OMOSESSUALI E ORRORE DI FRONTE ALLA DONNA SECONDO RAFFALOVIC

Approccio dei ragazzi gay verso la sessualità
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OMOSESSUALI E ORRORE DI FRONTE ALLA DONNA SECONDO RAFFALOVIC

Messaggio da progettogayforum » sabato 5 novembre 2016, 18:28

I due capitoli di “Uranismo e Unisessualità” che vi presento oggi affrontano il cosiddetto “orrore di fronte alla donna” (horror feminae). Raffalovich prende in esame la reazione degli omosessuali di fronte al coito con una donna; non si sofferma affatto sulla possibilità o meno per un omosessuale, di avere rapporti sessuali con una donna, ritiene semplicemente che la cosa sia decisamente molto più comune di quanto appare attraverso la letteratura, ma, proprio prendendo in esame i rapporti sessuali degli omosessuali con le donne, ne coglie la dimensione di forzatura, di cosa sostanzialmente “non sessuale”, di sforzo di volontà che rappresenta una violenza alla volontà libera, in sostanza una forma di onanismo incapace di lasciare ricordi. Tutto ciò deriva dall’indifferenza dell’omosessuale verso la donna, ma non è certo un segno di odio o di orrore. L’orrore verso il coito eterosessuale, in un uranista non è un fatto necessario o naturale, ma, per Raffalovich, è indotto da una serie di circostanze sulle quali l‘autore si sofferma.

Nel secondo dei due capitoli che potete leggere nel seguito, Raffalovich riporta una serie di citazioni dal Satyricon di Petronio, un’opera dei tempi di Nerone ma di straordinaria attualità, che per secoli è stata ostracizzata ma che andrebbe riletta con una maggiore consapevolezza critica. A coloro che ne condannavano l’immoralità, si opponevano coloro che ne rivendicavano la piena legittimità, ma che la vedevano comunque come una specie di romanzo erotico ante litteram. In realtà, se ci si libera dai pregiudizi nell’uno come nell’altro senso, si potrà capire che il Satyricon è un vero romanzo d’amore e che i sentimenti che descrive non sono una parodia, satirica appunto, della realtà, ma ne sono una rappresentazione seria. Nei brani citati da Raffalovich è presa in considerazione in particolare la posizione di Encolpio, innamorato di Gitone, ma capace di apprezzare sessualmente anche le donne. Dai brani citati risulterà evidente che Encolpio non è innamorato della bella Trifena e nemmeno del bel Lica, che pure cerca di sedurlo, ma soltanto e perdutamente del suo Gitone, che lo fa soffrire ma che è l’unico che può fargli provare un profondo trasporto affettivo oltre che sessuale.

Ma lascio la parola a Raffalovich.
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Orrore di fronte alla donna

Io credo che si troverà che la facoltà (non dico il desiderio) di avere rapporti sessuali con i due sessi è molto più normale e diffusa di quanto non sia stato scritto. I rapporti col sesso verso in quale l’uomo non ha inclinazione lo soddisfano solamente fisicamente, momentaneamente, e gli sembrano un atto basso e inferiore. Si sentono alcuni uranisti dire che per loro il coito con una donna è un atto fisico, animale, stancante, mentre qualsiasi atto sessuale con un uomo di loro scelta (anche fisica) può mettere in gioco tutte le loro emozioni, tutte le loro vanità. L’uranista, la maggior parte delle volte, compie il coito con una donna attraverso uno sforzo di volontà e nello stesso tempo contro la sua stessa volontà.

L’uomo eterosessuale cerca nella donna una compagna, una serva, un’amante, della quale può andare orgoglioso, un divertimento, un diversivo, un’occupazione e la madre dei suoi figli. L’invertito, pur restando profondamente invertito, può nascondere la sua unisessualità alle donne, senza intaccare il suo ideale di unisessualità. Al contrario, più è amato da sua moglie e dai suoi figli, più le donne appartenenti ad un mondo o ad un altro lo occupano, o anche lo divertono, più si dà da fare per farsi notare dalla gente mostrandosi con una donna bella o interessante o alla moda, più avrà bisogno di ciò che per lui è la realtà, la verità, il centro, o l’illusione necessaria, la visione, l’orizzonte. Più le donne possederanno la sua vita fisica o morale, più i suoi desideri unisessuali fisici o platonici o romantici si espanderanno. L’orrore di fronte alla donna non è un elemento distintivo indispensabile o normale dell’invertito più invertito, ma può essere acquisito e coltivato.

