Ho amato

Romanzi, racconti, poesie, canzoni e componimenti di ogni genere scritti dai ragazzi del Progetto
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e^ip+1=0
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Ho amato

Messaggio da e^ip+1=0 » giovedì 12 settembre 2013, 18:27

Non so come definire esattamente ciò che sto per narrarvi: mi accingo a presentare, per chi vorrà leggerle, due poesie che ho scritto durante la più grande crisi che ho dovuto affrontare nella mia vita. Come tutte le crisi è stata un passaggio, direi obbligato, che per fortuna pare essersi concluso bene. Poiché, tuttavia, la mia indole è propensa a rimuginare continuamente sul passato, tanto da rendere spesso lenta e difficile l'uscita da situazioni tristi o critiche, ho deciso di mettere per iscritto anche i ricordi legati a queste due poesie; è solo immobilizzando ciò che è accaduto che davvero posso farlo uscire da me stesso e far sì che esso sia davvero "il passato", ciò che è avvenuto una volta per tutte. Non è quindi il narcisismo che mi guida, ma il desiderio di iniziare finalmente una fase nuova della mia esistenza; è con grande sincerità che vi scrivo, perciò, se appaio patetico, vi chiedo di giudicarmi con bontà.
***
Se avete preso il treno e avete viaggiato per la nostra bella penisola, vi sarà capitato di fermarvi o di sentire il nome Santa Maria Novella, la principale stazione di Firenze. Non è un luogo che nasconde chissà quali meraviglie: è una mera stazione ferroviaria, in puro stile fascista (non bella, quindi), e peraltro ultimamente piuttosto cadente e sporca. Tuttavia quelle mura beige chiaro, quei binari che si snodano tra scalcinate pensiline, hanno visto, tempo fa, vicende dolorose e bellissime; quando càpito in quella stazione, nei miei frequenti trasbordi da fuorisede, il cuore mi si stringe ancora pensando a ciò che è avvenuto in quella sera d'autunno dello scorso anno. Sedevo su un panchetto di legno di fronte al binario, accanto a me vi era colui che più di ogni altro ho amato nella mia vita, signore del mio cuore e della mia mente; colui per il quale, se solo me lo avesse ordinato, avrei dato la mia esistenza. Di quegli istanti ricordo solo il senso di mancamento; non sono religioso e non voglio essere blasfemo, ma l'unico paragone che posso azzardare per descrivere ciò che si muoveva nel mio cuore è quello con le visioni di certi mistici. Questo era ciò che avveniva al mio interno. All'esterno ero il solito ragazzo alto e un po'goffo, il "pennellone" come si dice nelle mie terre, con un'aria a metà tra il bravo ragazzo anni '70 e l'esploratore distratto: la tipica persona che tutti, a prima vista, classificano come un secchione gentile e un po'sfigato, salvo poi accorgersi che è un giullare tutto il santo dì, che prende la vita come un'eterna improvvisazione. Ma i giullari non sempre ridono, e quella sera io, in me stesso, reprimevo un pianto soffocato. Mi ricordo di essermi voltato verso il mio interlocutore e, mentre l'altoparlante gracchiava non so quali informazioni sui treni che andavano e venivano, ho cercato di rivelargli tutto il mio Amore, così, in mezzo ad una normale conversazione. Non vi sono realmente riuscito, anzi, direi per nulla. Avrei voluto stringerlo e narrargli le notti insonni che passavo pensando a lui e piangendo, avrei voluto raccontargli il colpo di fulmine che mi aveva preso la prima volta che lo avevo visto, nel gioioso mese di giugno. Egli rappresentava, in quel momento, la mia principale ragione di vita, nonché l'unica luce in un'esistenza che da un anno a quella parte era abbastanza depressa e grigia: quando pensavo al suo volto così particolare, quasi una maschera teatrale, incorniciato da lucenti riccioli biondi, lo