Chiesa ortodossa e omosessualità

Il rapporto fra tematiche gay e religiose, nella vita di sempre
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pavlosss
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Chiesa ortodossa e omosessualità

Messaggio da pavlosss » martedì 14 agosto 2012, 23:17

E’ noto a tutti il rapporto complesso che la Chiesa cattolica ha verso l’omosessualità. La parte gerarchica più conservativa la considera una patologia, una situazione moralmente sempre inaccettabile. La parte più attenta al vissuto delle persone, nel basso clero, la considera qualcosa che deve trovare una sua collocazione, magari in un quadro di relazione stabile e duratura. Talora questa posizione si riflette in qualche esponente della gerarchia, come ultimamente nell’arcivescovo di Berlino (giugno 2012) il quale ha mostrato una certa apertura al matrimonio dei gay.

Il mondo ortodosso, invece, è molto impermeabile ad ogni genere di riflessione articolata che ha cercato di caratterizzare il mondo cattolico e, soprattutto, quello protestante. Quando qualcuno cerca d’affrontare questo tema – ricordo il tentativo d’un prete romeno ortodosso in Francia – lo fa in modo insufficiente, retorico e inconcludente.

Se l’apporto delle scienze umane è riuscito a scalfire un poco certe infondate sicurezze del Cristianesimo occidentale, mostrando che l’omosessualità non è una realtà voluta ma, piuttosto, qualcosa che un uomo vive e gestisce, uno stile con il quale impronta affetti e relazioni, tutto ciò pare non essere stato assolutamente recepito in Oriente. Le società in cui è tradizionale la confessione cristiano ortodossa hanno, sull’argomento, opinioni come quelle dell’Europa occidentale di ottant’anni fa. Mi riferisco, soprattutto, alle società uscite dal comunismo sovietico.

L’identità delle Chiese orientali è fortemente improntata sul concetto di tradizione, laddove per tradizione si deve intendere tutto un genere d’orientamenti e interpretazioni bibliche provenienti dalla vita e dalla riflessione di santi, teologi e asceti. Almeno in teoria, dunque, la dimensione di questo Cristianesimo è molto ascetica. L’ascetismo ortodosso non conosce punte estreme di rifiuto del corpo, esistite o ancora esistenti in Occidente, ma subordina il mondo delle sensazioni corporee a quello spirituale senza una necessaria e costante opposizione tra i due. E’ questo ad aver generato una certa valutazione della vita sessuale, al punto che pure i preti si sposano. Ciononostante l’omosessualità è sempre stata ritenuta un’attività disordinata e riprovevole, comunque la si ponga.

Nella storia delle Chiese orientali, l’omosessuale era invitato a divenire monaco, ad allontanarsi dal mondo e a santificarsi evitando le “trappole del demonio” rappresentate dal suo genere di affettività. Ancora oggi nel Monte Athos esiste qualche monaco che piange su se stesso ritenendosi un insulto a Dio per il semplice fatto d’essere omosessuale!

Questo spiega perché nella storia della Chiesa ortodossa ci sono stati dei santi, molto probabilmente omosessuali, che non hanno mai dato ascolto al loro tipo d’affettività reputandola un male in se stessa. Uno di essi era san Simeone il Nuovo Teologo (XI sec). Abbastanza recentemente, nei primi decenni del ‘900, un santo greco, responsabile d’un collegio maschile, san Nectario di Egina, esortava i ragazzi a recidere ogni amicizia tra loro se iniziava ad avere sviluppi troppo affettivi. Evidentemente si riconosceva l’esistenza di tali situazioni ma le si recideva sul nascere, forse nella convinzione che l’omosessualità potesse essere un semplice stadio evolutivo verso l’eterosessualità alla quale tutti inevitabilmente dovevano pervenire senza indugi, convinzione oggi molto relativizzata se non smentita dalle scienze antropologiche. Senz’altro l’omosessualità rappresentava l’inciampo d’un cammino affettivo e, soprattutto, un’espressione insana e avversata da Dio.

L’epoca attuale con il suo permissivismo sessuale ha avuto il suo effetto dirompente anche nelle società tradizionalmente ortodosse. Si è creata, così, una sorta di dicotomia. Abbiamo, dunque, due posizioni talora esistenti in una stessa persona.

Da una parte ci sono i cultori della tradizione per i quali l’omosessualità, qualsiasi applicazione possa avere, è riprovevole perché contraria a quant’è stato da sempre stabilito da Dio nella rivelazione genesiaca. “Se proprio cadete nel peccato sessuale, seguite la natura, non andatele contro”, afferma qualche monaco atonita contemporaneo a certi pellegrini, dimostrando, con questo, una perfetta ignoranza sull’omosessualità. L’ultima esternazione, in tal senso, è quella presentata dall’Arcivescovo Metropolita greco-ortodosso d’Australia, dinnanzi alla proposta di matrimonio gay da parte dello Stato (giugno 2012). L’Arcivescovo ritiene che impedire l’approvazione statale dei matrimoni omosessuali sia un “sacro dovere”.