La misoginia, l’orrore mescolato alla paura nei confronti della donna come essere fisico, morale e intellettuale, è una malattia, una mania, una fobia: ma uno sdegno intellettuale, un fastidio intimo (ci sono uomini molto eterosessuali che trovano che la più grande prova d’amore è sopportare il fastidio causato dalla donna amata) un fastidio che l’affetto o la simpatia o la bontà o il rispetto per una qualità qualunque possono far superare, questo fastidio-sdegno è logico, frequente, e deriva dal carattere dell’uomo, dal carattere della donna e dalla civiltà che circonda la donna di tanta curiosità e di tanta cortesia. Molte donne ignorano la loro mancanza di attenzione o di memoria, i loro infantilismi, i loro difetti, e tutto ciò che di loro è stato tanto vantato, l’enigma che degenera in rebus. L’uomo annoiato o allontanato da tutto ciò che ho appena indicato, e che è così diffuso tra le persone più colte il cui cervello non è tanto perfezionato quanto i loro atteggiamenti, o l’uomo respinto dalla ristrettezza mentale e dall’opacità di altre donne che non si mettono in posa, o respinto dalle loro pretese, quest’uomo non ha nulla di sorprendente. L’eterosessuale non avrà vergogna di confessare questa noia, questa critica spesso inevitabile.

L’invertito prova sensazioni o pensa nello stesso modo. Sarà forse più portato all’indulgenza rispetto all’eterosessuale, ha più pazienza se non ha sofferto a causa delle donne, se ha vissuto al riparo dalle complicazioni che le donne producono, o se ha delle amiche che stima e di cui non ha mai avuto da lamentarsi. Le donne saranno per lui quello che sono per la maggior parte degli eterosessuali: gli saranno simpatiche, indifferenti o sgradevoli, secondo le circostanze, la loro condotta, la loro natura e la sua capacità di capirle.

Potrà per simpatia estetica e morale, per l’attrazione di certe qualità fisiche e intellettuali, per delle virtù o dei talenti, per il merito o per gli orpelli essere anche portato al limite stesso dell’eterosessualità, e più di uno ha seguito questa strada almeno una volta, o è stato tentato più di una volta di seguirla. Il desiderio del focolare domestico, della paternità, o l’illusione del teatro, della commediante travestita o in un abito di fantasia, ha probabilmente visitato tutti gli uranisti in un momento o in un altro, anche quelli che sono del tutto ribelli e contenti della loro sorte o che come Prometeo, non vogliono sottomettersi.

Ma se delle donne arrivano a calunniarli ad interrompere lo scorrere pacifico dei loro affetti o la loro ricerca di un amore prezioso; se delle donne fanno soffrire quello o quelli che essi amano, se la gelosia o la paura delle donne si impossessa di loro, allora essi le detestano, le analizzano, le disprezzano, ne hanno terrore: sono le Nemiche,[1] delle nemiche che non si possono evitare, insinuanti, che non perdonano mai e dimenticano ancora meno, che tra loro si danno alla maldicenza.

Dato che essi non desiderano nulla da loro, quando diventano antipatiche, non c’è più alcuna idealizzazione, o cristallizzazione; devono lamentarsi delle donne e si vendicano detestandole. Comunque questo stato di cose non è destinato a durare: perché porterebbe alla follia della persecuzione.

Da quando le donne li hanno ostacolati, sconvolti, la freddezza sessuale verso di loro si muta in antipatia, in repulsione e può raggiungere il parossismo, l’orrore. L’odore della donna li stomacherà, il suo sudore! Diventeranno sensibili all’odore mestruale come a tutte le traspirazioni. Questo accade in parte perché si abbandonano a delle antipatie , ad un antagonismo di lunga data, e in parte perché essi creano delle antipatie o un antagonismo. È la lotta che dà una forma all’indifferenza, che la metamorfosizza e la traspone.

Anche per l’eterosessuale è facile scivolare sulla china dell’antipatia personale fino all’orrore sessuale. Ci sono molte donne che producono su molti eterosessuali una rivolta e delle sensazioni che possono arrivare fino all’orrore del coito. Perché un uranista ben portante arrivi ad un orrore simile bisogna che la sua tendenza unisessuale sia o molto contrastata o molto supereccitata. Il matrimonio è tanto pericoloso per certi uranisti perché li obbliga a soddisfare i loro istinti unisessuali.

