Il mandarino nero

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koala
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Il mandarino nero

Messaggio da koala » sabato 19 gennaio 2013, 15:28

Il mandarino nero

Era mattina, quando l’aria è ancora fresca dell’umidità della notte. Il signore passeggiava nel suo giardino, quando, su uno dei viottoli pietrosi, in mezzo a piante rigogliose di frutti ormai maturi, vide che stava solitario un mandarino nero.
Allora pensò: se questa muta presenza ha chiamato il mio sguardo, ciò deve dire una remota intenzione.
Chiese dunque al mandarino: “perché il colore dei tuoi fratelli è vivido mentre tu sei diventato nero?”
Quello rispose: “signore, nessuno si è avvicinato a me, gli uccelli non hanno inciso la mia scorza, e gli insetti non hanno delibato il mio succo.
In verità la scorza era tutto. Temevo il mio vuoto e attendevo invano che quel vuoto si riempisse! Il bel racconto che volevo e invece non potevo vedere in me stesso, ma che vedevo splendido negli altri, questo era per me il vuoto. Era troppo umile la mia pienezza, troppo dimessa nella sua noncurante insignificanza, mentre io immaginavo camere piene di doni nascosti, traboccanti di vita, ed ero un mendicante rabbioso alla porta, la porta che mi nascondeva alla vista degli altri. Entrate e liberatemi, pensavo! Ma che diranno quando vedranno il nulla che c’è dietro la mia porta?
Già, il nero è la mia privazione senza fondo, la mia veste di lutto, e voi uccelli e voi insetti del giardino ve ne tenete alla larga. Non posso biasimarvi. Non potete essere voi a dirmi cosa sono il pieno e il vuoto.
Ora dimmi, ti prego, dalla lontananza estrema con cui guardi tutte le cose: non vedi quale orribile sorte mi hai dato?”
Il signore comprese. L’intenzione gli era chiara. Ebbe un moto di pietà, ma non poteva dargli l’attesa risposta. Convocò invece tre spiriti, antichi ospiti di quel giardino del mondo in cui tante vie si separano e si riannodano.

Spiritus negationis
“Ciò che vedo io, mandarino, è un’immaginazione che pavoneggiandosi dinanzi al tuo sguardo innocente ti rende dimentico di te stesso. Vedo che dalle ali di quest’immaginazione tu sei portato a scambiare la pienezza della vita con un volo fantastico. Ma è la realtà che ti manca, un peso reale, solido come la terra, perché allora non ignoreresti la tua stessa consistenza. Però temo che tu veda anche nella mancanza di questo peso un impedimento a fantasticare sulla sofferenza. So cosa ti stai aspettando: ti aspetti la mia compassione. Però sai bene che tu per primo neghi realtà a ogni dolore. Vorresti che dessi io realtà al tuo dolore, forse con parole più poetiche delle tue, che ti illuminassero le ombre della vita in una festa di luci. Ma tu non riesci neppure a discernere il piacere e il dolore nelle poche cose che hai intorno. Le cose per te sono specchi in cui si riflette un bisogno primitivo di calore e sicurezza. Tendi a disprezzare il piacere perché ti pare banale godere di ciò che hai, ora e tutto il tempo, mentre pregi il dolore, cioè il tuo modo di intendere il dolore, perché porta con sé l’appagamento di un bisogno di distinzione, di grandiosità frustrata ingiustamente dalla vita. Insomma il tuo finto piacere lo trovi nel fingere il dolore e il finto dolore nel non trovare il vero piacere mentre fingi il dolore. ”

Spiritus liminis
“Che parole aspre ho ascoltato! Tra la percezione di una così grande sofferenza e la sua trasformazione in qualcosa di migliore è lungo e difficile il cammino. E nel tuo stato è difficile persino concepire un simile cammino, però sei giunto qui, in questo fondo oscuro dell’anima, qui è la prima pietra, qui è uno spazio a cui si accede liberandosi di tutto ciò che è stato acquisito. Eppure mi domando: non è forse vero che nel tentativo di tornare al nucleo essenziale di sé stessi si vive la sensazione di non sapere dove è l’inizio, cosa è la prima pietra?”.

