Rayden ha scritto:Mi sono sempre chiesto quale impulso o vibrazione interiore sia così maledettamente potente da consentire a certe affermazioni di risvegliarsi dagli angoli più bui del cuore di un genitore per liberarsi dalle sue labbra, soprattutto laddove esso sia a conoscenza della situazione del figlio e delle difficoltà che essa inevitabilmente porta con sé, come mi sembra sia accaduto a micosola e probabilmente a molti altri.
Non posso credere che quelle parole siano semplicemente l'eco di ritorno di frasi già dette e ripetute da qualcuno di cui non si conosce né il nome né l'età né la dimora, un po' come accade per il gossip del barbiere, i pettegolezzi della portinaia o i mormorii di paese.
L'amore che un genitore ripone verso il proprio figlio dovrebbe essere qualcosa di più che una stanza vuota, dove ogni parola e ogni pensiero non è altro che il rimbombo di parole e pensieri altrui, che entrano senza alcun filtro da ogni porta o finestra lasciata aperta. Al contrario, sono dell'idea che quel rapporto d'amore, così unico e incondizionato, debba necessariamente riposare in una stanza inconfondibilmente arredata, dove ogni eco che stride con il particolare stile che la rende unica viene smorzata e ridotta al silenzio prima ancora di essere percepita.
Mi domando allora se tutto dipenda dal raggiungimento dell'amara consapevolezza che con un figlio gay non ci potrà essere matrimonio né una nuora, né nipotini, né una famiglia tradizionale in cui il genitore possa in qualche modo rispecchiarsi, ritrovandovi qualche tratto somatico o convincendosi di essere orgogliosamente riuscito a lasciare ai posteri un frammento di sé, indipendentemente dalla forma, dalla consistenza e dal colore che questo potrà assumere.
Eppure, nemmeno questa risposta mi soddisfa, perché non riesco a immaginare un tratto somatico più bello da trasmettere del sorriso di un figlio che pensa a mamma e papà come alle persone da cui non potrà mai temere di essere ferito. Allo stesso modo, non penso possa tramandarsi un frammento di sé più grande e luminoso della felicità di un ragazzo consapevole di poter sempre contare sui propri genitori, sicuro che non gli volteranno mai le spalle, anche a costo di remare contro la tempesta delle loro convinzioni più mature e radicate.
Non sono genitore né mai lo potrò essere, ma se lo fossi mi augurerei che qualcosa mi spingesse a soffermarmi su queste riflessioni ogniqualvolta avessi la sensazione di trovarmi in procinto di dire qualcosa che nei confronti di mio figlio potrebbe rivelarsi più tagliente di un pugnale, così da scongiurare l'eventualità che egli possa piangere da solo per il dolore di quelle ferite, nell'invisibilità delle sue lacrime e nel silenzio dei suoi segreti.
Rayden
Ho voluto trascrivere questo commento perchè mi ha toccato molto.
Mi ha commosso questo tuo appello accorato alla forza del legame fra un genitore e un figlio, questa speranza che si legge fra le righe o per meglio dire fra le lacrime e in quel silenzio. A volte un genitore ama nel modo sbagliato. Senza saperlo. Come dici tu, addossa al figlio scelte che non lo riguardano , come se volesse un risarcimento delle attenzioni spese nel sui confonrti. Il fatto è che dice a se stesso di desiderare il suo bene, ma si inganna. Così facendo crea una distanza , che a volte viene colmata dal conflitto, quando magari capita che la rabbia costringa l'uno o l'altro a interromprere quel silenzio.
Hai descritto il dover essere di un genitore, un ideale di amore a cui tendere. Ma errori ne facciamo tutti . Un padre e una madre sono persone come gli altri, con la differenza che ammettere questi tipo di errori per loro è difficile come confessare un omicidio. Molto doloroso accettare l'idea di aver fatto soffrire un figlio. Così ci si costruisce un alibi dietro l'altro per nascondere la verità. Il figlio stesso non ha la forza per proclamarla e il tempo passa.
Spero che quel figlio trovi il coraggio almeno di proclamarla dentro di sé, quella verità. Grazie comunque Rayden, mi hai fatto riflettere molto.