L’uomo che ama l’uomo con i suoi sensi e col suo spirito considera ordinariamente il coito con una donna come un atto fisico che non lascia che stanchezza, quella tristezza dell’animale che si è reso più debole senza avere neppure un ricordo in cambio. È dopo dei rapporti con una donna che l’uranista è soprattutto esposto a dei tentativi unisessuali incoercibili. È forse più facile astenersi del tutto da qualsiasi commercio carnale che limitarsi esclusivamente a quello che non soddisfa affatto l’immaginazione, la vanità, la decenza: perché a molti invertiti i rapporti eterosessuali sembrano poco decenti.

La volontà dell’uranista che pratica il coito, o uno dei suoi sostituti, con una donna (se non è entusiasta del matrimonio, ansioso di avere figli, di fare il suo dovere verso sua moglie, e in questo caso sarebbe molto meglio per lui se non ci fosse un simile dovere), è così contraddetta, così scioccata; lui è totalmente schiacciato dal mondo, si sente una vittima, oppresso da una forza più grande di lui al punto di provare la stanchezza terribile e delusa di un animale più che di un uomo.

Tutti i medici ripetono con enfasi che la soddisfazione unisessuale tranquillizza l’invertito, lo rende forte, riposato, ben portane. È una cosa del tutto naturale, bisogna ricordarselo sempre quando si giudica un unisessuale. La sua antipatia verso la donna aumenta sia attraverso l’asservimento, l’annientamento della sua volontà che in funzione del benessere che egli avrebbe provato nel letto di un maschio “simpatico”. Non c’è da stupirsi allora se, alla lunga, prova la sensazione che la corvée coniugale gli è intollerabile a meno di non essere costretto a sopportarla.

Lui prova quello che prova una moglie che non ama suo marito e che ama un altro. L’uranista effeminato, probabilmente, ha più spesso questo orrore fisico del coito, ma l’uranista virile o extra-virile, forzato a sacrificare la sua volontà, arriva per risentimento a un simile orrore. L’effeminato ha potuto talmente femminilizzarsi, ha potuto talmente abituarsi a dei sentimenti da donna, talmente indebolirsi fisicamente, permettendosi degli scatti di nervi e dei momenti di collera, che i rapporti eterosessuali possono sembrargli una forma di onanismo inutile o nociva. D’altra parte più di un invertito prova un piacere malizioso a non esaudire i desideri di una donna.

Quando l’uranista ha avuto una disavventura di salute, quando una donna l’ha infettato, il suo orrore può diventare insuperabile.

Riassumo:

L’orrore del coito non esiste sempre o necessariamente; può comunque sopravvenire in qualsiasi occasione. Un atto sessuale che non interessa, che non è un atto sessuale, non ha nulla di desiderabile per un uomo raffinato e civilizzato; e non gli viene facilitato, normalmente, né dalla bellezza fisica della donna, né da una inquadramento ideale né da circostanze lusinghiere o romantiche. L’uranista, con una donna, resta indifferente. Servono degli avvenimenti fortuiti o molto particolari per cambiare l’indifferenza in orrore.[2]

Gli effeminati hanno dovuto sempre adattarsi al coito con le donne, almeno gli effeminati un po’ passivi, o stanchi o delicati; ma gli uranisti virili devono evitare la donna più degli altri. In effetti la posizione sociale della donna, dopo il Cristianesimo, dopo che essa ha lasciato il gineceo, l’ha resa molto più antipatica sessualmente per l’uranista. È il simbolo sociale della donna che impedisce a più di un uranista virile di avere rapporti eterosessuali.

I frammenti di Petronio che sto per citare mostreranno Gitone, Manon Lascaut unisessuale, amato da due uranisti, di cui uno, Encolpio, l’eroe del romanzo, può soddisfare i desideri lubrici con delle donne, ma prova amore psichico solo per Gitone.

Frammenti del Satyricon

Encolpio (l’”io” del testo) è un Desgieux[3] dissoluto, Gitone[4] è la Manon Lescaut dell’unisessualità romana.