vedevo immerso in una luce che squarciava un velo nero e soffocante. Avrei voluto raccontargli di come, nel bel mezzo dell'estate, mi fossi rintanato nella fresca camera che un tempo era di mio nonno in cerca di pace, e fossi rimasto quasi un intero pomeriggio a guardare il soffitto ed a pensare a lui, alla sua giovinezza così luminosa e allegra, ai suoi occhi pieni di gioia, all'Amore infinito che per lui provavo; avrei voluto descrivergli le cicale che cantavano in quel pomeriggio, i cipressi che si muovevano al vento fuori da quella finestra che dava sulla campagna. Avrei voluto gridare che ogni luogo nel quale egli passava assumeva per me un'importanza sacra, diveniva il recinto del sacro tempio che a lui, Dio del mio cuore, dedicavo; fremevo dal desiderio di dirgli che, mentre ero nel dormiveglia, la notte, era come se tutti i monumenti di Firenze, sotto i quali eravamo passati insieme, si accalcassero nella mia mente per ricordarmi la sua bellezza, il suo sorriso, la sua voce, in una parola lui, e ancora lui, e ancora lui. Vedevo la loggia dei Lanzi, in sogno, ed era come uno stereogramma che nascondeva il suo viso, camminavo sul Ponte Vecchio, e lui mi teneva per mano in un'atmosfera intrisa di dolcezza infinita, propria delle situazioni oniriche. Avrei voluto dedicargli la via Lattea, che osservavo la notte dal giardino di mia nonna. Osservavo il cosmo col mio binocolo e ogni stella, dalle più grandi e luminose alle più lontane e fioche, mi ricordava lui, era desiderio di lui. Non gli raccontai nulla di tutto ciò: invece di stringerlo a me urlando a squarciagola feci un sorriso forzato e dissi, con l’aria da cagnolino bastonato che mi è propria: “mi piaci”. Come dire che uno è uguale ad un miliardo, o come dire che l’Everest è un sassolino. Ricordo che fu gentile, che mi disse di no in modo carino, assicurandomi che nulla sarebbe cambiato tra noi. Pensai allora che potevo tornare alla mia vita normale, che tutto sarebbe finito con quel dolcissimo rifiuto, che avrei potuto continuare la mia esistenza da omosessuale nascosto. La tensione si era scaricata, ora sarebbe tutto andato a posto. Così non era, ovviamente. Rammento che, prima che io salissi sul treno, mi abbracciò: da allora continuo a vederlo con altri amici, ma non mi ha più abbracciato così. è stato, posso dirlo, l’abbraccio più bello che io abbia mai ricevuto. L’ultima immagine che ho di lui quella sera è la sua figura che scivola via sulla piattaforma: un’immagine sfocata dalle lacrime che bagnavano i miei occhi e che attirarono su di me gli sguardi di tutto il vagone. Quella sera, arrivato a casa, cominciai a ripensare a ciò che avevo fatto quel pomeriggio, prima di incontrarlo e andare alla stazione. Ricordai che, mentre ancora dovevo incontrarlo e rimuginavo per strada su come gli avrei rivelato ciò che provavo, vidi una gelateria e mi ci infilai. Ordinai a caso, senza pensarci, tale era il sussulto che avevo dentro pensando che lo avrei visto in pochi minuti: fu così che mangiai il gusto chiamato "Follia", adatto a ciò che stavo per fare. E mentre ero lì, con in mano il cono e nel cuore l’immagine sua, una radio cominciò a spandere nell’aria la musica della passerella di 8 ½ di Fellini. Lo ho già scritto da qualche parte: quel film è l’emblema della mia visione della vita: un immenso circo nel quale amo immergermi e perdermi. Sentire quella musica così familiare proprio mentre mi stavo accingendo ad incontrare L. (lo chiamerò con questa iniziale) fu un lampo, mi diede coraggio e fece dire a me stesso: “devi rivelargli tutto!”. Come è andata lo avete già letto: dopo vari giri finimmo alla stazione, mi accompagnava al treno, e avvenne ciò che ho descritto, ossia non gli rivelai nulla.