Dall’altra parte, c’è la presenza di chierici e laici i quali, senza neppure tentare d’articolare una mediazione, un discernimento e un’analisi tra i comportamenti omosessuali e la tradizione, approvano o tollerano parecchie soluzioni “alternative”.
Così se, da un lato, abbiamo l’esistenza di vescovi di fatto conviventi (mentre almeno i vescovi tradizionalmente non dovrebbero avere relazioni e rimanere monaci), dall’altro abbiamo alcuni sacerdoti che convivono o con donne o con uomini, altri che praticano la promiscuità, altri ancora che, pur essendo sposati, hanno relazioni extraconiugali, qualcun altro che è addirittura attivista all’interno di realtà omosessuali, ecc. Tutte cose che, nel loro insieme, sono indice d’una straordinaria confusione e giustapposizione che può portare ad un pericoloso sdoppiamento della personalità e ad un isolamento totale tra la dimensione religiosa e quella personale.

Anche nel mondo Ortodosso, dunque, sembra che si tollerino molte cose a patto che non siano note e non si reinterpreti la tradizione ad esse relativa lasciandola inalterata, come se fosse perfetta in ogni suo aspetto. Infatti, un atteggiamento più sano di riflessione sull’omosessualità trova le Chiese ortodosse ancora refrattarie, come se tutto ciò non le riguardasse affatto e le soluzioni adottate dalla tradizione fossero sempre valide in ogni tempo e luogo. Bisogna ammettere che il Cristianesimo occidentale, nonostante molte opposizioni, si affatica a comprendere meglio questa realtà. Al contrario, l’Oriente ortodosso non ne vuole assolutamente sapere, pur avendo nel suo stesso seno laici e chierici omosessuali. Così se, in quel contesto, un omosessuale cerca consiglio dal confessore, si sente rispondere che deve divenire monaco o deve sposarsi. Gli vengono propinate queste due classiche vie senza neppure capire se effettivamente le può sostenere. Un uomo con tentazioni omosessuali deve pregare tantissimo, a differenza di uno con tentazioni eterosessuali il quale può trovare la sua pace e soluzione nel matrimonio.
Non è neppure concepito consigliare un rapporto fedele e monogamo omosessuale. Il XXI secolo è dunque appiattito al VI o al II.

Ecco perché nel mondo ortodosso sembra che non si senta lo stridore di certe affermazioni, proprie alla sua tradizione, come quella di san Giovanni Crisostomo, per cui l’omosessualità, in se stessa, è l’espressione d’un abbandono da parte di Dio. Il santo affermava che quando Dio abbandona qualcuno, immediatamente la sua natura s’inverte e questo spiega l’esistenza dell’omosessualità (San Giovanni Crisostomo, Homilia IV in Epistula Pauli ad Romanos; cfr. Patrologia Graeca, vol. 47, coll. 360-362).

Il bisogno di reinterpretare la tradizione rappresentata da questi autori nei riguardi dell’omosessualità sembra, al momento, ancora qualcosa d’immensamente lontano e se qualcuno osa sollevare tale questione potrebbe essere visto come un eretico. Questo staticismo formale, però, non è certo espressione di discernimento e, soprattutto, finisce per rovinare in alcuni il senso vero d’una tradizione della quale gli ortodossi si ritengono gli unici fedeli rappresentanti. Portare un omosessuale particolarmente attivo a vivere una scelta che non può sostenere, significa farlo inciampare e renderlo infelice, fargli maledire la sua fede.

Se il vecchio vino non è dunque portato in otri nuovi finisce inevitabilmente per corrompersi! Purtroppo questa preoccupazione pare non sfiorare neppure lontanamente gli ambienti del Cristianesimo ortodosso. Si mantiene, così, una facciata ligia alla tradizione e una pratica che può anche discostarsene radicalmente. Il prodotto finale di questi due elementi è sempre terribile e consiste nello svuotamento di una Chiesa e di una fede, cosa che gli ortodossi sono ancora lungi dal considerare ma che, nell’impatto con la postmodernità, sta già avvenendo.

pavlosss
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Re: Chiesa ortodossa e omosessualità

Messaggio da pavlosss » martedì 14 agosto 2012, 23:57

Per concludere riporto un fatto successo realmente alcuni anni fa, pubblicizzato e poi immediatamente rimosso ovunque.

In una trasmissione, in prima serata nella tv romena, un monaco confessò d'essere gay come molte altre persone della sua Chiesa (laici e religiosi).
Lo fece per esasperata reazione alle dure pratiche ascetiche impostegli nel momento in cui confessò le sue tendenze a chi lo seguiva spiritualmente.
L'impatto fu terribile al punto che ricevette addirittura minacce di morte e dovette fuggire dalla Romania.
Venne in Italia dove, per un paio d’anni, era assiduo frequentatore degli ambienti gay apparendo pure nelle manifestazioni pubbliche con il collare da prete.
Cercò d'aprire un sito internet di dialogo tra il Cristianesimo ortodosso e il mondo gay. Poi... silenzio! Il sito sparì e di lui si persero le tracce.

