COPPIE GAY DI FRONTE ALLE PROVE PIU’ DIFFICILI

Coppie gay, difficoltà, prospettive, significato della vita di coppia dei gay
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COPPIE GAY DI FRONTE ALLE PROVE PIU’ DIFFICILI

Messaggio da progettogayforum » giovedì 22 agosto 2019, 19:36

Riporto qui di seguito una mail che ho ricevuto giorni fa e che mi ha colpito molto. Ho chiesto all'autore di modificarne un po’ il testo per garantire la tutela della privacy dei protagonisti, lasciando tuttavia integro il senso della storia. Questo è il testo finale per la pubblicazione. Ringrazio Luca per aver condiviso un’esperienza così sconvolgente e sono sicuro che questo testo aiuterà molte persone ad avere un atteggiamento più maturo verso la vita.

"Ciao Project,
mi chiamo Luca e ho 42 anni.
Ho letto di recente il post “una coppia gay in un terribile calvario” e mi ha profondamente commosso, anche perché io purtroppo non ho ricevuto la stessa solidarietà...
Verso la fine dell'anno scorso mi è stata diagnosticata una grave malattia neurologica e il mio immaturo ex, dopo più tre anni di storia, mi ha lasciato con scuse abbastanza pretestuose.
Non ti scrivo per chiederti consigli o per essere consolato, ma forse perché una parte di me spera che mettendo nero su bianco la mia storia, io possa smettere di pensarci e di stare male, come se la allontanassi, come se la accantonassi.
Ho già parlato della mia disavventura amorosa con un amico gay e con alcune buone amiche, ma forse mi è più facile scrivere a uno sconosciuto benevolo, quale tu sei, per liberarmi di questo fardello, perché il tuo eventuale giudizio negativo penso non mi toccherebbe nel vivo.
Ho conosciuto Alberto nel 2015.
La nostra storia nacque all'inizio semplicemente per attrazione fisica, ma di lui mi colpirono subito la dolcezza e la vulnerabilità.
Benché fosse più vecchio di me di qualche anno, mi fece l'impressione di un ragazzino sperduto.
Mi raccontò con molta esitazione e timidezza che viveva ancora con la sua famiglia,che non aveva mai avuto un fidanzato, solo storielle di massimo un mese, e che era sempre stato scaricato.
L'ultimo uomo che aveva frequentato gli aveva detto che secondo lui non ce l'avrebbe fatta a reggere il ritmo di una storia.
Gli chiesi perché non aveva cercato storie più serie e lui mi rispose che fare sesso gli piaceva e che solo da poco cercava qualcosa di più.
C'erano tutti i campanelli d'allarme perché me la dessi a gambe e invece mi ricordo che lo abbracciai a lungo, lo tenevo stretto a me e gli dissi che secondo me non avevano capito nulla gli altri e che avrei voluto continuare a vederlo, perché era un diamante grezzo che aspettava solo di essere scoperto da qualcuno che lo sapesse valorizzare.
E aggiunsi che, se fosse stato per me, avrei raccolto tutti i ragazzi incasinati e problematici per riempirli di affetto.
Capivo infatti perfettamente cosa significasse sentirsi soli, senza mai avere qualcuno di speciale da amare e da cui essere amato, perché per molti anni avevo sperimentato le stesse sensazioni, prima di avere delle storie serie.
Ricordo ancora il senso di solitudine che mi ha sempre attanagliato in mezzo ai “normali”, quando camminavo per la strada nella folla della mia piccola cittadina di provincia e mi sembrava di essere l'unico gay esistente, un paria invisibile.
Piano piano riuscii a farlo uscire dalla dinamica di vederci solo per sesso e incominciammo a conoscerci meglio e lui si aprì molto con me.
Superammo insieme molte impasse, dovute principalmente alla sua inesperienza.
Dopo qualche mese di frequentazione tuttavia mi arrivò una brutta pioggia fredda: un pomeriggio, senza nessuna avvisaglia, mi disse di punto in bianco che non era convinto di continuare, perché non capiva dove poteva portarlo quell'esperienza con me.