“Appena arrivai nella mia stanza mi misi a letto col mio caro Gitone… Dio dell’amore, che notte! … Avevo torto comunque ad essere contento della mia sorte, perché approfittando del mio sono, Ascilto prelevò Gitone dalla mie braccia stordite dall’ubriachezza, e se lo portò nel suo letto. Lì, mettendo sotto i piedi tutti diritti umani più sacri, usurpò senza il minimo scrupolo i piaceri che appartenevano soltanto a me, e si addormentò sul petto di Gitone, che non sentì, o forse fece finta di non sentire l’ingiuria che Ascilto mi faceva. Al mio risveglio cercai vanamente nel mio letto solitario l’oggetto del mio amore: per vendicarmi dei due spergiuri, fui tentato di infilzarli con la mia spada e di farli passare dal sonno alla morte, ma alla fine, prendendo la decisione più saggia, svegliai Gitone a bastonate; poi gettando su Ascilto uno sguardo violento, Scellerato, gli dissi, con una vile aggressione hai violato le leggi dell’amicizia, prendi le tue cose e vattene… - Ascilto sembrò acconsentire; ma dato che abbiamo diviso d’amore e d’accordo le nostre cose, ora, disse, dividiamoci anche il ragazzo.

“All’inizio pensai che fosse una battuta, e che sarebbe partito; ma lui, sguainando la sua spada con una mano fratricida: Tu non ti godrai da solo questo tesoro, gridò…

“Anche io salto sulla mia spada, e arrotolando il mantello intorno al mio braccio, mi metto in guardia. Durante questi sfoghi furiosi, l’infelice ragazzo abbracciava le nostre ginocchia, e bagnato di lacrime ci supplicava di non sporcarci le mani col sangue del fratello al quale fino a poco prima ci univa una tenera intimità. – Sì, gridò, se la morte di uno di noi è necessaria, ecco il mio collo, colpite! Affondateci le spade! Tocca a me morire, a me che ho mandato in frantumi i legami della vostra mutua amicizia.

“Disarmati da queste preghiere, rimettemmo le spade nel fodero. Allora Ascilto disse: Gitone appartenga a quello di noi che lui stesso preferirà. Lasciamo almeno che scelga liberamente quello di noi che vuole per fratellino. – Pieno di fiducia nell’antichità delle mie relazioni con quel ragazzo, che sembravano unirmi a lui con una specie di parentela, accettai con ansia la scelta che Ascilto mi proponeva e mi affidai al giudizio di Gitone; ma lui, senza stare troppo a soppesare le cose e senza mostrare un solo istante di esitazione, scelse Ascilto per fratellino.

Fulminato da questa conclusione, non ebbi neppure l’idea di riprendermi Gitone con le armi, e caduto sul mio letto mi sarei dato la morte se non avessi temuto di aumentare il trionfo del mio rivale. Fiero del successo, Ascilto se ne va col trofeo della sua vittorie, lasciando un antico compagno, il compagno della buona come della cattiva sorte, che fino a ieri ancora chiamava amico, solo e senza soccorso in un paese straniero… Feci un pacchetto dei miei stracci e me ne andai tristemente ad alloggiare in un posto poco frequentato, sulla riva del mare. Là rimasi tre giorni senza uscire: il ricordo del mio abbandono e del disprezzo di Gitone mi tornava incessantemente in mente; mi spaccavo il petto emettendo singhiozzi dirompenti e nella mia violenta disperazione gridavo spesso: Perché il mare, così funesto anche per gli innocenti, mi ha risparmiato? Ho ucciso il mio ospite, e nonostante tutto sono sfuggito al castigo… eccomi solo, abbandonato come un mendicante, come un esiliato, in questo brutto albergo di una città greca. E chi mi sprofonda in questa terribile solitudine? Un giovane uomo contaminato da ogni specie di dissolutezza… i cui favori erano venduti al miglior offerente… e che dirò dell’altro, di questo Gitone, che si mise i vestiti da donna quando era il tempo di mettersi la toga virile, … che in una prigione si abbandonò alle carezze degli schiavi più vili; che dopo essere passato dalle mie braccia in quelle di un rivale, abbandona di colpo un vecchio amico, e come una vile prostituta, o vergogna! nello spazio di una sola notte sacrifica tutto alla sua nuova passione. Adesso, come una coppia felice, passano le notti intere nei più dolci abbracci. Forse anche in questo momento, esausti entrambi per l’eccesso del piacere, ridono sul mio triste abbandono…