Lo ritrovai casualmente "rientrato" all'interno d'una chiesa ortodossa di cui per motivi di privacy evito di specificare luogo e tipo.
Evidentemente, per poter sopravvivere, rinunciò ad esaminare questa questione fin troppo scottante. Temo, però, che non avesse neppure i mezzi sufficienti per farlo. Con essa, rinunciò dunque a considerare la sua vera realtà.

La storia riportata è un semplice particolare per far comprendere come il cammino che devono fare le Chiese storiche d'Oriente per analizzare a freddo la questione gay è realmente molto più lungo di quello delle Chiese occidentali e, francamente, mi sembra assai arduo! C'è come uno scollamento tra l'immagine di sé e la propria realtà che non si vuole riconoscere e che, magari, si vive di nascosto.

Questo spiega l'atteggiamento sinceramente retrivo che ogni tanto sentiamo da parte di quelle gerarchie ecclesiastiche, non ultimo il patriarca di Mosca. Certe reazioni gerarchiche contro i gay sono virulente, come se volessero nascondere cose di cui si ha coscienza d'avere fino al proprio midollo osseo ma che non si vuole assolutamente ammettere e spiegare. Tantomeno giustificare.

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Re: Chiesa ortodossa e omosessualità

Messaggio da progettogayforum » mercoledì 15 agosto 2012, 2:03

Grazie pavlosss per i tuoi interessantissimi articoli. Vorrei aggiungere solo due cose. Mi è capitato al di fuori di qualunque canale formale, di parlare di questioni attinenti l’omosessualità con un esponente di una chiesa ortodossa (ometto per rispetto della privacy di scendere nel dettaglio), l’impressione che ne ho ricevuto è stata che il mio interlocutore meritasse veramente il massimo rispetto. I dialogo è cominciato in modo cortesemente polemico col farmi notare che nei miei post riportavo solo una serie di condanne ecclesiastiche della omosessualità e che questo sembrava avere un sapore di polemica radicale contro il cristianesimo, ne è seguito uno scambio di mail estremamente serie in cui si è arrivati ad un confronto molto franco e il mio interlocutore ha ammesso, in piena sintonia con quello che afferma pavlosss, che le posizioni della chiesa, sia cattolica che ortodossa, dimostrano una sostanziale non comprensione del problema gay, il discorso si è poi allargato anche ad altri aspetti della morale sessuale come la contraccezione e anche lì le nostre opinioni non erano poi così lontane. Con questo intendo dire che anche nel mondo ortodosso, a livelli non ufficiali, la necessità di una revisione sostanziale della morale sessuale è effettivamente sentita, tanto più da quella parte del clero che ha contatti più diretti con i fedeli e che quindi ha una visione meno astrattamente teologica delle cose.
La seconda questione, che nell’ottica di un sito come questo è probabilmente quella fondamentale, è legata all’idea che quella pur minima parte del mondo ecclesiastico che sarebbe personalmente disponibile ad una apertura verso un riconoscimento del diritto alla sessualità da parte dei gay, vede comunque quel diritto sempre e solo limitato all’interno di una coppia monogama stabile, cioè in pratica tende ad applicare agli omosessuali categorie analoghe a quelle impiegate nel matrimonio. Se si tiene presente che il matrimonio (eterosessuale) finisce con un fallimento formalizzato (separazione o divorzio) nel 50% dei casi (dati ISTAT), e questo nonostante la presenza di figli minori, pensare di trasportare le categorie del matrimonio eterosessuale in campo gay sembra già paradossale e va poi aggiunto che la fedeltà coniugale ha un senso concreto in rapporto all’idea di paternità ma nel mondo gay ha contorni assai più labili. Da quello che vedo, tra i gay giovani l’idea del rapporto di coppia gay monogama e stabile è ancora dominante e ha anche un certa possibilità di concretizzarsi, ma sono d’altra parte molti i gay adulti che vivono in coppie in cui la fedeltà sessuale non è una regola indispensabile. Vorrei aggiungere che tende ad affermarsi un’idea di moralità della vita di coppia in cui l’unico valore autenticamente indispensabile è la chiarezza reciproca, in cui cioè ciascuno dei due partner non inganna l’altro. I rischi connessi all’aids hanno ridato spazio alla fedeltà ma come forma di prevenzione. Vorrei aggiungere che spesso, al di là della fedeltà sessuale, finisce per essere fondamentale la fedeltà affettiva, in pratica il valore di fondo di una coppia gay è il volersi bene senza restringere per questo la libertà dell’altro con vincoli di nessun genere. Non sono rari i casi di ragazzi che nonostante la coppia si sia sciolta hanno mantenuto rapporti affettivi importanti con forme di solidarietà reciproca che sono i segni del persistere di un rapporto d’amore, al di là della fedeltà/infedeltà strettamente sessuale. In pratica quei pochi uomini di chiesa che pensano che l’omosessualità vissuta possa essere integrata con la fede tendono a regolamentarla sul piano sessuale in modo analogo al matrimonio ed a mettere del tutto da parte la dimensione affettiva, ma non direi neppure affettiva nel senso emotivo, ma affettiva nel senso di solidarietà di un rapporto tra gay. Tra gay non ci sono questioni legate ai figli e proprio per questo le cose sono sostanzialmente diverse dal matrimonio etero il cui modello gli ecclesiastici più aperti tendono impropriamente a generalizzare.

