COPPIE GAY E PANINI CON LA PORCHETTA

Coppie gay, difficoltà, prospettive, significato della vita di coppia dei gay
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COPPIE GAY E PANINI CON LA PORCHETTA

Messaggio da progettogayforum » giovedì 24 settembre 2020, 2:13

Caro Project,
noi ci siamo conosciuti di persona nel 2012 e abbiamo passato una giornata insieme. Forse ti ricorderai che la mattina siamo andati al Museo delle Antichità Romane e il pomeriggio a Villa Borghese. Avevi esattamente l’età di mio padre e ti scrivo proprio per questo: mio padre non c’è più e mi manca, mi manca molto. Ti somigliava anche fisicamente e ragionavate in modi molto simili. Quando avevo 20 anni avevo il problema se dire o no ai miei genitori che ero gay e per la prima volta ne parlai con te. Su questo punto eri molto prudente. Tre anni dopo le cose della mia vita sono cambiate radicalmente, ma siccome non conosci i fatti è bene che io te li racconti in ordine. Mio padre all’epoca era vedovo già da 5 anni, io avevo perso mamma a 15 anni e papà non si era risposato e in pratica dai 15 anni in poi sono cresciuto con mio padre. Era poco espansivo, abituato a parlare poco, specialmente dopo la morte di mamma, ma anche molto razionale, specialmente quando si trattava di me. Si alzava prestissimo la mattina, mi preparava la colazione e se ne andava al lavoro, mi lasciava una libertà totale della quale non ho mai approfittato, non mi ha mai fatto prediche di nessun genere. Quando entrai all’Università, in una facoltà a dire la verità non particolarmente facile, mi trovai con un gruppetto di colleghi molto assortito, da quelli maniaci dello studio (rarissimi) a quelli assolutamente nullafacenti e convinti che si sarebbero laureati perché erano “intelligenti”. Io non mi sentivo particolarmente intelligente e inizialmente trovai difficoltà enormi, soprattutto per la totale assenza di preparazione scolastica in Matematica e in Fisica. Pensai che se mi fossi arreso non avrei avuto molte altre possibilità e ce la misi tutta per recuperare le mie carenze remote. E qui mio padre è stato grande. Lui di quelle cose non capiva niente, ma si è messo a studiarle insieme con me e lo ha fatto con amore. Studiavamo, poi lui mi preparava la merenda e poi studiavamo di nuovo. In pratica ho superato tutti gli esami del primo anno studiando con mio padre che, lo ripeto, partiva da zero. Il secondo anno mi sentivo in grado di seguire senza aiuti e cominciai a frequentare Piero, un mio collega che doveva fare i miei stessi esami. Studiavamo insieme, mio padre ci portava la merenda, ci preparava il pranzo quando studiavo con Piero a casa mia, oppure mi preparava la cena, che trovavo pronta a casa quando studiavo con Piero a casa sua. Piero mi piaceva, all’epoca sapevo solo questo: che era un bravo ragazzo e che mi piaceva e anche che aveva voglia di studiare. Il secondo anno finì bene, con Piero si studiava, non si perdeva tempo, lo studio non era una scusa, era veramente la finalità di fondo del nostro lavoro comune, e con lui si stava bene. Io non avevo il coraggio di dire a Piero che mi ero innamorato di lui. Non so che cosa mio padre abbia capito, ma notai che a un certo punto, quando Piero era a casa, lui usciva e tornava direttamente a ora di cena. All’inizio non davo peso a questo “dettaglio” ma era una forma di rispetto. Io parlavo spessissimo di me e di Piero ed ero molto fiero di quello stavamo realizzando, mio padre approvava, sempre nel suo modo molto riservato. Prendemmo la laurea triennale e ci iscrivemmo alla specialistica. Ad un certo punto, senza nessuna ammissione formale né da parte sua né da pare mia, io e Piero cominciammo a capire che “forse” eravamo entrambi gay. Un giorno passò davanti a noi un ragazzo molto bello e Piero disse: “Che bel ragazzo!” e io feci cenno di sì con la testa e probabilmente i miei occhi scintillarono più del solito. Lui disse