FOLLIA


Poco prima di compier follia
mangiavo un gelato.
Follia il nome del gusto
così dolce alle mie labbra tremanti;
follia circense il brano felliniano
che una vecchia radio
nell’aria convulsa spandeva;
follia irraggiungibile era
la mente mia piena d’Amore.

Poche ore dopo,
agli occhi riflessi
nel bagno d’un treno,
ancora follia,
luce di dolorosa passione
in un anima che vuol
confondersi con la macchina,
e com’essa in Appennino,
a trecento all’ora
vuol immergersi in Amore.

E mentre già mi slancio
nel limbo di incertezza
tra le due pendici del monte,
mi avvolge del ricordo recente la forza.

Saluti al genitore,
un rapido scender di scale
prima della corsa verso lui,
il folle, mio impossibile Amore.

Dall’alto delle sue gelide luci
la stazione vede la follia,
impassibili occhi di tabelloni
scrutano sentimenti impacciati
mentre binari e traversine
son compagni silenziosi
a parole d’Amore
dalla mia bocca a stento articolate.

Un no gentile, in amicizia.
Ma è pur sempre no.
Ti amo. Ti ho amato.
Amai.

Ora non resta che ricostruire.

***
Ricostruire. Già, ma cosa? Lo amavo. Egli aveva scosso le più profonde fondamenta del mio essere. Mi aveva mostrato che ero capace di amare. Io, così buffo d’aspetto e nei movimenti da suscitare il riso a prima vista in chi non mi conosceva, io, cui pochi avrebbero associato sentimenti amorosi, data la mia forte razionalità, ero capace d’amare immensamente, infinitamente, un ragazzo. Si aprivano per me, da allora in poi, il travaglio dell’amore non corrisposto e la dissestata via dell’accettazione della mia omosessualità. Della seconda scriverò fra qualche tempo in un altro post, ma anticipo che è andata bene. Del primo, ora finalmente alle spalle, racconterò come un'altra volta, voglio solo citare una poesia che scrissi in quei mesi, ed un episodio emblematico.

Prime stelle d’inverno


A te che mi hai rapito l’anima
dedico un canto d’amore puntato al cosmo.
Tra le dita piene di freddo,
dolci veder vorrei
scivolare i capelli tuoi,
dolce baciar vorrei
quel biondo, allegro colore,
che mi folgorò in una cantina
battente il sole di giugno.

Ricordi?
Brulicante di vita era l’aria
in quel lontano pomeriggio,
pieni di gioia i nostri animi,
mentre scene di teatro improvvisavamo.
Quando talvolta l’animo mio galleggia
in assonnate mattine di routine,
quando il cielo di novembre
dà il suo scialbo saluto ai miei occhi assonnati,
quando, ancora, la mente stanca vaga
errabonda nel vuoto dei fogli,
scavo nel ricordo;
quasi un lento mosaico
il sorriso tuo prende forma in me,
e all’orecchio suonano ancora liete
le nostre risate tra amici,
ed ecco, rivedo i tuoi occhi scaltri,
ed ancora volgi lo sguardo su di me,
tu, che mi hai sconvolto l’Essere
scaraventandolo sulle più alte vette
di Amore immenso,
tu, che macerare fai il cuor mio
in abissi di timore.
Tu, che ora mi sorridi
tra tenerezza e lusinga,
ma senza amare.

Ti parlo, conversiamo.
Distinto paio, e fermo
nel mio cappotto scuro,
nella pelle invece fremo e grido,
e a stento mi trattengo col pensiero.

Ora invece, solo su questa mia altana,
sogno con te poter mirare Giove
che a Toro abbracciato
brilla alto.