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Re: Chiesa ortodossa e omosessualità

Messaggio da pavlosss » mercoledì 15 agosto 2012, 2:29

progettogayforum ha scritto:Grazie pavlosss per i tuoi interessantissimi articoli. Vorrei aggiungere solo due cose. Mi è capitato al di fuori di qualunque canale formale, di parlare di questioni attinenti l’omosessualità con un esponente di una chiesa ortodossa (ometto per rispetto della privacy di scendere nel dettaglio), l’impressione che ne ho ricevuto è stata che il mio interlocutore meritasse veramente il massimo rispetto.
Conosco pure io qualche caso in cui un esponente della Chiesa ortodossa (di cui evito di dare le generalità) è pure proprietario di un locale gay! Ma questi sono casi personali mentre, come ho sottolineato, a livello di riflessione ufficiale nulla si muove.
A spiegare tanta staticità c'è senza dubbio una certa naturale indolenza balcanica ma, soprattutto, una sorta d'impotenza ad osservare le cose in modo stimolante e critico. C'è da dire che se uno tenta di farlo altri dieci gli saltano addosso e lo riducono al silenzio. E' così che funziona da quelle parti!

progettogayforum ha scritto: Vorrei aggiungere che tende ad affermarsi un’idea di moralità della vita di coppia in cui l’unico valore autenticamente indispensabile è la chiarezza reciproca, in cui cioè ciascuno dei due partner non inganna l’altro. [...]
In pratica quei pochi uomini di chiesa che pensano che l’omosessualità vissuta possa essere integrata con la fede tendono a regolamentarla sul piano sessuale in modo analogo al matrimonio ed a mettere del tutto da parte la dimensione affettiva, ma non direi neppure affettiva nel senso emotivo, ma affettiva nel senso di solidarietà di un rapporto tra gay. Tra gay non ci sono questioni legate ai figli e proprio per questo le cose sono sostanzialmente diverse dal matrimonio etero il cui modello gli ecclesiastici più aperti tendono impropriamente a generalizzare.
Sì, infatti, ma per il fatto stesso che il Cristianesimo, nella sua essenza, tende a irreggimentare la questione sessuale canalizzandone le forze in un contesto ben determinato per non farla divenire fine se stessa.
Penso che non si potrà chiedere che venga meno in quest'aspetto che è la base di ogni altra base anche se voglio essere attento nel recepire altre prospettive e motivazioni.
Purtroppo, come anche tu ti sei accorto, siamo lontani anni luce dall'ammettere quel minimo che si auspicherebbe, dando valore e dignità all'amore gay a livello ufficiale.
E questo perché esiste di fatto ignoranza sul mondo gay.
Il pregiudizio è ancora molto forte e l'equivalenza gay=malato è assai presente.

Questo è ancor più impressionante se si tiene conto che, nella sua tradizione ascetica, questa Chiesa giunge a tali raffinatezze psicologiche d'aver anticipato alcune intuizioni di Freud molti secoli prima della nascita dello psicologo tedesco. Tale ignoranza, dunque, si motiva da reale disinteresse nel voler valutare positivamente un rapporto tra ragazzi nella fedeltà e nell'amore.
Ultima modifica di pavlosss il mercoledì 15 agosto 2012, 10:27, modificato 1 volta in totale.

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Re: Chiesa ortodossa e omosessualità

Messaggio da progettogayforum » mercoledì 15 agosto 2012, 10:22

Pavlosss ha scritto "Conosco pure io qualche caso in cui un esponente della Chiesa ortodossa (di cui evito di dare le generalità) è pure proprietario di un locale gay!"
Forse non ci siamo capiti, non mi riferivo ad ecclesiastici che fanno la doppia vita o addirittura gestiscono locali gay, intendevo riferirmi a uomini di chiesa completamente dediti alla loro missione che, tuttavia, si rendono conto della enorme distanza che separa le chiese (tutte le chiese) da certe realtà e che impedice alle chiese una visione serena delle cose. In pratica o i vertici delle chiese sono totalmente ignoranti (ma dico proprio totalmente) di questioni che riguardano la sessualità (cosa certamente possibile in un ambiente dove si procede per dogmi e per principio di autorità), oppure, se hanno una capacità di vedere la realtà per quello che è, preferiscono non vedere perché gli ambientii sociali in cui agiscono sono del tutto impreparati ad aperture di quel genere. Non è un caso che le chiese che prsentanto qualche elemento di resipiscenza in questo campo sono radicate in ambienti dove l'omosessualità è una realtà che non crea nessuno scandalo. Si ha quasi l'impressione che in quegli ambienti le chiese finiscano per adeguarsi per forza all'evolzuine della società civile che altrimenti le lascerebbe indietro.

