VECCHI GAY E DISADATTAMENTO

La vera vita dei gay anziani, Gay e problemi della terza età, Gay anziani e ricordi di vita.
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VECCHI GAY E DISADATTAMENTO

Messaggio da progettogayforum » martedì 19 marzo 2024, 8:25

Il disadattamento dei vecchi gay ha due aspetti diversi, il primo è il disadattamento rispetto ad ambienti non gay, come la famiglia, i parenti, le relazioni sociali ecc., e il secondo è il disadattamento rispetto agli altri gay. Del primo aspetto ho parlato spesso ed è un argomento di interesse sociologico generale, del secondo si parla molto meno ed è proprio su questo che vorrei spendere qualche parola. La categoria dei gay è considerata una categoria giovanile o giovanilistica. Quando si pensa ad un gay si pensa in genere ad un ragazzo o ad un uomo giovane e non ad un vecchio che ha bisogno di assistenza, e gli stessi gay giovani sono portati a vedere le cose in questo modo. I gay giovani pensano che i gay anziani gay, proprio per il fatto che sono gay, non possono essere veramente anziani, e quindi li considerano giovani quasi quanto loro. Un vecchio gay è soprattutto un vecchio e il fatto di essere gay, che in gioventù ha rappresentato una caratteristica identitaria fondamentale, con gli anni, piano piano scivola progressivamente verso lo sfondo. L’unica caratteristica in comune tra i vecchi, cioè l’unica caratteristica veramente fondamentale è la vecchiaia, che è un argomento che si capisce solo quando lo si vive. I vecchi gay non sono capiti dai giovani gay perché, semplicemente, sono vecchi e usano le categorie mentali tipiche dei vecchi, provano le ansie dei vecchi, considerano la sessualità come un ricordo e forse nemmeno come un ricordo, sono fragili, nel fisico, sono rassegnati, spesso ansiosi e depressi, non perché sono vecchi gay, ma semplicemente perché sono vecchi. Il disadattamento del vecchio gay rispetto ai gay giovani deriva dal fatto che i più giovani si aspettano di poter condividere con lui sentimenti e atteggiamenti affettivi e restano profondamente delusi dal fatto che il vecchio non può condividere se non molto in astratto la vita di un giovane. Il gap generazionale esiste eccome e la strada per non esserne condizionali consiste nel rimanere il più possibile per conto proprio, riducendo al minimo i contatti, o almeno mantenendoli esclusivamente formali. Le impossibilità non sono rifiuti, la consapevolezza delle impossibilità non è una scelta Può sembrare una chiusura, un impoverimento della vita di relazione, ma se ogni incontro finisce in uno scontro, l’isolamento, anche se non è un guadagno in positivo, consente almeno di evitare a priori incomprensioni e conflitti che non portano se non a un senso di frustrazione inutile perché insuperabile. È in qualche modo l’idea di marginalizzarsi spontaneamente prima di essere marginalizzati. È pure vero che il vecchio ben difficilmente partecipa veramente alla vita dei giovani, perché quella vita non è più la sua, e quindi il vecchio delude le aspettative, sembra o è realmente incapace di capire, non si adegua, perché non può o è semplicemente disinteressato a dinamiche che, per quanto serissime, riguardano la vita di altri. L’incomunicabilità generazionale è un dato di fatto che forse potrebbe essere superato ma il vecchio non ha la motivazione necessaria, non vuole combattere ma stare tranquillo, non gradisce mettersi alla prova, non ama lo sforzo ma il riposo. Le cose sostanziali, che non si limitano alla sola forma e hanno bisogno di coraggio e di coinvolgimento, non vanno bene per un vecchio che ama la routine e rifugge da quello che non può controllare. Non do colpe o meriti, registro soltanto delle impossibilità.