***
Era inverno, febbraio, credo, o inizio marzo, e mi trovavo, ancora una volta, in treno. Stavo tornando a casa per il finesettimana e, nello scompartimento dove l’aria stagnava, sedevo pensando a L., immaginando che un giorno egli potesse corrispondermi. Dopo tanto ansimare, quel vecchio rottame d'un convoglio giunse a Santa Maria Novella, la mia stazione d’arrivo. Guardai fuori dal finestrino e vidi il panchetto di legno, lo stesso sul quale sedevamo io e L. quando mi dichiarai a lui, nella scena sopra descritta. Ebbi un impulso istintivo e dolce: scesi con calma, andai davanti a quella vecchia panca, attaccata ad una delle colonne della pensilina, e la accarezzai. Qualche mese prima sedevo lì accanto a lui. Dopo quella volta, bloccato da un sentimento e da una timidezza enormi, non gli avevo più parlato a quattr’occhi, e ciò mi aveva causato una sofferenza indicibile. In quei mesi avevo sofferto così tanto che, come risultato psicosomatico, avevo avuto problemi alla retina. Ai miei genitori, molto preoccupati, raccontavo che ero un po’stressato per via dell’università e che ero in ansia per mia nonna, che stava allora molto male. Tutto vero quel che dicevo, ma tacevo la ragione più grande del mio dolore, ossia L. Beh, tornando a quella sera, ricordo che accarezzai dolcemente quel sedile di legno della stazione e poi, in un impeto cieco e pieno di ardore, uscii fuori dalla stazione tirandomi dietro la valigia a rotelle, che sbatteva sulle pietre sconnesse mentre con decisione mi infilavo in tortuose stradine. Camminai a lungo. Ricordo la strada, il lampione che mi illuminava il viso, e soprattutto ricordo lei, quella finestra aperta dalla quale si intravedeva una tenda arancione acceso, la finestra della camera di L., con la luce accesa all’interno. Quando la vidi ebbi un fremito di gioia: egli era dunque lì, proprio lì, dietro quella tenda rossastra, era lì il mio amato, l’essere a me più caro al mondo, l’alfa e l’omega di tutti i miei pensieri. Se fossi stato in un film americano L. si sarebbe affacciato e, vedendomi, sarebbe sceso di corsa ad abbracciarmi, a baciarmi, dicendomi che mi amava anche lui, che aveva magari finto per mettermi alla prova, o per paura. In un romanzo a lieto fine, mi sarei arrampicato sulla facciata del suo palazzo, sarei giunto alla sua finestra e mi sarei gettato dentro, implorandolo di accettare il mio Amore. Purtroppo non ero in un film americano e, per quanto a volte sarebbe bello, neppure in un romanzo a lieto fine. Ero in strada, solo, in una notte d’inverno, e supplicavo davanti ad una finestra accesa. Sperai di intravedere la sua ombra, di sentire la sua voce. Nulla. Solo quella tenda rossiccia che, talvolta, faceva lievi movimenti. E dietro, ignaro della mia presenza, lui, il mio folle, impossibile Amore. Cominciai a dedicargli una poesia improvvisata che mi sgorgò dal cuore, parole rotte dal pianto e dal freddo che congelava le mie lacrime. Volevo urlare ma sussurravo, in mezzo ad una strada deserta, parole che nessuno udiva. Piangevo e tenevo gli occhi fissi su quella finestra, quel rettangolo acceso che era per me come l’unica sorgente di vita. Passarono due turisti che non si accorsero neppure di me. Poi passò un ambulante africano, mi guardò con aria severa e andò oltre. Poi più nulla. Solo io col mio dolore e lui, lassù, cui rivolgevo strazianti canti d’Amore. Per un attimo, lo devo confessare, pensai all’Arno, alle sue onde nere, fredde in quella notte d’inverno, alle luci della città riflesse sulla sua superficie: sarebbe stato un volo e poi più nulla, l’oblio più totale. In quell’istante mi tornarono in mente i miei amici, i miei meravigliosi amici, mia madre, cui voglio un bene dell’anima, mio padre, con cui non ho un rapporto molto buono, ma cui voglio bene comunque; il mio corpo ebbe un sussulto, sentii nell’animo le note di 8 ½ e alzai la testa. Mi voltai e camminai lungamente verso casa dei miei genitori. Entrai e sulle scale mi asciugai il viso stravolto. Quando entrai in casa tutto era caldo ed accogliente, una bella cena mi attendeva in cucina. Mio padre mi sorrise, mia madre mi abbracciò e, vedendomi pallido disse: “ma che c’è? Va tutto bene?”. “Sì”, risposi io, “va tutto bene”.

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Re: Ho amato

Messaggio da barbara » giovedì 12 settembre 2013, 19:18

Santo Cielo... sei indubbiamente ispirato da un potente sentimento, ma hai anche il dono di scrivere cose che toccano l'anima di chi le legge . Adoro questo tuo modo particolare di dare vita ai ricordi , di inoltrarci dentro l'intrico dei pensieri, che scaturiscono l'uno dall'altro, senza tregua. Questa atmosfera che sai creare e che sa essere drammatica , ma anche autoironica è un piccolo universo di emozioni . Ognuno di noi ha vissuto la silenziosa tragedia di un rifiuto o anche più di uno . E tu sai riportarci precisamente lì, in quello struggimento che è il prezzo da pagare quando si impara cos'è l'amore.
Hai una scrittura intensa che sa incantare e appassionare. Dentro a questo ragazzo schivo e razionale c'è un personaggio tutto da scoprire. C'è un fuoco che arde nascosto . Mi fa pensare al verso di una canzone che mi piace molto e dice : "la vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia".
"Follia" come il gusto di un gelato che ha il sapore unico della speranza non ancora perduta.
Non so che studi stai facendo e cosa vuoi fare nella vita, ma non smettere mai di scrivere...