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Re: Chiesa ortodossa e omosessualità

Messaggio da pavlosss » mercoledì 15 agosto 2012, 10:36

Mi fa piacere che tu abbia parlato con gente che "non fa la doppia vita"!
Io, purtroppo, non ho visto che questa e non ne sono molto ammirato; è realmente attendibile solo un ragionamento positivo che arrivi da chi non fa la doppia vita, se non altro perché non si muove da "interesse" personale!

Quanto dici è vero.

Infatti ho modificato il mio ultimo messaggio aggiungendo alcuni particolari che forse sfuggono alla maggioranza delle persone.

Il mondo ortodosso ha - nella sua spiritualità - una tale finezza di comprensione dell'animo umano che si rimane meravigliati, se lo si paragona ad altre confessioni cristiane.

Eppure questo, che è un elemento ampiamente positivo che tu stesso hai intuito nel dialogo con un rappresentante ortodosso, giudica più severamente quel mondo quando, dinnanzi ad un amore gay, non esiste considerazione alcuna.

Ho fatto a tempo a vedere due ragazzi ortodossi che stavano evidentemente assieme, nutrivano l'uno per l'altro sentimenti di grande tenerezza e lo si vedeva ampiamente. Nell'ambiente ortodosso italiano erano tollerati con un certo fastidio. Se fossero stati nel loro paese d'origine sarebbero stati immediatamente emarginati.

So pure il caso di una signora ortodossa che ha il figlio gay (oramai quarantenne). La donna non è mai stata di costumi molto rigidi e ha di certo una certa "apertura mentale" ma solo eterosessualmente! Così quando ha scoperto che il proprio figlio è gay gli ha fatto fare un pellegrinaggio nel Monte Athos sperando che guarisse! Ovviamente il figlio ritornò com'era e allora lei gli impose di non avere alcun contatto con il mondo gay. Oggi quel figlio è il fantasma di se stesso. Lo si vede sempre in compagnia di mammà, triste e depresso per strada...

E' come dici tu: non si vuole vedere, poiché l'omosessuale è considerato alla stregua di un malato.

Forse l'unico modo è l'evoluzione della società che, nel suo insieme, porterà anche le Chiese ad assumere atteggiamenti più comprensivi.
Purtroppo le società dell'ex impero sovietico sono molto arretrate in questo (e altri) sensi.

In Grecia la situazione potrebbe essere un po' meglio ma finisce per essere analoga a causa del diffuso machismo e della doppia vita di molto clero, soprattutto archimandritale. Il prete che pratica di nascosto, poi di giorno è il più tenace oppositore alla realtà gay che cataloga tutta come "indecente" e "decadente".

Viceversa il clero che vuole farsi tranquillamente la sua doppia vita senza essere infastidito da chi lo potrebbe scoprire va all'estero.

L'Italia è dunque piena di clero di questo tipo che in qualche caso raggiunge atteggiamenti sfacciati e provocatoriamente libertini.

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Re: Chiesa ortodossa e omosessualità

Messaggio da pavlosss » sabato 9 febbraio 2013, 12:58

UN RECENTE PARERE CRISTIANO-ORTODOSSO SULL'OMOSESSUALITÀ

Jean-Claude Larchet è un noto patrologo ortodosso francese appartenente al patriarcato di Serbia. Autore di numerose opere teologiche e spirituali d'alto livello (in Italia è quasi sconosciuto) è senz'altro una delle personalità di spicco e il suo parere è decisamente autorevole, non essendo unicamente personale ma ecclesiale.
Riporto in traduzione una sua recensione su un recente libro, scritto da un sacerdote ortodosso romeno in Francia, riguardo all'omosessualità. Abbiamo l'opportunità di vedere cosa ne pensa l'uno e l'altro, dal momento che nel mondo ortodosso possono esserci approcci differenziati.

Se da un lato Jean-Claude Larchet rivela inconsistenze e fragilità nel pensiero teologico e antropologico del sacerdote romeno (fragilità e confusioni assai diffuse pure nel pensiero religioso occidentale e cattolico), dall'altro pone il discorso sull'omosessualità su un piano molto rigido: l'omosessualità viene classificata tout-court come una patologia, una malattia, con possibili nefaste ripercussioni nella società.

Il patrologo francese, mantiene dei rigidi principi sui quali dipana il suo discorso: principi ascetici anche condivisibili da un cristiano ma uniti a passi biblici letti in modo letteralistico e a passi patristici decontestualizzati poiché sicuramente lontani culturalmente dalla nostra sensibilità attuale.

Con questi rigidi principi, non fa alcuna differenza tra il libertinismo sessuale (come poteva esserci pure anticamente) e una pratica sessuale in un quadro monogamico di affetto fedele.

Il relativismo etico del mondo odierno è un dato di fatto ma non è per relativismo che un omosessuale desidera avere una relazione d'amore. Non è per aver "scelto" di essere omosessuale che desidera amare in questo modo. Si ritrova così e cerca il modo e il senso migliore per viverlo.
Queste prospettive non sono considerate. Pur di sottolineare eventuali comandi di Dio nella Bibbia su questo tema, pare dimenticarsi che la stessa Scrittura è stata scritta da uomini e subisce la cultura del tempo in cui è stata scritta.