“Sono andato alla terme con Eumolpo. Rientrandoci ho visto Gitone appoggiato contro il muro che teneva in mano degli stracci e dei raschietti da inserviente di bagno pubblico. Dalla sua aria triste e abbattuta si indovinava facilmente che serviva Ascilto suo malgrado. Mentre lo guardavo con attenzione per assicurarmi che fosse proprio lui, mi vide e girando verso di me il viso in cui brillava la gioia più viva: Grazie, fratello mio, abbi pietà di me. Qui non vedo più brillare le armi e ti posso fare conoscere i miei veri sentimenti. Liberami dalla tirannia di un brigante sanguinario e per punirmi del giudizio che ho pronunciato contro di te, infliggimi pure i più severi castighi; ma non è forse un supplizio abbastanza crudele per il disgraziato Gitone avere perso il tuo affetto? – Gli ordino di farla finita con le recriminazioni per paura di attirare l’attenzione… poi trascino Gitone fuori da quei luoghi e scappiamo a gambe levate verso il mio albergo. Là, chiudendo la porta dietro di noi, mi precipito nelle sue braccia, e coi baci ardenti asciugo i pianti di cui le sue gote sono inondate. Rimanemmo per parecchio tempo senza poter proferire parola perché questo amabile ragazzo si squarciava il petto a forza di singhiozzi. – Che vergogna per me, gli dicevo, amarti ancora dopo il tuo abbandono. Ricerco invano nel mio cuore la profonda ferita che tu ci hai fatto, ma non ci trovo più nemmeno la cicatrice. Come puoi giustificarti di avermi abbandonato così per volartene a nuovi amori? Avevo meritato il tuo affronto? Gitone, vedendo che lo amavo ancora inarcò le sopracciglia ancora più sorpreso. Comunque, proseguii, io non ho cercato nessun altro arbitro se non te, per giudicare chi, Ascilto o io, meritasse di più il tuo amore; ma io sopprimo anche le mie giuste lamentazioni, mi dimentico di tutto a condizione che il tuo pentimento sia sincero. Pronunciando queste parole gemevo, versavo un torrente di lacrime. Gitone, asciugandomi il viso col suo mantello mi disse: Sii giusto, Encolpio; mi richiamo alla tua memoria: sono io che ti ho abbandonato? E non ti sei tradito da te stesso? Lo confesserò francamente e senza girarci intorno, quando vi ho visti tutti e due con le armi in mano, mi sono messo dalla parte del più forte. – A queste parole mi gettai al suo collo e baciai la bocca dalla quale era uscita una risposta così sensata; poi, per meglio convincerlo che gli perdonavo il passato, e che il mio amore per lui era così vivo e così sincero come non mai, gli prodigai le più tenere carezze…

(Eumolpo, il poeta, rende visita a Encolpio, si mostra fin troppo galante verso Gitone, poi racconta quello che gli è capitato alla terme: )

“Mentre facevo il bagno, mi sono salvato dall’essere ammazzato, perché per distrarre quelli che erano seduti intorno alla vasca, ho cominciato a declamare loro uno dei miei poemi. Cacciato dalla terme, come mi è spesso capitato di essere cacciato dal teatro, vi cercavo da tutte le parti e gridavo forte: Encolpio! Encolpio! Quando dalla parte opposta un giovane uomo, tutto nudo e che aveva perso i suoi vestiti si mise a gridare forte quanto me e con una voce animata dalla collera: Gitone! Gitone! C’era però tra noi una differenza, perché i valletti delle terme ridevano di me come se fossi un folle e mi facevano la caricatura con insolenza, mentre la numerosa folla che stava intorno a lui gli prodigava applausi e testimonianze di una rispettosa ammirazione. Bisogna che vi dica che la natura lo ha dotato così riccamente degli attributi della virilità che per la grandezza delle sue proporzioni lo si potrebbe scambiare per Priapo. … Così non restò per molto tempo in imbarazzo, perché non so quale cavaliere romano, ben noto, mi hanno detto, come un infame debosciato, vedendolo correre tutto nudo lo coprì col suo mantello e se lo portò a casa, certamente per assicurarsi il monopolio di questa buona fortuna … Come è vero che si fa più caso ai doni del corpo che a quelli dello spirito! – Ad ogni parola che Eumolpo diceva, io cambiavo colore; perché se la disavventura capitata al mio amico mi aveva reso contento all’inizio, ero desolato di vederla volgere a suo vantaggio..