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Re: Ho amato

Messaggio da e^ip+1=0 » giovedì 12 settembre 2013, 22:23

Ti ringrazio molto per le tue parole, Barbara, mi fa molto piacere condividere con persone come te queste vicende, perché so che vengono comprese.
barbara ha scritto: Mi fa pensare al verso di una canzone che mi piace molto e dice : "la vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia".
"Follia" come il gusto di un gelato che ha il sapore unico della speranza non ancora perduta.
"Tutto un equilibrio sopra la follia", è proprio vero!
barbara ha scritto: Non so che studi stai facendo e cosa vuoi fare nella vita, ma non smettere mai di scrivere...
Sto studiando fisica, sono prossimo alla laurea triennale. Sono un po'incerto sul mio futuro: per ora prevale il desiderio di fare ricerca, ma chissà. In ogni caso, grazie dell'incoraggiamento: se un giorno troverò il modo di mettere in forma compiuta queste ed altre vicissitudini ed esse potranno essere utili ad altri, a qualcuno per riconoscersi nelle vicende e riflettere, a qualcuno per capire meglio certi aspetti dell'omosessualità e, più in generale, del sentimento amoroso, sarà un bel risultato. ;)
Prossimamente, comunque, scriverò anche com'è andata a finire tutta la storia, ho solo bisogno di un po'di tempo per raccogliere le idee: sono successe tante di quelle cose in questo ultimo anno che fatico a dare un ordine a tutto.

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Barbino Dago
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Re: Ho amato

Messaggio da Barbino Dago » martedì 17 settembre 2013, 23:46

e^ip+1=0 oggi è la seconda volta che mi commuovo!

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Re: Ho amato

Messaggio da e^ip+1=0 » martedì 17 settembre 2013, 23:56

Grazie, Barbino, sei sempre molto gentile. :)

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Re: Ho amato

Messaggio da Barbino Dago » mercoledì 18 settembre 2013, 0:00

Sono molto sincero te l'assicuro! A me vien da piangere per certe cose! Hai scritto delle cose veramente belle! Io non sarei capace di raccontarle così bene. ;)

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Re: Ho amato

Messaggio da e^ip+1=0 » mercoledì 18 settembre 2013, 0:38

Barbino Dago ha scritto:Sono molto sincero te l'assicuro!
Ci credo, e infatti è bello poter trovare su questo forum persone come te, come Barbara, come altri, cui raccontare questi fatti. ;) Credo che certe cose lascino più il segno una volta che siano lette piuttosto che quando vengano dette a voce.

Proprio stasera, poche ore fa, ho incontrato L. al compleanno di un nostro comune amico. Ora le cose sono molto cambiate dalle vicende che ho raccontato qui. Quel che è successo dopo quella sera d'inverno lo scriverò presto, ho solo bisogno di un poco di tempo. Anticipo questo: il mio sentimento verso L. è mutato e a lungo ho avuto l'impressione che il rapporto con lui fosse stato irrimediabilmente incrinato, non era una certezza, ma un forte dubbio persisteva. Stasera invece, vedendomi, mi è quasi saltato al collo, stringendomi forte. Un abbraccio amichevole e sincero, nulla di più, ma mille volte bello, in quanto ora sono sicuro che tra noi può ristabilirsi un rapporto normale, anzi, tanto più bello in quanto costruito su una vicenda passata così ricca e sconvolgente, fonte di rinnovamento per la mia esistenza e, forse, esperienza importante per la sua.

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Re: Ho amato

Messaggio da Barbino Dago » mercoledì 18 settembre 2013, 0:53

Che bello e^ip+1=0 sono contento per voi!
Ps: anche a me fa molto piacere parlare con te! aspetterò sempre con piacere i tuoi post perché sono sempre molto ricchi! :D
Inoltre: se ti va di chiacchierare ogni tanto c'è anche la chat! Io non entravo mai prima, per la timidezza sopratutto. Ma ci si diverte, te lo assicuro!
Detto questo: aspetto il resto del racconto! E anche altre poesie!

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Re: Ho amato

Messaggio da e^ip+1=0 » mercoledì 18 settembre 2013, 19:02

Via, allora anch'io uno di questi giorni metterò da parte la timidezza e accederò alla chat per fare due chiacchiere.
A presto per il resto del racconto! ;)

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Re: Ho amato

Messaggio da e^ip+1=0 » giovedì 19 settembre 2013, 23:23

So che questo non è il posto adatto per messaggi "privati", e mi scuso in anticipo, ma non so come fare altrimenti.

@Barbino Dago: in chat ci eravamo ripromessi di scriverci stasera e nelle prossime serate. Mi spiace non esserci stato, purtroppo ho saputo stamani della morte di mia nonna. Come comprenderai, per qualche giorno mi assenterò.

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