Questa rigida visione si scontra contro un'altra evidenza: il libertinismo sessuale e ogni genere di libertinismo sconsiderato non sono necessariamente in relazione con l'omosessualità come l'autore pare suggerire, ponendola in un elenco di mali che affliggerebbero il mondo presente e minerebbero le fondamenta della famiglia tradizionale.

D'altra parte, se uno pensa che Jean-Claude Larchet sia ingenuo si sbaglia: capisce benissimo che anche un omosessuale può essere animato da altruismo e abnegazione (caratteristiche vere dell'amore), cosa che il prete rumeno da lui criticato non pare affatto riconoscere, accontentandosi di un giudizio tanto sommario quanto evidentemente ingiusto.

Ma, nonostante ciò, non attribuisce a questo affetto alcuna valenza positiva mostrando che la vera soluzione sta nella pratica ascetica, nell'abnegare questi sentimenti (visti semplicemente e solo come passioni). La conclusione della sua recensione, con la citazione del patriarca di Mosca, corona questo tipo di pensiero.

Ancora oggi, in questo Cristianesimo, animato in buona parte da una visione molto tradizionale, all'omosessualità non è concessa alcuna espressione. Sarebbe interessante se, in luogo di un teologo eterosessuale, pur stimabile e rinomato, parlasse un omosessuale ortodosso. Infatti, spesso parlano di omosessualità solo le persone che non ne sono coinvolte con tutti i riduzionismi o le distorsioni del caso.

Mi sembra significativo proporre questa traduzione, che mostra effettivamente quale sia la tendenza prevalente nell'affrontare l'omosessualità da parte dell'Ortodossia oggi.


_____________________________


Marc-Antoine de Beauregard, « Regard chrétien sur l’homosexualité », Éditions de L’Œuvre, Paris, 2013, 127 p.

Pur restando assai minoritaria, l'omosessualità da decenni diviene sempre più evidente, si diffonde e si banalizza nelle nostre società occidentali, a causa:

1) della propaganda attiva delle associazioni e delle lobby omosessuali;

2) della volontà dell'ideologia liberale (di destra e soprattutto di sinistra), in nome di una certa concezione di libertà e di uguaglianza, nel fare un istituto che sfrutti tutte le possibilità e tutte le assicurazioni previste dalla Legge che supporta le coppie sposate e le famiglie;

3) dell'appoggio dei media, soprattutto televisivi che, per ragioni di audience, valutano le minoranze devianti, sia nei reportages che nelle serie televisive e danno l'illusione della loro rappresentatività;

4) di un'ideologia filosofica (la "teoria del gender" o di genere), assai diffusa per la quale è la scelta dell'individuo e non la sua natura a definire il sesso.

Questo movimento nel suo insieme intende decolpevolizzare gli omosessuali ma, al contrario, colpevolizza coloro che non accettano di riconoscere l'omosessuale come una forma normale di sessualità per cui ogni critica sull'omosessualità e sulle rivendicazioni proprie agli omosessuali vengono tacciate di "omofobia", una sorta di amalgama che si è dimostrata in altri settori.

Già al tempo del precedente governo in Francia, le associazioni omosessuali hanno ricevuto dal Ministero della Pubblica Istruzione il privilegio di entrare nelle scuole elementari per insegnare ai bambini con cartoni animati di animali, la normalità delle relazioni d'amore tra esseri dello stesso sesso; la "teoria del genere", secondo la quale l'essere umano si definisce più per il suo orientamento sessuale personale che per la sua identità sessuale naturale, è stata introdotta ufficialmente nei licei francesi nel 2011 nei manuali SVT (scienze della vita e della terra) della classe di prima, benché, a rigor di termini, non c'entri nulla poiché si tratta di una teoria filosofica che non ha alcun carattere scientifico. Gli adolescenti che, al giorno d'oggi e in molti casi, sono senza punti di riferimento religiosi e morali, giungono a considerare l'omosessualità come il termine di un'alternativa il cui altro termine è l'eterosessualità. Questi due termini sono ugualmente possibili e legittimi e si offrono entrambi, a priori, alla loro scelta. La parola "eterosessualità", che designa la sessualità normale, è stato posta per farla sembrare come opzionale all'omosessualità, così come la parola "eteropaternalità" viene diffusa per rivelare la parentela normale (di un padre e una madre) come una semplice opzione. Sono introdotte deliberatamente altre variazioni di vocabolario per cambiare gli atteggiamenti (ad esempio, "genitori", invece di "padre e madre", "famiglie" invece di "famiglia" per includere con questi concetti gli pseudo-genitori e le pseudo-famiglie formate da coppie dello stesso sesso ...).