Alyosha
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Re: VECCHI GAY E DISADATTAMENTO

Messaggio da Alyosha » mercoledì 27 marzo 2024, 13:18

Per il lavoro che faccio mi sono presto abituato ad avere a che fare con quelli che chiami "vecchi", io preferisco la parola anziani, mi pare meno dispregiativo come termine. Sono molto d'accordo con buona parte di quello che scrivi, la terza età è una sorta di zona franca, di terra di nessuno. Superati i 70 anni non si finisce più in carcere, non sono possibili più i TSO e le stesse patologie mentali paiono naturali, intendo la depressione e l'ansia. Sono due compagne di viaggio che ci seguono per tutta la vita, ma non so perché si considera un giovane depresso qualcosa di anomalo, un anziano depresso qualcosa di scontato infondo. Queste sono tutte lacune del nostro modo di ragionare. Infondo un giovane con una vita davanti ha più ragioni per essere in ansia o depresso che un anziano che si guarda indietro e vede quasi tutta la sua vita vissuta.

Poi c'è il grande tabù della morte. La nostra cultura la nega così tanto che promette una vita eterna anche dopo. Di morte pare non si debba parlare mai, anche se tutti dobbiamo morire. Di fronte alla morte non ci arrendiamo mai. Sono ricorrenti immagini di "lotta", di "guerra", "vittoria" rispetto alla malattia, ma la morte non è una sconfitta è un evento della vita.

Sulla parte finale invece sono meno d'accordo. Cioè non credo che un giovane non sappia rispettare il gap generazionale. Ho in mente i tanti nipoti che adorano i propri nonni, sono assolutamente consapevoli dell'immensità dello spazio che li separa e tuttavia non gli importa. Sopratutto i giovani hanno bisogno di persone che siano presenti, non di persone che siano in tutto e per tutto uguali a loro.

Per il resto credo che quello che si era da giovani si è anche da anziani e infondo per quel poco che ti conosco sei sempre stato una persona calma, pacata, riflessiva, aperta al dialogo, ma anche netta nelle prese di posizione. Hai sempre evitato eccessi, protagonismi o atti rivoluzionari e una qualche forma di ritiro rispetto alle discussioni troppo accese l'hai sempre avuta. Però non parlerei di mancanza di coraggio. E' più un modo di stare al mondo, ognuno ha il suo.

Con questi discorsi non voglio assolutamente negare le difficoltà di un anziano. Purtroppo la società del consumo promette giovinezza, vita eterna, gioia imperitura e in questo spazio così egocentrico e individualista non c'è spazio per l'assistenza e la cura, per la comunità per i legami generazionali. immagino le difficoltà concrete del gestirsi da solo, della perdita di autonomia e l'incombenza del corpo che reclama più attenzione. Tutti questi sono temi oggettivi che vanno senza dubbio affrontati non negati. Però di qui a dire che non ci sia spazio per la visione del mondo di un anziano acqua ce ne corre. Sopratutto in ambito di riflessioni, suggestioni sul mondo, finché la testa regge un pensiero maturo, disinteressato e per tanti versi disilluso ha tanto da dire.

Alyosha
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Re: VECCHI GAY E DISADATTAMENTO

Messaggio da Alyosha » martedì 16 aprile 2024, 8:23

Nel mio principio è la mia fine. In successione
Case sorgono cadono, crollano crescono
Sono rimosse, distrutte rifatte, o al loro posto
C’è un campo aperto, una fabbrica, un incrocio,
Pietra vecchia a nuove costruzioni nuove, legno vecchio a fuoco nuovo,
Fuoco vecchio a cenere, e cenere a terra,
Che è già carne, setole e feci,
Ossi di uomo e bestia, gambo di grano e foglia.
Case vivono e muoiono: c’è un tempo per costruire
E un tempo per vivere e generare
E un tempo perché il vento stacchi l’imposta divelta,
Scuota la boiserie dietro cui razzola il topo dei campi
Scuota l’arazzo sbrindellato intessuto di ricamato un motto silenzioso.