Spiritus patris
“Il conforto che posso darti è questo: io ti amo e il mio amore non ti mancherà quando riuscirai a confessarne il bisogno”.

Spiritus liminis
“Dovrai sentire l’autenticità di quel bisogno, ma neanche questo per te è facile, perché ti manca un contatto salvifico per dare senso a ciò che vivi. Tu sei disperato perché non riesci a sentire un rapporto pieno di senso con ciò che sei. Ti incolpi, ingaggi lotte estenuanti con te stesso e con gli altri ma alla fine devi riconoscere che non puoi fare niente per vincere la contraddizione che porti dentro: ti manca ciò che già sei. Invece ti ostini a guardare la tua immagine riflessa nello specchio della mente, come se potesse esserci qualcosa in te che a quella immagine si sottragga, una natura separata che possa non essere riflessa in quello specchio. Fissandoti nello specchio assumi che questa natura esista da qualche parte, e deve esistere secondo te, perché esiste una consapevolezza del rispecchiamento e il rispecchiamento non può mostrare questa consapevolezza. In realtà però nulla si sottrae allo specchio. Tu vorresti scindere la vacuità dell’apparenza da un nucleo essenziale di verità, ma la realtà è nello specchio. L’immagine dello specchio sei tu e in nessun altro luogo esiste una parte dimenticata da recuperare. Ecco dunque il tuo destino: unirti all’immagine che cerchi di allontanare da te stesso. Posso dirti che quanto più ti unirai, tanto meno desidererai allontanartene. Apparterrai infine all’immagine di te stesso quando ti sarai dimenticato di te stesso. Allora ti sarai lasciato assorbire dalla vita al punto che la vitalità ti sarà data senza che tu neanche te ne accorga. Lotterai inutilmente per sfuggire a questo esito, oh sì, forse non smetterai mai di lottare, erigerai a difesa la tua consapevolezza contro il presunto sonnifero mortale, ma quanto più cederai tanto più ti sentirai forte, di una forza che senza esibirsi in forme straordinarie ti soccorrerà nel bisogno. A lenti passi ti accorgerai di questo strano fenomeno. Adesso mi farai soprattutto molte obiezioni: ‘perché devo accettare una simile rinuncia? L’immagine di altri è migliore della mia, per loro è più facile unirsi alla propria immagine. Accettare la mia immagine non mi darà quelle qualità che le mancano perché io possa giudicarla una buona immagine. Perché la vita è così dura con me? La durezza è la controparte della mollezza, allora perché ho ricevuto in dote tanta mollezza da dover sopportare come contrappeso una simile durezza? E perché tanta inerzia, tanta inutile difficoltà a sperimentare il flusso della vita? Perché mi sto ponendo tante domande e questo lasciar andare le cose al loro flusso non avviene spontaneamente?’ La tua sottigliezza dialettica può esercitarsi con molti argomenti, ma purtroppo non ci sono risposte alle domande che poni. Forse non si tratta neppure di vere domande: se lo fossero una risposta l’avresti già trovata o almeno confideresti di trovarla, ti pare? In fondo in fondo ognuno di noi sa che tutto deve essere accettato così com’è. Accettare così com’è significa non ammettere vie di fuga, significa non nascondere niente. Poiché io non posso nascondere nulla, obietterò alle tue parole. Cosa ti aspetti che sia il flusso della vita? Hai sentito i racconti di altri. Ma io ti ripeto: non c’è nessun dramma, nessuna meraviglia in questo guardare come un mendicante la gioia e la sofferenza dei tuoi fratelli, il dramma non è la percezione esteriore della vitalità che emana dagli altri, ma la percezione soggettiva della vitalità di un processo naturale, che è la gioia e il dolore tuo e degli altri, non la gioia degli altri, non il dolore degli altri. Non puoi vivere questo processo naturale finché non lo accetti e il conflitto che vivi è parte del processo naturale. È l’accettazione del tuo conflitto che ricondurrà la tua percezione soggettiva alla vitalità del processo naturale”.