Il matrimonio omosessuale e la possibilità per le coppie omosessuali d'avere figli (per adozione o per la riproduzione assistita attraverso l'uso di madri surrogate) sono già divenute istituzioni in diversi paesi e sono in procinto di divenirlo in Francia, facendo così correre alla società il grave rischio d'una distruzione della cellula familiare sulla quale essa è fondata. Una moltitudine di bambini acquisiti artificialmente e cresciuti da due genitori dello stesso sesso subiscono significativi disturbi psicologici (mancanza di beneficio dal rapporto psico-emotivo e spirituale inerenti alla gravidanza e alla filiazione naturale, non riuscendo ad avere nella loro crescita psicologica, modelli d'identificazione maschile e femminile per costruirsi).

La legittimazione dell'omosessualità non è certo nuova: è esistita nella società greca e romana antica in cui l'omosessualità era più diffusa e comune che nelle moderne società occidentali e dove gli dei ci offrono pure degli esempi.

Ma questo non è qualcosa che ci possa rassicurare: il movimento attuale rappresenta un ritorno al paganesimo delle società pre-cristiane. Altri fatti lo testimoniano attualmente, promossi dalla stessa corrente ideologica che in alcune sue componenti non nasconde la sua ostilità al cristianesimo e alle religioni che hanno come riferimento l'antropologia biblica.

Legalizzazione (e quindi legittimazione sociale) dell'omosessualità, dell'eutanasia, delle droghe leggere e distribuzione dei sostituti delle droghe pesanti, hanno lo stesso effetto per gli organismi riconosciuti dallo Stato, proprio come la facilitazione e la normalizzazione dell'aborto e la promozione della cremazione.

Fanno parte dello stesso piano, applicato gradualmente (i protagonisti di ciò parlano ogni volta di un "progresso"), non solo in Francia, ma nella maggior parte dei paesi occidentali, e sostenuto dalle istituzioni europee e internazionali. Mirano a minare i valori cristiani che sono ancora il fondamento della nostra civiltà per creare, invece, un "nuovo ordine" e anche una "nuova religione" (come spiegato di recente in modo chiaro dal Ministro della Pubblica Istruzione Vincent Peillon), dove la libertà di fare tutto, il desiderio e il godimento individuale hanno la precedenza su tutti gli altri valori. Non ci sono che i cristiani per constatare la deriva della moderna civiltà occidentale. Si legga, ad esempio, l'analisi del filosofo americano Christopher Lasch nel suo lavoro fondamentale "La cultura del narcisismo".

Nel dibattito attuale sull'istituzione del matrimonio gay e la possibilità offerta dalla legge a coppie omosessuali di "avere" ed allevare dei figli, la riflessione proposta dal padre Marco Antonio Costa de Beauregard, decano delle parrocchie di Francia della Metropoli ortodossa romena, è particolarmente provvidenziale anche perché se i cattolici hanno prodotto una vasta letteratura su questo argomento, pochi ortodossi ne hanno finora parlato.

Questo piccolo libro ha tre parti.

Il primo prende in esame "il senso teologico della differenza sessuale", il secondo "l'omosessualità e la legge biblica," e il terzo l' "attività pastorale della Chiesa".
Si possono approvare il significato generale e gli intenti dell'autore, che offre un'ampia riflessione, approfondita, contemporaneamente aperta e ferma, interessante, sovente originale.
La prima parte, che mira a chiarire i fondamenti teologici e antropologici della differenza sessuale, tuttavia, è assai confusa. Volendo fondare la dimensione sessuale dell'antropologia sulla teologia stessa, l'autore si sbaglia poiché, le persone e la natura divina sono estranee alla sessualizzazione, ed è oltrepassando la sessualizzazione che l'uomo si trova pienamente unito a Dio (cfr Gal 3, 28: "In Cristo non c'è né maschio né femmina").

Nell'espressione della Genesi (1, 27: "E Dio fece l'uomo a immagine di Dio, lo fece maschio e femmina", "maschio e femmina li fece" non è preceduto da due punti (come in questo autore p. 23). Questa non è una spiegazione del concetto d'immagine, ma un'altra affermazione che aggiunge a quella precedente un altro piano. Differentemente, significherebbe che l'immagine di Dio si riduce alla differenza sessuale, il che è assurdo, sia in relazione a Dio sia in relazione all'uomo. Dire che "l'alterità sessuale, che suggerisce l'alterità delle persone, iscrive l'alterità delle Persone divine in immagine nella natura creata" (p. 23), o che "nella diversità ontologica [della differenza sessuale], contempliamo il sigillo della diversità divina" (p. 24), o che "l'unità-diversità naturale è l'immagine
dell'unità-diversità delle Persone divine o umane" (p. 25), o che "Dio ha dato la differenza sessuale all'umanità per rivelargli i sensi della differenza ontologica tra lui stesso ed essa " (p. 29) non ha assolutamente senso, poiché la diversità e l'alterità delle persone divine e umane si fondano nell'uno e nell'altro caso su altri criteri rispetto alla sessualità e sono conosciute, percepite e sentite senza di essa.

Dire che nel matrimonio, Cristo si fa l'ipostasi divina delle ipostasi umane degli sposi (p. 31) è semplicemente un errore dogmatico. Molti altri argomenti dell'autore paiono sopravvalutati e discutibili, in ragione, soprattutto, di una mancanza di rigore nell'uso dei concetti teologici e antropologici cristiani di "natura" e "ipostasi" o "persona", in relazione alla loro differenziazione sessuale.