Ho letto questa bellissima poesia di Eliot e ti ho pensato

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Re: VECCHI GAY E DISADATTAMENTO

Messaggio da progettogayforum » martedì 16 aprile 2024, 13:15

Il senso del transitorio si avverte sempre più forte con l'avanzare dell'età. Ci si rende conto che il tempo delle scelte e del costruire è ormai finito da un pezzo e che si è in piena fase discendente. Il primo problema è sopravvivere cercando nei limiti del possibile di mettere in pratica tutte le forme di prevenzione per i malanni che non ci sono ancora e tutte le terapie per quelli che invece ci sono già, però matura anche la consapevolezza che siamo comunque al tramonto e che nessuno può illudersi, come Nerone, di poter uccidere il proprio successore. Tutto quello che comincia deve finire e di fronte a questa verità elementare, con la quale si devono comunque fare i conti, tutto il resto appare aleatorio ma anche importante perché la nostra vita, per quanto effimera è l'unica che abbiamo. Viviamo un istante impercettibile e solo a quell'istante possiamo sforzarci di dare un valore. E questo è un teorema generale, che non ammette eccezioni. Grazie Alyosha!

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VECCHI GAY E GAP GENERAZIONALE

Messaggio da progettogayforum » mercoledì 17 aprile 2024, 18:58

Il gap generazionale non è certo un fenomeno tipico dei gay ma è un fenomeno trasversale che separa le persone appartenenti a generazioni diverse. Il gap generazionale deriva dalla ineliminabile differenza di punti di vista tra chi comincia e chi finisce la sua strada. Che ci sia una sostanziale incomprensione è inevitabile perché non si tratta di valutare fatti o episodi singoli dell’esistenza ma di valutare il proprio futuro. La differenza tra il vedersi alla stazione di partenza o ancora in una delle prime stazioni, in cui è possibile cambiare treno e andare altrove, e il vedersi ormai in prossimità della stazione finale, oltre la quale non c’è nulla e si deve scendere definitivamente dal treno perché il viaggio è finito, è veramente una differenza incolmabile. Tutti i viaggi prevedono un ritorno, salvo uno che è senza ritorno. In tutti i viaggi è possibile, ad ogni tappa, immaginare ciò che ci sarà dopo, salvo che in un viaggio in cui tutto è sconosciuto e non parlo dell’esito finale, diciamo così, metafisico, ma proprio del percorso di sofferenza che precede la fine. Tutto sarà imprevisto, niente sarà scelto e le cose seguiranno il loro corso meccanico come è accaduto a quanti hanno vissuto nelle generazioni che ci hanno preceduto. In certi momenti ci si accorge che il viaggio senza ritorno si avvicina, ma non lo si può nemmeno immaginare, c’è solo da augurarsi che non ci sia troppa sofferenza fisica. D’altra parte tutti i viventi vanno verso un destino comune, che proprio in quanto comune e inevitabile diventa anche accettabile. Non si può chiedere a un giovane di sradicarsi dalla sua giovinezza, che ha la sorte momentanea di essere ancora lontana dal traguardo, non si può chiedere a un giovane di immedesimarsi in qualcosa che gli appare estraneo e comunque lontanissimo, nell’urgenza di molti problemi concreti. Un gay vecchio si rende conto che per capirsi bisogna vivere realtà molto simili nello stesso momento e questo lo porta non all’isolamento come dato di fatto, ma all’isolamento per evitare che le malinconie esistenziali si contagino ad altri o vengano derubricate a stranezze di un vecchio. Provo un distacco sempre più netto non tanto da quelli che non sono della mia generazione, ma da quello che io stesso sono stato anni fa. Rileggo le cose che ho scritto 20, 30 o 40 anni fa, e noto che erano scritte sotto la spinta di altre urgenze, per altre finalità che erano allora le mie finalità. Oggi il mio orizzonte è più corto, ogni giorno che passa non è più un passo verso la realizzazione di qualcosa ma un passo che avvicina a qualcosa che non si conosce. La preoccupazione di fondo non è legata all’inevitabile ma al non sprecare quello che ci resta, che può avere comunque un valore. Un vecchio non chiede di essere capito perché sa che non è possibile, ma deve cercare di vivere intensamente per non sprecare l’ultima parte della vita, che è pur sempre vita e va spesa per qualcosa di serio.