Spiritus patris
“Il mio amore è nel silenzio e la sua qualità unica è questa: non cercherò mai di fare ombra alla verità che ti si schiude, il mio non è un amore protettivo, ma grazie a me la verità che troverai non sarà un monito dissonante con il tuo sentire. Il mio amore è la prima pietra. Non puoi definire a parole cosa esso sia perché la tua mente non può comprenderlo, ma se lo lasci vivere allora avrai appagato il tuo bisogno originario. È il primo bisogno, è solo l’inizio e tu devi continuare a costruire. Lascia che ogni cosa intorno a te esista perché tu possa guardarla nella sua interezza. Vedrai che in questo modo nasceranno in te le distinzioni, prenderà corpo una viva realtà, conoscerai il piacere e il dolore come realtà distinte e la loro tremenda serietà sarà proprio questa radicale distinzione e il doverti misurare con essa come qualcosa che è indipendente dal tuo volere.

Spiritus liminis
Ti sembreranno inflessibili alcune delle parole che hai ascoltato, ma non lasciarti influenzare dal giudizio altrui. È diffusa la convinzione che nel regno interiore domini un sentimento che avvolge ogni essere in una sorta di viva compartecipazione, così che le distinzioni possano trasformarsi in fluidità. Ma nessuno per queste cose può dire alcunché se non ciò che ha percepito in sé stesso e tu non devi disprezzarti per questa inflessibilità che percepisci in te stesso. Essa ti protegge da un vuoto che è cosa diversa dal superamento delle distinzioni.

Spiritus patris
In altri tu senti un palpito di vita e poiché quel palpito è un dono, credi di essere privato di un dono.
So che ti manca il dono di quel palpito, ma esiste anche un amore che si ritira per troppa debolezza creando un vuoto dentro di sé. Abbi anche comprensione per questa debolezza. Tu hai compreso in te stesso questo amore se ti sei rivolto a me: un amore che vorrebbe comunicare qualcosa ma si sente, nel profondo di sé, impotente.
Chi ha avvertito questo vuoto può dare all’inflessibilità un senso più recondito: sa che è la forma per contenere un vuoto. Ma in questo vuoto si aggira un segreto ancora più intimo, e questo lo sappiamo solamente tu ed io: un calore che non si effonde ma rimane protetto e invisibile. Non c’è vuoto che non abbia in sé una traccia di calore, eppure noi difendiamo quello che ci è rimasto come se potessimo perderlo in ogni momento.

Spiritus liminis
Chi può dire se questa triste abitudine poggi su lontane esperienze di dolore, irrecuperabili al ricordo, ma conservate per questo da una memoria ben più durevole? Guardando una foglia riarsa, riconosciamo l’irreversibilità della vita: quella foglia non tornerà mai più ad essere un germoglio. Potremmo ricordare allora il dolore che la foglia ha patito un tempo, quando, ancora verde, si è sentita avvampata dal sole e violata nella sua intima fibra. Quel ricordo è nascosto nell’irreversibilità con cui tutto si compie, ma non potrebbe esserci alla base di questa irreversibilità un rifiuto insuperabile a vivere di nuovo quell’esperienza? L’inaridirsi della foglia sotto la vampa del sole, l’impossibilità di accettare il cambiamento. Il dolore può recidere la vitalità di molti ricordi. Uno vorrebbe rivivere la propria stagione della vita ma non sa che proprio nel percepire l’irreversibilità del passato è custodito il dolore vivo legato al passato e il rifiuto a viverlo di nuovo. Il vuoto è un oblio che ci protegge da un dolore troppo vivo, troppo lancinante. È vita nascosta, vita che nascondiamo a noi stessi per il fantasma della perdita. Non osiamo credere che quella vita esista veramente: ci accontentiamo di una parvenza evanescente e, illusione di un’illusione, temiamo che questa parvenza si perda nel nulla se non riusciamo a contenerla in una forma. Gli altri ci rimproverano di essere inflessibili e quanto risentimento provoca questa loro accusa: noi li invidiamo perché ai loro occhi tutte le nostre difese rivelano la propria inconsistenza. Ma lo dicono con troppa leggerezza, perché non possono capire cosa significa sentire una vita confusa col vuoto e questa parola, “inflessibilità”, assume l’accento di un’ingiustizia insopportabile, beffarda. Crediamo che se rinunciassimo a quel poco di forma che ci siamo dati a custodia della nostra debolezza essi ci deriderebbero, nel rigoglio dei loro istinti, per la nostra stessa debolezza. In realtà non sappiamo da cosa questa debolezza derivi: necessità e libertà qui si confondono in un unico segno. Ci siamo abituati alle nostre passioni in dodicesimo, quando vorremmo dire qualcosa sentiamo un macigno sul cuore: un gambo è stato reciso e crediamo ormai di sapere già tutto. Così ci siamo abituati a una percezione diversa: cogliamo qualcosa in noi stessi e il nostro sguardo si concentra all’interno, ma così all’interno che non abbiamo un linguaggio per comunicare né uno chiaro per comprendere. Nell’ambiguità è la nostra sicurezza. Sai che la malinconia è una passione ambigua, perché porta in sé la tristezza per una mancanza e al tempo stesso costituisce il suo indicibile appagamento, ha la compiutezza ma soffre anche la clausura della circolarità.

