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da Nicomaco » domenica 26 giugno 2011, 17:55
Tra ieri sera e questa mattina ho letto questo bel romanzo-presentazione di Hugh, così sobrio e asciutto.
Scrivo qui qualche riflessione indotta dalla lettura per chi vorrà condividere.
Credo che i romanzi servano anche a questo.
Leggendo, per certi versi è stato come rivedere alcuni aspetti della mia storia personale (oltretutto i due protagonisti sembrano avere solo un anno meno di me), ma con un finale purtroppo diverso.
Io ruppi definitivamente al termine del primo anno di università con il mio amore (che frequentava un corso di laurea completamente diverso dal mio) dopo un idillio durato 9 mesi (come un parto!), perché aveva cominciato a mettere alcuni paletti al rapporto che mi avevano fatto arrabbiare.
E la rottura fu devastante per me e ancora più devastante quando seppi che si era legato ad un altro (bello come il sole l’ho definito nella mia presentazione). Soffrii per i due anni successivi. In silenzio.
Poi un certo autocontrollo prese il sopravvento, anche perché nel frattempo dovevo metabolizzare quello che avevo vissuto e che non era più recuperabile (come rapporto intendo...).
In ogni caso ringrazierò sempre Dio di essermi innamorato il primo anno di università nel modo in cui lo sono stato: per l’aura dorata che si era creata tra me e lui (sembra impossibile ma è proprio così quando si è innamorati), per la tenerezza che abbiamo sperimentato e per l’intimità dei momenti della giornata e delle serate passati insieme, e più in generale per il bene che ci siamo voluti.
Ricordo ancora quando mi sostenne per mesi e mi accompagnò al primo esame, il più duro del primo anno, così come io avevo fatto con il suo primo esame; assistette alla prova e quando uscii raggiante dall’aula per il buon risultato ottenuto mi diede un bacio affettuoso sulla guancia che mi rese felice … per fortuna senza che nessuno ci vedesse. Bei tempi davvero.
Parlavo prima di metabolizzazione perché volevo introdurre due brevi riflessioni alla luce della storia che ho letto.
La prima riguarda il percorso verso il riconoscimento e l’accettazione del proprio orientamento.
Ho notato che per i protagonisti galeotto fu un libro: “Maurice” di Forster.
Ecco. Per me quel libro e il film di Ivory che lo ha portato sul grande schermo (film che anch’io ho visto alla TV, registrato in videocassetta e poi rivisto parecchie volte) furono un sussidio importantissimo, soprattutto per l’accettazione di me verso i ventiquattro-venticinque anni: mi domando anzi se non lo siano stati per molti altri della nostra generazione di quarantenni, tenuto conto della tendenziosità delle informazioni che in generale si potevano reperire sul mercato in quegli anni.
Quando lo vidi la prima volta, tutto quanto di buio e cupo e spregevole che avevo purtroppo dovuto sentire sull’omosessualità fu squarciato da un improvviso bagliore e mi apparve la bellezza e la bontà di quello che avevo vissuto qualche anno prima. Mi esaltai e mi commossi anche. Della cosa riuscii a parlare con un amico etero in un confronto sul tema dell’omosessualità (anzi fu lui a suggerirmi di vedere il film di Ivory, anche se per la verità io lo avevo già visto … senza che lui me lo dicesse) e fu in quel periodo che mi resi conto di quanto ho già scritto nella mia presentazione: che si è gay perché si ama, per quello che si sente dentro e che l’amore è un dono raro e prezioso per l’uomo. E così mi accettai per quello che sono.
La seconda riflessione riguarda invece il rapporto con la religione e la fede cattolica: rapporto tormentato ho visto per uno dei due protagonisti del romanzo. Ecco, anch’io, fino ai ventiquattro-venticinque anni, fui più volte tentato di confessarmi con un sacerdote per quello che avevo vissuto: sono credente (anche oggi) e di formazione cattolica. Poi però ho desistito, perché, dopo l’accettazione, non riuscivo proprio a concepire l’idea di dovermi confessare, chiedendo perdono per cose delle quali rendevo e rendo anche oggi grazie e che, nonostante tutto, mi sono servite a maturare come uomo. Si. Come uomo. Perché se sono quello che sono nei rapporti con gli altri, credo di doverlo anche alla mia sessualità e alla mia affettività, grazie alla quale mi sono aperto al mondo. Così da almeno quindici anni mantengo una posizione defilata rispetto alla pratica religiosa (sono cristiano, ma non un buon cattolico si direbbe ...), perché non mi è mai parso sensato avvicinarmi con la riserva mentale ai sacramenti di una Chiesa che, nella dottrina, non vede nulla di moralmente buono in noi. Ovviamente sono il primo a riconoscere che negli ultimi dieci anni soprattutto la pastorale sul territorio sembra più aperta. Ma per me questo potrebbe oggi voler dire, se la cosa mi stesse a cuore, fare al massimo una chiacchierata con un sacerdote aperto all’accoglienza e al rispetto per quello che sono. Non la confessione.
Questo è tutto.
Grazie Hugh.
P.S. Vedo che sul coming out il romanzo alla fine da un messaggio di questo tipo: si se la cosa è maturata in coppia e comunque forse non ancora qui in Italia. Molto prudente davvero. Comunque quando si è in due a crederci la cosa potrebbe maturare ovunque secondo me. Anche in Italia.
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Nicomaco il lunedì 27 giugno 2011, 14:14, modificato 1 volta in totale.
La verità, vi prego, sull'amore (W.H. Auden)