Alyosha
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Re: VECCHI GAY E DISADATTAMENTO

Messaggio da Alyosha » giovedì 18 aprile 2024, 0:17

Mi è piaciuta molto tutta la poesia devo dirti, questo pezzo in particolare mi ha ricordato tante cose di cui parli spesso. E' bello che a questa età comunque si riesca a restituire a parole cose così importanti. Credo che ci sia tanta generosità, un po' come quando si pianta un seme, perché infondo sono messaggi che si lanciano per rendere consapevoli altri che verranno dopo di noi. Questo lo scrivo rispetto alla poesia, ma anche a tante delle riflessioni che fai qua dentro.

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EVANESCENZA

Messaggio da progettogayforum » venerdì 19 aprile 2024, 10:17

La vecchiaia comporta di per sé un decadimento, anche nei rari casi in cui non è accompagnata da malattie gravi e invalidanti, ma nella maggior parte dei casi le malattie ci sono e il declino è rapido e genera una sensazione di scivolamento, di sradicamento e di abbandono alla corrente incontrollabile dell’esistenza. Quando permane un significativo livello di consapevolezza, si avverte una progressiva demotivazione, che è forse il primo sintomo della depressione o di un progressivo distacco dal mondo. Crolla la progettualità, la parola futuro comincia a fare paura, L’orizzonte del pensiero si restringe all’oggi o a un futuro molto prossimo. Si avverte un progressivo spegnimento dei sentimenti, Tutto si fa più sfocato, più indefinito, più evanescente. Si spengono anche la rabbia e l’odio che richiedono energia e determinazione che non ci sono più, si comincia a vivere al neutro, senza reali coinvolgimenti, abbandonati al monotono trascorrere delle ore del giorno, non c’è nulla da attendere, nulla in cui sperare. Si teme di dimenticare di prendere le medicine al momento giusto o di saltarle del tutto. La solitudine diventa una scelta di conservazione che permette di tenersi lontani dalle conversazioni accese, delle discussioni di principio, in cui si alza la voce, e dalle ansie per le vite degli altri nelle quali si è maturata la consapevolezza di non avere alcun ruolo se non meramente strumentale. I rapporti umani si svuotano lentamente dall’interno e la solitudine diventa sinonimo di tranquillità, di assenza di problemi inutili, perché senza soluzione. La parola gay, una parola chiave della vita precedente, perde senso nel presente e resta al massimo come simbolo di una questione di principio che identifica ciò che il vecchio è stato quando quella parola aveva senso. La sensazione del transitorio pervade tutto l’orizzonte. Si elabora la consapevolezza che alla morte di un individuo inizia il processo di evaporazione del suo ricordo, che sopravvive diventando sempre più evanescente solo in pochissime persone e per pochi anni, per perdersi poi del tutto dopo al massimo una generazione. Nell’orizzonte ristretto del vecchio, in teoria, ci dovrebbero essere almeno gli affetti familiari, ma un vecchio gay, che non ha famiglia, vede venire meno anno dopo anno i suoi coetanei e non può sperare in nessun altro, perché dopo di lui non c’è nulla e lui è l’ultimo della fila. Il sonno senza sogni, se non è troppo agitato, è il rifugio del vecchio, che non deve costruire e preferisce non pensare, spegnere la mente per qualche ora e sperare in un riposo fisico. La primavera si fa sentire, la natura non si risveglia ma vede l’esplosione di una nuova generazione. Le foglie dell’anno scorso non ci sono più, quelle che spuntano adesso sono altre foglie. Il vecchio si sente, come Ungaretti, niente altro che una foglia d’autunno. Che fare? Come reagire? Come diventare un vecchio saggio? Cioè un vecchio che capisce e accetta?

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