Spiritus patris
Forse solo nella clausura di questo giardino protetto può tuttavia germogliare un impulso di vita, e in quel caso ecco nascere un senso interiore di fiducia che ci porta a vedere che il giardino è solo una porzione della terra e la terra dà nutrimento a molte piante, dentro e fuori i suoi confini fittizi. Certo non a tutte sono date le stesse possibilità, le disuguaglianze sono enormi, e non sapremo mai il motivo: trovi piccoli arbusti e grandi alberi torreggianti, e persino il muschio, che non riesce neppure a distaccarsi da terra. Alcuni arbusti resteranno piccoli mentre altri diventeranno alberi torreggianti. Neppure i frutti dello stesso albero sono tutti uguali: ci sono sapori diversi, colori diversi, fragranze diverse, tenerezze diverse, diversamente appetibili, e poi c’è sempre quel germoglio che rimane chiuso lasciando un interrogativo angoscioso su di sé. È superfluo dirsi che qualunque modo di giudicare le cose rileverà sempre ineludibili, dolorose differenze di valore tra le une e le altre. Per il tuo piccolo bene è più importante il sostegno che hai ricevuto dell’effetto che riuscirai a produrre”.
Ultima modifica di koala il martedì 3 giugno 2014, 19:44, modificato 3 volte in totale.

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Re: Il mandarino nero

Messaggio da barbara » sabato 19 gennaio 2013, 18:19

E' una metafora intrigante quella del mandarino nero. Metafora della diversità, del vuoto esistenziale , della solitudine e di molto altro ancora.
Il tuo racconto è così denso che andrebbe sorseggiato a poco a poco, leggere una frase e meditare sul suo significato. C'è come un senso nascosto che cerca di emergere , una complessità che chiede di essere sciolta. Una verità sospesa di fronte agli interrogativi della vita, che sono tanto più grandi di noi.
Un racconto misterioso e originale, come un mandarino nero. ;)

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Re: Il mandarino nero

Messaggio da progettogayforum » venerdì 1 febbraio 2013, 12:32

Non avevo letto questo testo, devo dire che mi ha coinvolto molto perché è intessuto di simboli, chiama a pensare, è un invito alla mistica e a una forma speciale di umanesimo. E' veramente uno scritto molto bello! Grazie per averlo postato!

koala
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Re: Il mandarino nero

Messaggio da koala » sabato 2 febbraio 2013, 23:32

Ti ringrazio del commento che hai scritto, Project. Mi ha lasciato una forte impressione. Grazie anche a te, Barbara. Mi piace particolarmente leggere quello che scrivi. Non me la sentivo di commentare il mio post, perché mi era venuto il dubbio di essere stato un po' autoreferenziale.
Ultima modifica di koala il domenica 25 maggio 2014, 21:56, modificato 1 volta in totale.

barbara
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Re: Il mandarino nero

Messaggio da barbara » sabato 2 febbraio 2013, 23:52

Sei molto gentile Koala. Il tuo brano è particolare perchè unisce il linguaggio semplice della metafora a uno più complesso della riflessione esistenziale.
Credo che questo dualismo nello stile non sia comunque una scelta facile, come ogni esperimento narrativo. Mi chiedo se queste due " voci" compresenti nel tuo scritto rappresentino due diverse anime del tuo sentire, entrambe desiderose di esprimersi.

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