talvolta veri pensieri ossessivi; questo serve a sondare il terreno senza giungere a discorsi espliciti. Quando poi il discorso esplicito arriva, la reazione del partner è fondamentale. Ogni reazione di rigetto è particolarmente traumatica per l’adulto A, perché gli attribuisce una colpa che non ha, trasformando di fatto in un potenziale criminale chi in realtà è solo una vittima. A livello statistico è praticamente impossibile che il partner condivida le fantasie sui minori dell’adulto A, anche sollecitato e sollecitato insistentemente dall’adulto A, il partner non deve rispondere per compiacenza affermando di condividerle almeno parzialmente ma deve dire la verità nel modo più chiaro, ricordando che l’adulto A non gli sta chiedendo una condivisione di fantasie che lui stesso non vorrebbe, ma in realtà gli sta chiedendo se la presenza più o meno ossessiva di quelle fantasie può essere in grado di minare il rapporto alla base e gli sta chiedendo altresì, se si tratta di un rapporto intergenerazionale, se il fatto che il rapporto sia “anche” un modo di rivivere i momenti dell’abuso possa distruggerne il significato interpersonale affettivo attuale. Se il partner che non condivide le fantasie sui minori dell’adulto A è veramente interessato a mantenere un rapporto affettivo forte con l’adulto A deve farglielo capire in modo esplicito. Il comportamento più irresponsabile del partner consiste nel fingere di non aver capito o peggio nel minimizzare, perché parlare chiaro su questi temi, per l’adulto A è nello stesso tempo difficilissimo e fondamentale. Il discorso più rassicurante da parte del partner consiste nel mettere in chiaro alcuni elementi: 1) Avere fantasie su minori e metterle in pratica sono due cose diversissime. 2) Le fantasie, specialmente quelle ossessive, non si controllano, ma se un adulto A ha senso di responsabilità, quelle fantasie restano solo fantasie e non si trasformano mai in atti dannosi per altri. 3) Se un rapporto intergenerazionale può essersi instaurato “anche” per riprodurre una situazione simile a quella dell’abuso, resta comunque una cosa totalmente diversa proprio perché in quell’ambito si sta parlando dell’abuso, proprio in ragione del fatto che ora la sessualità ha una profonda valenza affettiva.

Un adulto A ha bisogno soprattutto di stabilità affettiva, di potersi fidare e di poter essere se stesso col suo partner, senza nascondere le sue nevrosi, le sue ossessioni e i suoi pensieri più intimi. Un adulto A non deve essere accettato solo come un adulto ma specificatamente come un adulto A. Il partner deve avere piena consapevolezza del fatto che il ricordo dell’abuso sarà sempre presente nel fondo della personalità dell’adulto A, e che poterne parlare è liberatorio. Spesso, purtroppo, i tentativi di creare rapporti affettivi seri da parte dell’adulto A, si scontrano con resistenze e pregiudizi moralistici che portano alla colpevolizzazione dell’adulto A e alla sua marginalizzazione. Sarebbe sempre utile che due ex-partner, una volta finito il rapporto di coppia, mantenessero un rapporto di amicizia a testimonianza del fatto che il rapporto di reciproca stima non è venuto meno, questo è tanto più utile e necessario nell’ambito delle coppie con un adulto A.

Vi sono poi per l’adulto A altre conseguenze dell’abuso, di tipo più generale, come il calo dei livelli medi dell’autostima, la facile tendenza allo scoraggiamento e l’abbassamento della capacità di resilienza quando si diventa vittime dell’aggressività altrui. Dall’esterno si potrebbe erroneamente ritenere che l’abuso non lasci alcuno spazio di recupero ma così non è. In genere gli adulti A mostrano una caratteristica peculiare: non abbandonano i rapporti con le persone, dimostrano una fedeltà affettiva molto forte, anche se non sempre accompagnata da una corrispondente fedeltà sessuale all’interno della coppia, e soprattutto cercano, quando è possibile, di mantenere il dialogo assolutamente autentico e veritiero, lontanissimo da rituali di tipo sociale o dalle abitudini. I rapporti con un adulto A, quando nascono da un’accettazione reciproca, anche parziale, ma autentica da entrambe le parti, hanno una solidità affettiva che li porta a resistere nel tempo senza perdere di intensità. Ovviamente gli adulti A possono avere personalità individuali fortemente diversificate, al di là dell’esperienza dell’abuso, ma non va mai dimenticato che quell’esperienza resta un condizionamento pesante che va compreso e accettato per quello che è, qualsiasi riserva mentale su quello che l’esperienza dell’abuso può provocare a distanza di molti anni rappresenta una pesantissima ipoteca su qualsiasi tipo di rapporto che coinvolta un adulto A.
___________
Read this post in English: http://gayprojectforum.altervista.org/T ... pedophilia

Rispondi