Ero così sconvolto e arrabbiato che scoppiai a piangere e scappai letteralmente, con l'intenzione di non vederlo mai più, tanto mi sentivo deluso di aver sprecato il mio tempo con un immaturo totale.
Fece di tutto per riconquistare la mia fiducia e ovviamente capitolai, perché ero cotto a puntino.
Gli spiegai che ovviamente gli obiettivi di una coppia gay non potevano essere quelli di una coppia etero, che non avremmo certo avuto bambini e che d'altra parte io non avevo mai preso in considerazione la convivenza, perché per via della mia situazione famigliare e lavorativa non volevo e non potevo essere un gay dichiarato.
Tuttavia aggiunsi che secondo me già il fatto di imparare a volersi bene e a fare tante cose assieme, come ad esempio viaggi, sarebbe stato un obiettivo più che importante e soddisfacente.
Dopo quell'episodio il nostro rapporto si rafforzò molto, anche se ovviamente – come in tutte le coppie – c'erano luci e ombre.
Avrei difatti desiderato che passassimo più tempo assieme, anche perché non vivevamo a grande distanza l'uno dall'altro e, visto che abitavo da solo, casa mia era sempre libera.
Capivo che avesse bisogno di riposarsi e di avere i suoi spazi, ma avrei voluto più occasioni di stare con lui.
Ci vedevamo solo un'oretta dopo il lavoro durante la settimana e unicamente il sabato pomeriggio.
Poi c'erano anche alcuni fine settimana assieme e le ferie (ma solo di una settimana, perché col suo lavoro di più non poteva!)
Ricordo che una volta mi disse tutto esaltato che alla radio aveva sentito parlare degli “spaiati” e che lui si considerava così, vale a dire una persona che amava sì la vita di coppia, ma che stava molto bene anche da solo.
Un mio amico col senno di poi mi ha detto che probabilmente Alberto aveva “una doppia vita”, ma non voglio crederlo.
Una costante del nostro rapporto purtroppo era ed è sempre stata che dovevo essere sempre io a fare la prima mossa per baciarlo, per fargli un gesto di tenerezza, per fare l'amore.
Ero sempre io che per primo gli dicevo che gli volevo bene, che era bello, e lui mi faceva solo da eco: “anch’io, anche tu”.
Quando gli chiedevo perché questo avvenisse, la sua risposta era “non lo so”, anche se una volta mi aveva detto che fisicamente non ero il suo tipo.
Poi ero sempre io quello che organizzava le nostre attività, che trovava le cose da fare assieme, le idee per le vacanze ... a volte mi sembrava quasi di essere più un animatore turistico che un fidanzato.
Avrei anche tanto voluto che partecipasse alle uscite con i miei amici, ma lui diceva che con troppa gente che non conosceva non si sarebbe sentito a suo agio, benché io gli dicessi che i miei amici sapevano di me e non avremmo avuto problemi.
Nella nostra vita di coppia c'erano quindi delle incomprensioni e delle difficoltà, ma in tre anni non sono mai state così esplosive da indurci a scrivere la parola fine.
E d'altro canto Alberto non mi ha mai manifestato motivi di scontento, anzi mi ripeteva spesso che stare con me l'aveva reso una persona migliore.
Avrebbe anche voluto tante volte pronunciare la fatidica frase “ti amo”, ma io lo bloccavo dicendogli che l'amore era una cosa molto ma molto grande, che per essere tale doveva passare attraverso molte prove, che io lo intendevo veramente come la formula recitava “in ricchezza e povertà, in salute e malattia” ecc. ecc.
Senza saperlo ero stato profetico!
Poi è arrivata la diagnosi della mia malattia e, come puoi immaginare, mi è letteralmente crollato il mondo addosso.
Da quel momento ho incominciato a sentirmi come già morto e a congedarmi da tutte le cose che erano state fino ad allora importanti nella mia vita.
Purtroppo Alberto non è stato in grado di starmi vicino e io ho capito che consciamente e inconsciamente gli ho reso difficile starmi vicino e che l'ho allontanato.
Sono peggiorato gradualmente dal punto di vista fisico e per tutto il tempo ho continuato a chiedergli se veramente se la sentiva di starmi accanto e se davvero voleva assistere al mio declino fisico.