guardandomi fisso negli occhi: “Allora mi sa che non ho sbagliato! Avevo paura di aver volato troppo alto con la fantasia.” Ci guardammo fisso negli occhi per una decina di secondi. Non ci fu bisogno di aggiungere altro, ormai eravamo una coppia. Con Piero ci capivamo al volo, le parole erano pochissime e in un certo senso, anche se con pochissime parole, parlavamo di tutto con la massima libertà. Tra noi non c’era spazio per discorsi psicologici di nessun tipo, avevamo un obiettivo di studio ma quello per noi era già un obiettivo “nostro”, cioè di coppia, sapevamo benissimo che finita l’università saremmo comunque rimasti insieme. Gli ho dissi che non sapevo che fare con mio padre, lui mi rispose che secondo lui sarebbe venuto tutto da sé. Piero, in queste cose, vedeva molto più lontano di me. Dopo quei giorni i nostri comportamenti diventarono meno impacciati, anche i casa e davanti a mio padre, e mio padre ebbe la conferma di come tra me e Piero le cose stessero realmente, ammesso che non lo avesse capito anche prima, cosa molto probabile. Ovviamente mio padre non avrebbe mai parlato con noi del fatto che stavamo insieme, anche se lo aveva capito benissimo perché pensava che sarebbe stato comunque inopportuno. Un giorno io e Piero ci trovammo a discutere con mio padre dell’università e cominciammo non solo a vantarci di essere andati avanti bene ma anche a dare giudizi su alcuni nostri colleghi che avevano abbandonato gli studi. Mio padre in un primo momento rimase a sentire e non intervenne. Nota, Project, che Piero ormai chiamava mio padre per nome, senza farsi nessun problema. Poi, a fine serata, mio padre ci disse che ci doveva dire una cosa importante. Noi pensammo che ci volesse chiedere del nostro rapporto e ci sentimmo in imbarazzo ma il discorso fu del tutto diverso da quello che ci aspettavamo. Mio padre intervenne con la sua pacatezza ma anche con la sua decisione: “Ragazzi, voi avete lavorato tanto e avete fatto cose importanti ma non dovete giudicare chi si è fermato per strada, e poi voi avete avuto anche tante fortune, soprattutto la fortuna di incontrarvi e di studiare insieme.” Io e Piero arrossimmo, e Piero colse la palla al balzo e disse a mio padre: “Alberto, per un attimo avevo pensato che tu ci volessi chiedere dei nostri rapporti, intendo di quelli miei con Aldo…” Mio padre disse solo: “No, ho capito che vi volete bene e che è una cosa seria, quella è la libertà vostra, e non c’è niente di più bello che volersi bene. Siete due ragazzi come si deve e sono felice che vi siete conosciuti e che state bene insieme. La felicità vostra è la felicità mia! Il problema non è questo, che vi volete bene tra voi va benissimo ma non giudicate il prossimo, perché la vita degli altri bisognerebbe conoscerla da dentro. Adesso vi dico una cosa che ho detto solo a mia moglie, ma penso che è il momento di dirla anche a voi. Quando io ero ragazzo ho passato momenti molto difficili, voi mi vedete adesso, ma non sono stato sempre così, quando ero ragazzo non mi potevano reggere. Ero molto frustrato dalla scuola che non ho mai potuto digerire e dai rapporti coi miei genitori, che certe volte ho odiato profondamente perché mi umiliavano in pubblico e, come mi diceva mio padre, mi volavano raddrizzare la schiena ma a forza di schiaffi e di mazzate. Non voglio palare male di mio padre, perché beveva e non si controllava proprio, era violento, picchiava mia madre e anche me con la cinghia e si comportava come un animale. Io alle medie scappavo dalla scuola e lui mi ci riportava umiliandomi e insultandomi davanti ai miei compagni. Lui pensava di essere uno forte che si faceva rispettare ma lo temevano perché quando beveva era proprio fuori di testa. Io avevo fatto comunella con un gruppetto di delinquentelli della mia età, che rubavano, e facevano danni ai commercianti cercando di estorcere un po’ di quattrini. Finché si trattava di fare