Incantesimo del non-amore

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koala
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Incantesimo del non-amore

Messaggio da koala » lunedì 25 marzo 2013, 22:31

28 gennaio (contatto con il corpo)

Il brutto evoca in noi il fantasma
del non-essere-amati.
Nel rifiuto del brutto c'è il disagio provocato
dal non-amore.


31 gennaio (Incantesimo del non-amore)

Come ricordarti?
Sei la manifestazione
della perfetta bellezza
della perfetta sensibilità
del perfetto amore
della perfetta promessa.

Tu abbagli chiunque si avvicina a te.
Chi non vorrebbe, aperta una stanza piena di luce
aprire anche quell'altra porta?
Sgomento.
Era questo il tuo segreto: un fuoco in cui tutto diventa combustibile.
E nel cuore di quella fiamma una tinta azzurra ingannava il mio desiderio.

Provo a risponderti: non-senso oppure troppo senso?
Troppo calore per soffocare un affetto, sempre troppo poco per sopportare il peso degli altri dopo che hai indotto il desiderio di te stesso.
E gli altri? Ora disperano di poter essere amati perché non amano più di tutti, non sentono più di tutti, non risplendono più di tutti.
L'enigma fatale li ha fissati ed essi piangendo giocano con le tue spire:
"Non sarà più bella la vita di chi in sé contiene già tutto?"

barbara
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Re: Incantesimo del non-amore

Messaggio da barbara » martedì 26 marzo 2013, 21:29

Questo brano mi ricorda il mito di Narciso. Forse me lo ricorda anche il tuo stile, che a volte crea degli specchi di parole .
E poi me lo ricorda questo dialogo interiore , in cui l'altro è presente solo come pretesto per parlare di se stessi e del proprio tormento.
Leggerlo mi ha incuriosito molto. ;)

koala
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Re: Incantesimo del non-amore