“Un banditore pubblico entrò nell’albergo, seguito da un valletto di città e da una grande folla di curiosi: agitando una torcia, lesse ad alta voce: Un ragazzo di circa 16 anni, di nome Gitone, coi capelli ricci, di corporatura delicata e di aspetto gradevole, si è appena smarrito nelle terme; mille sesterzi di ricompensa a chiunque lo riporterà o potrà indicare il luogo dove si trova…

“Frattanto[5] Trifena, sempre sdraiata su Gitone, copriva il suo petto di baci… Quanto a me , il loro riaccomodarsi mi provocava tanta impazienza quanta amarezza, al punto che io non potevo né bere né mangiare. Lanciai ad entrambi degli sguardi terribili; i baci, le carezze di questa donna impudica erano per me altrettanti colpi di pugnale. Non sapevo contro quale dei due dovevo indirizzare il mio furore, o contro Gitone, che mi toglieva la mia amante o contro Trifena, che mi corrompeva il ragazzo. Entrambi mi offrivano uno spettacolo odioso e più triste ancora della passata prigionia. Per aggiunta di dolore, Trifena evitava la mia conversazione e sembrava non riconoscere più in me un amico, un amante che fino a poco prima le era così caro. Gitone da parte sua, non mi trovava degno di una bevuta alla mia salute, come accadeva di solito, e neppure mi rivolgeva la parola come avrebbe fatto con qualsiasi altra persona… Affranto dal dolore, inondavo il mio petto di lacrime, e i miei singhiozzi, che cercavo di soffocare, mi soffocavano. Frattanto, nonostante la mia tristezza, la parrucca bionda che mi avevano fornito prestava senza dubbio un po’ di nuovo fascino al mio viso; tanto che Lica, il cui amore per me si era riacceso, mi lanciava degli sguardi appassionati e cercava di condividere con me i piaceri che Trifena gustava con Gitone: lui non assumeva il tono di un padrone che ordina ma quello di un amante che implora un favore. Mi fece pressione per parecchio tempo: poi vedendosi respinto, il suo amore si mutò in furore, voleva strapparmi con la forza quello che io rifiutavo alle sua preghiere, quando Trifena, entrando nel momento in cui lui meno se lo aspettava, fu testimone della sua brutalità. Alla sua vista, lui si turba, si riaggiusta in fretta e se ne scappa. Questo incidente rianima i desideri di Trifena: Qual era lo scopo – mi dice – dei petulanti attacchi di Lica? – mi costringe a raccontare tutto. Questo racconto accende ancora di più la sua passione … ma stanco per i troppi piaceri, respinsi sdegnosamente le sue avances.

Il naufragio. - Quanto e me, chinato su Gitone, gridavo piangendo: Ahimé! Il nostro amore aveva meritato dagli dei che ci unisse una medesima morte; ma la sorte gelosa ci rifiuta questa consolazione. Vedi questi flutti che stanno per inghiottire il nostro vascello; vedi queste onde furiose che ben presto metteranno fine ai nostri dolci abbracci. Gitone, se tu hai mai avuto un po’ di affetto per Encolpio, coprimi di baci: perché ancora è tempo e rubiamo ancora questo ultimo piacere alla morte che si avvicina. Appena riuscii ad ottenere che Gitone si spogliasse del suo vestito e si avvolgesse nel mio, che avvicinasse alle mie labbra la sua testa affascinante; poi per attaccarci così strettamente che la potenza dei flutti non potesse separarci, lui ci legò entrambi con la stessa cinghia.[6]

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[1] Vedere sempre serpeggiare la vipera dorata,
sempre questa compagnia il cui cuore non è sicuro,
la donna, bambino malato e dodici volte impura.
Alfred de Vigny (1797-1863) – [La colère de Samson]
[2] La maggior parte degli uomini di una certa età provano un’indifferenza fisica e sessuale gli uni nei confronti degli altri; l’orrore sessuale richiederebbe delle motivazioni speciali e determinate.
[3] Nota di Project: - Il protagonista maschile di Manon Lescaut.
[4) Nota di Project: - Uno dei tre protagonisti del Satyricon di Petronio. In Francese il termine “giton” è usato correntemente nel senso di omosessuale passivo nel coito anale.
[5] Questo succede sul battello.
[6] Gli adoratori del dolce romanzo dell’abate Prévost dovranno riconoscere di mala voglia la similitudine morale tra Encolpio-Gitone e Desgirieux-Manon.

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