lo spaccone con le ragazze e di atteggiarmi a bullo, lo facevo volentieri, ma andare a spaccare le vetrine sentivo che era una cosa sbagliata, ma i miei amici mi dissero che dovevo dimostrare di essere un uomo e dovevo dare prova del mio coraggio, e così una volta ruppi una vetrina di un negozio di salumeria sotto casa mia, era una vetrina piccola esterna, ma la ruppi deliberatamente, avrò avuto 15-16 anni, non di più. Il padrone era un vecchio che mi conosceva, vide che ero stato io e lui sapeva pure dove abitavo, perché qualche volta ci aveva portato pure la spesa a casa, e io avevo paura che mi denunciasse o che almeno andasse a raccontare la cosa a mio padre che mi avrebbe spaccato la faccia. Dentro di me avevo paura ma con i ragazzi della mia combriccola dovevo fare lo spaccone. Il salumiere vecchio non venne a casa mia e mio padre rimase tranquillo, io non sapevo che cosa pensare. Il giorno appresso, prima di andare a scuola passai davanti alla salumeria e il vecchio bonariamente mi fece cenno di avvicinarmi, io avevo paura, ma lo vedevo tutto sommato tranquillo e non sapevo che dire. Feci la scena di quello che non sapeva chi gli aveva rotto la vetrina: “T’hanno rotto la vetrina… ma lo sai chi è stato?” E lui mi disse. “Sì che lo so che sei stato tu … ma stai andando a scuola?” Io dissi di sì e lui mi disse: “Aspetta un minuto!” entrò in negozio e un minuto dopo si ripresentò con un fagottino incartato e mi disse: “Questa è una pagnottella con la porchetta, è buona! Però tu mettiti a studiare come si deve e non andare in giro a fare danni che puoi trovare gente che se gli rompi la vetrina ti rovina! Hai capito?” Io feci cenno di sì con la testa aggiungendo un mezzo sorriso impacciato, poi accennai un saluto con la mano e andai via. Insomma, dopo quella mattina cominciai a passare tutti i giorni in salumeria prima di andare a scuola e soprattutto ricominciai ad andare a scuola, e tutti i giorni c’era una merenda diversa. Questa storia è andata avanti fino all’anno della maturità. Nel mese di gennaio chiusero la salumeria per lutto, il vecchio non c’era più. Vedere quella salumeria chiusa mi ha provocato una reazione violenta di pianto, era la prima volta che non piangevo per odio ma perché avevo perso una persona che aveva creduto in me. Io non sono finito sbandato o delinquente perché ho trovato il salumiere, ma se non lo avessi trovato chissà dove sarei io adesso. Forse Aldo non ci sarebbe e tu non lo avresti mai incontrato. Quello che voi state vivendo adesso lo dovete anche al salumiere, anche se non ne avevate mai sentito parlare prima. Ricordatevi di quello che avete avuto. Siete una coppia di ragazzi, e va bene, ma dovete essere una coppia di bravi ragazzi non solo tra voi ma anche con chi sta peggio di voi. Io non sono omosessuale e mi sono chiesto tante volte perché quel vecchio mi preparava un panino tutti giorni, non so se fosse sposato o avesse figli, forse era gay pure lui, non lo so, e comunque sia, non lo sapremo mai, ma lui mi ha cambiato la vita!”

Piero ha voluto bene a mio padre, quando mio padre è stato male ed è stato ricoverato gli siamo stati sempre vicini “insieme” al punto che ci prendevano per fratelli. Mio padre non si è mai posto il problema di accettare un figlio gay, un’idea del genere non gli è mai passata per la mente. Lui diceva: “Accettare un figlio gay? … Io di figli gay ne ho avuti due, uno meglio dell’altro!” è mancato alla fine del 2019 e per noi è stata una perdita lacerante. A Piero, se ci ripensa, gli vengono le lacrime agli occhi e anche a me e allora ci abbracciamo strettissimi fino quasi a farci male.

Project, questa storia è soprattutto un omaggio a mio padre. Mi ha insegnato tante cose che non sapevo e anche che un panino con la porchetta può far nascere la felicità anche 50 anni dopo! Sembra incredibile ma è stato proprio così.

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