Ero io per primo a mettergli di fronte quali sarebbero state le difficoltà dello starmi accanto, non ho mai nascosto le mie condizioni, le mie incertezze sul nostro futuro, il mio disagio.
Avrei voluto che stesse con me, ma mi sentivo anche egoista e inadeguato perché sapevo che non avremmo più potuto fare le cose che facevamo assieme e che avevano reso fino ad allora così bello e spensierato il nostro rapporto.
La sua risposta alle mie sollecitazioni era invariabilmente: “stiamo a vedere come va”, mentre io avrei voluto sentirmi dire “ti sarò sempre accanto” o quantomeno avrei voluto che cambiasse la sua disponibilità di tempo e di attenzione nei miei confronti.
Pretendevo troppo? Avrei dovuto esplicitare quello che avrei desiderato sentirmi dire? Io credo che al suo posto avrei fatto di tutto per farlo sentire bene. Ovvio, potresti ribattermi che non avevo scelto come fidanzato una persona matura e quindi perché avrei dovuto aspettarmi maturità?
Come provocazione gli dicevo – e mi rendo conto ora che era una bambinata crudele - come si aspettava che sarebbe stato il nuovo fidanzato.
Poi una sera sono caduto per strada e la mia vita è peggiorata non poco.
Se fino a quel momento ero riuscito, anche se con difficoltà, a camminare e a guidare e a vivere a casa mia autonomamente, dopo la caduta sono dovuto tornare a casa dei miei con tutti i problemi legati al dover ritornare a vivere con genitori anziani e a dipendere da loro (meno male che in tutti questi anni non ho fatto coming out in famiglia!).
Per tutto il periodo della convalescenza ci siamo sentiti per telefono, ma sai come si dice “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”... E' venuto a trovarmi a casa dei miei solo una volta.
Ovviamente non si è più parlato di vacanze assieme, né di altri svaghi assieme.
Poi quando sono stato meglio veniva a prendermi a casa dei miei e andavamo a casa mia, sempre e solo il sabato pomeriggio.
Facevamo l'amore, ci coccolavamo, ma puoi capire che aleggiava su tutta la nostra storia un'atmosfera di tristezza e di incertezza.
Io non ero più lo stesso fidanzato allegro e coinvolgente di prima, come avrei potuto esserlo?
Gli chiedevo spesso cosa pensasse e cosa provasse e lui mi diceva: “niente”, ma lo vedevo un po' assente, anche se nei messaggi che ci scambiavamo mi scriveva che era sempre bello stare con me.
Come sempre, nel nostro rapporto, sono stato io a dover trovare il coraggio di arrivare a un chiarimento e a una soluzione, perché se fosse stato per lui saremmo andati avanti con quest'ambiguità per chissà quanto tempo.
Fino a 15 giorni prima che finisse la nostra storia è venuto a letto con me e fino a 9 giorni prima mi chiamava “amore, angelo, tesoro”.
Penso che non sarei così arrabbiato con lui se fosse stato più sincero: posso capire che avesse paura della mia reazione, ma occultando la verità non ha causato a tutti e due maggiore sofferenza?
Ho voluto quindi un confronto diretto e quando ci siamo incontrati, guardandomi a malapena in faccia, mi ha detto che ci aveva riflettuto e che secondo lui non aveva più senso andare avanti perché erano cambiate le circostanze, soprattutto era cambiato il mio atteggiamento nei suoi confronti.
Ha anche aggiunto di volermi lasciare non a causa della mia malattia, ma perché sapeva che qualunque cosa avesse detto o fatto avrebbe finito per deludermi, per scontentarmi, per farmi stare male. Secondo lui per tutta la durata del nostro rapporto abbiamo sempre cercato di fare la cosa migliore l'uno per l'altro senza sapere che cosa fosse veramente e comunque per lui era impossibile stare con un uomo che al tempo stesso lo voleva e non lo voleva. Inoltre lui non poteva capire cosa mi passasse per la testa se non glielo dicevo.