Messaggio da koala » mercoledì 27 marzo 2013, 0:09

Il fatto che si determini un rispecchiamento narcisistico mi ricorda il fenomeno a cui assistiamo nel guardare attraverso un vetro: vediamo il mondo al di là, in trasparenza, e insieme vediamo il nostro riflesso. La nostra attenzione può spostarsi ora su un'immagine ora sull'altra, è difficile mantenerle entrambe nello stesso tempo. Dopo un po' che fissiamo l'immagine esterna ci ritroviamo impercettibilmente a fissare noi stessi, immagine statica. E' una cosa che mi succede quasi sempre quando cerco di scrivere e mi lascia sempre una vaga insoddisfazione, per quello schermo che mi separ :oops: a dal mio stesso vissuto e dagli altri. Avverto un distacco che non riesco a superare, e se scrivo qualche volta è per il bisogno di fissare alcuni intensi momenti in cui vorrebbe affiorare qualcosa, ma è difficile che quei momenti durino abbastanza a lungo. Le poche volte in cui riesco a vivere un forte coinvolgimento emotivo esprimere quell'intensità mi fa sentire vivo senza strutture, legato a quel preciso momento. Nel caso di questi due testi, il primo è nato in modo estemporaneo: stavo studiando in una biblioteca e avvertivo un peso che se ne è andato scrivendo quelle parole; il motivo è che forse quelle parole dissolvevano proprio una barriera tra me e gli altri, confessavano agli altri un disagio che non era più soltanto mio (era mio nel sentirmi giudicato dagli altri in certi momenti e nel vergognarmi in altri momenti di vedere un'altra persona sotto quella stessa luce con cui mi sento guardato) ma trovava una radice più profonda e comune nell'esperienza dolorosa di non sentirsi amati e non amare. Sono impressioni difficili da articolare, ma a giudicare dall'effetto che ho tratto scrivendo quelle parole mi oriento dentro me stesso e vedo un senso positivo in ciò che ho fatto.
Per quanto riguarda il secondo testo, c'è in effetti presente un'altra persona. Circa due anni e mezzo fa ho sentito nascere dentro di me un affetto per un compagno di università che per motivi di studio si era avvicinato a me. E' stata una crescita molto lenta, intendo sia la mia crescita che la crescita del sentimento per questo ragazzo. Ho avuto bisogno di una presenza quotidiana protratta per molti mesi perché si formasse in me una consapevolezza e una fiducia in quello che stavo vivendo. Un estraneo difficilmente può capire da qualche parola detta in modo enfatico quanto fosse impermeabile la mia chiusura nei confronti di alcune emozioni. E' stata un'esperienza molto sofferta perché onestamente io gli ho detto, dopo un anno che studiavamo insieme ogni giorno, quello che era successo in me: non mi sentivo pronto per parlare, l'ho fatto anche se presentivo che avrei avuto un rifiuto perché non ce la facevo più a sopportare la vicinanza. Avevo provato a risolvere tutto riprendendomi il mio spazio e allontanandomi ma lui occupava di nuovo quello spazio e lo faceva in un modo che forse si potrebbe definire sadico (mi sono un po' alla volta liberato anche delineando, forse sottolineando, le ombre del suo comportamento): il rapporto era improntato ai suoi bisogni, mi legava a sé e al tempo stesso mi respingeva quando gli faceva comodo, facendomi soffrire terribilmente. Dovrei scrivere troppo se volessi ripercorrere tutta quest'esperienza, soprattutto per parlare di ambigue complicità, di sotterranei contrasti, istinti di potere. Dopo che gli ho parlato e sono stato rifiutato, ho avuto un collasso. Invece di trarre forza dal contatto con emozioni vive mai sperimentate prima, mi sono sentito sopraffatto da lui, ho vissuto in me stesso un antagonismo tra un affetto che provavo, intensamente, e un ancora più grande senso di logoramento nel confrontarmi con qualcuno che era diventato per me troppo grande per sopportarne la presenza. I suoi comportamenti sono stati, diciamo così, discutibili anche nel "dopo". Particolare importante (che ho potuto chiarire soltanto dopo essermi confidato), lui è eterosessuale. Farei bene a parlare in un post a parte di questa esperienza, che mi ha costretto a interrogarmi molto e sarebbe una buona base di confronto con gli altri nel forum. Fin adesso ho avuto timore di espormi, perché a volte ho letto giudizi che mi sono parsi più intenti ad analizzare che a predisporre, mediante una sana autolimitazione delle risorse interpretative, un terreno appropriato per la fisiologica elaborazione personale dei propri vissuti, e credo che ci sarei rimasto male. Comunque quello che ho fatto è indubbiamente un primo passo verso la condivisione. Piano piano l'apertura continua. Mi scuso per essermi dilungato tanto, ma ho sentito il bisogno di dire un po' il terreno di coltura da cui sono nati i testi che ho scritto, e anche di spiegare in parte l'impressione di rispecchiamento che tu hai avuto leggendoli. :oops:

barbara
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Re: Incantesimo del non-amore

Messaggio da barbara » giovedì 28 marzo 2013, 0:21

Caro Koala, scrivere è una specie di esorcismo , una magia bianca che può trasformare un groviglio di sentimenti in parole di grande bellezza. E quanto più è nero il groviglio tanto maggiore è la meraviglia che proviamo davanti al frutto del nostro caos.
Noi leggiamo le nostre parole ,è la verità è lì , proprio davanti a noi. Non possiamo negarla , come facciamo di solito. Non ne abbiamo bisogno, perchè ci arriva nel momento e nel modo in cui siamo in grado di ascoltarla.Non è una verità urlata, ma piuttosto sussurrata.
Ancora meglio quando inventiamo storie. Sono i personaggi che non esistono quelli che ci rappresentano di più. Ci prendiamo cura di loro come non sapremmo mai fare con noi stessi. Loro ci comprendono e ci assolvono.
Come è stato per me ti auguro di trovare pace nella scrittura . E' un primo passo di tanti altri . E' come mettersi in viaggio. Non sai mai dove ti porterà, ma è proprio questo il bello ;)

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