Io ho ribattuto che ero molto stupito, perché a dire il vero per tutta la mia vita la gente mi ha sempre detto che sono un libro aperto, che si capisce subito quello che penso e quello che provo e che secondo me era lui che non aveva mai risposto con sincerità quando gli chiedevo cosa provasse e cosa pensasse.
Allora ha rigirato nuovamente la frittata dicendo che entrambi non comunicavamo a cuore aperto per paura di ferire l'altro.
Ti risparmio tutte le accuse e controaccuse di quel pomeriggio così penoso, ti dico solo che alla fine del nostro “chiarimento” mi ha proposto di restare amici, come se potessimo cancellare con un colpo di spugna tutto quello che c'è stato fra noi, dando per scontato che a me potesse bastare la semplice amicizia.
Io gli ho spiegato che forse io per lui ero solo un amico, per me invece non sarebbe mai stato semplicemente tale. Io provavo ancora sentimenti forti nei suoi confronti nonostante tutto e gli dissi che mi spiaceva sinceramente che per lui fosse così facile scivolare in un rapporto di mera amicizia, anche perché questo probabilmente significava che lui in tre anni non aveva provato i miei stessi sentimenti.
Inoltre mi aveva abbandonato come fidanzato, come avrei potuto fidarmi di lui come amico? Non penso che avrei potuto sopportare un'ulteriore delusione e in ogni caso la ferita era troppo recente.
Nei giorni successivi alla fine della nostra storia, ovviamente mi sentivo veramente a pezzi, ma incominciavo a rassegnarmi all'idea che non avrei mai più rivisto né sentito Alberto.
Invece, sorprendentemente, ha incominciato a mandarmi messaggi per chiedermi come stessi.
Erano messaggi per così dire “neutri”, nei quali non si sbilanciava sui sentimenti che stava provando.
All'inizio Alberto aveva un tono nostalgico e di rimpianto, mi diceva che aveva rivisto le nostre foto assieme e che si sentiva in colpa, senza però dirmi esplicitamente che voleva tornare con me.
Perlopiù mi diceva genericamente di stare bene, cosa che mi faceva imbestialire perché invece io stavo da schifo e mi faceva “tanti auguri”, espressione abbastanza infelice, che di solito si usa con i malati terminali o con le vecchie zie sdentate.
Capisco ora che forse era un suo modo per farmi sentire la sua vicinanza, per salvare in qualche modo il nostro rapporto.
Sta di fatto però che per me sentirlo era molto doloroso, mi faceva male sentirmi trattare con fredda cortesia.
Per me sentirlo era un continuo riaprire la ferita della nostra separazione, un costante rammentarmi che il mio passato da uomo sano e felice non sarebbe mai più tornato, che non sarebbe mai più stato il mio fidanzato.
Inoltre serviva solo a pormi di fronte alla triste realtà che nel mio futuro sarò destinato alla solitudine sentimentale.
Nessuno si mette con un malato cronico. La verità è che non avrò più carezze, abbracci, baci da una persona che mi considera speciale e che pensa a me come a qualcosa più di un amico.
Gli ho chiesto esplicitamente di non contattarmi più e finora con mio grande sollievo non si è più fatto sentire.
Che dire? Non mi pento di averlo amato con tutto me stesso e non smetterò mai, credo, di volere bene ad Alberto, anche se mi ha ferito profondamente e se l'ho allontanato definitivamente da me.
La sua fuga è stata una reazione da essere umano spaventato, in parte comprensibile e giustificabile e sicuramente sofferta.
Provo tuttavia ancora molto risentimento nei suoi confronti, soprattutto perché non ha mai voluto ammettere di avermi lasciato a causa della mia malattia e sotto altri aspetti mi sono sentito ingannato e in un certo senso “usato”.
Ho capito di essere stato per lui, probabilmente, un esperimento durato ben tre anni, e poi che in una coppia il non detto e le personali interpretazioni sono più importanti di quello che si dice e si vive assieme ... peccato che tutto quello che ho appreso me lo porterò nella tomba.
La malattia mi ha consentito di discernere con chiarezza chi mi vuole bene e chi no e devo ammettere con amarezza che l'uomo sul quale ho riversato tanta tenerezza e nel quale ho riposto tanta fiducia forse non mi ha mai amato veramente."

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