Nella seconda parte, l'autore osserva giustamente il divieto biblico dell'omosessualità (cfr. in particolare Genesi 19, 7; Levitico 18, 22, 20, 13, Romani 1, 18-32, ai quali avrebbe dovuto aggiungere Corinzi 6, 9-10, 1 Timoteo 1, 8-11 e Giuda 7) e sottolinea l'incompatibilità di stile di vita omosessuale con il modo di vivere cristiano.
Nei suoi argomenti, l'autore fornisce, tuttavia, troppo poca importanza a ciò che è sempre stata fin dall'inizio l'essenza della critica cristiana dell'omosessualità: il suo carattere contro natura nel senso più immediato (ma che non si limita solo al piano biologico), e il fatto che si tratta di una perversione dell'ordine voluto da Dio. Le teorie che mirano a giustificare l'omosessualità, d'altronde, non si sbagliano poiché è a questa nozione di ordine naturale e al suo fondamento religioso che primariamente si fondano. Qui sarebbe stato utile citare le espressioni nette di san Paolo e riferirsi ai numerosi Padri che si sono espressi sull'omosessualità.

L'autore, inoltre, non insiste abbastanza sul primario rapporto della sessualità con la procreazione, che, anche se non la definisce esclusivamente nell'essere umano, tuttavia resta inseparabile da essa.
Inoltre, l'autore ha una visione dell'omosessualità eccessivamente riduttiva visto che la fonda psicologicamente sul narcisismo e, spiritualmente, sulla filautia (= l'amore di sé). Nell'omosessualità vi è certamente una dominante narcisistica, ma vi può anche essere un amore per l'altro che riconosce la differenza e che è accompagnato da una certa abnegazione a suo vantaggio. La critica principale che può essere mossa a questo tipo d'amore non è che è narcisistico, che non riconosce la differenza ipostatica dell'altro, ecc., ma che si tratta di un uso perverso della sessualità e della sessuazione fisica, psichica e spirituale.

Se l'approccio antropologico dell'autore è discutibile, il suo approccio pastorale, descritto nella terza parte, tuttavia, è convincente e ha la qualità d'essere al tempo stesso delicato e fermo. Si può particolarmente apprezzare la franchezza del suo appello nei riguardi degli omosessuali alla conversione e alla guarigione di cui la Chiesa fornisce dei mezzi. Un appello, tuttavia, esente da ogni condiscendenza e da ogni fariseismo, ma improntato da compassione e amore fraterno. Le testimonianze di padre Mar-Antoine, presenti nella sua postfazione, sui risultati positivi della sua attività pastorale sono, in questo senso, particolarmente interessanti e commoventi. Padre Marc-Antoine classifica giustamente l'omosessualità tra le passioni. Ha ragione di porre in parallelo questa passione con quelle sessuali che possono influenzare una vita normale coniugale e, si noti, che tutte le passioni e non solo l'omosessualità apportano un peso al determinismo biologico, sociale e psicologico. Gli omosessuali sono invitati - non in uno spirito di condanna o giudizio ma d'amore fraterno - alla conversione e alla lotta ascetica allo stesso modo di chiunque ha comportamenti che si discostano dalla vita cristiana ideale (riguarda, in realtà, tutti i cristiani poiché nessuno è perfetto e tutti devono affrontare le passioni legate alla natura decaduta).

Hanno bisogno di trovare nei loro sforzi il sostegno del clero e della comunità, e devono avere la certezza che l'onnipotenza della grazia è in grado di vincere le più forti tendenze e pulsioni e le abitudini più radicate nell'uomo, di qualsiasi natura siano.

E' con amore e compassione che la Chiesa dovrebbe accogliere gli omosessuali desiderosi di conformarsi al modo di vivere cristiano per trovarvi il vero compimento di loro stessi. "E' solo in un clima di compassione - scrive padre Antonio - che può essere sentita la chiamata alla conversione e il progetto terapeutico proprio alla Chiesa, luogo di guarigione, E' solo in un tal clima che la persona può riconoscersi malata e accedere al pentimento (...) Il vescovo e il sacerdote saranno l'immagine del Buon Pastore che è Cristo stesso se si dedicheranno a questa persona per aiutarla a scoprire l'incompatibilità fra gli atti omosessuali e la vita cristiana e come l'omosessualità sia un impasse, spiritualmente parlando".
Queste considerazioni richiamano le direttive date al clero dalla Chiesa ortodossa in America (OCA): "Gli uomini e le donne che provano dei sentimenti o delle emozioni omosessuali devono essere trattati con la comprensione, l'accoglienza, l'amore, la giustizia e la misericordia date a tutti gli esseri umani. Le persone con tendenze omosessuali dovrebbero essere sostenute (...) per scoprire le cause specifiche del loro orientamento omosessuale e lavorare per superare gli effetti nefasti nella loro vita. Le persone che combattono contro la loro omosessualità che accettano la fede
ortodossa e si sforzano di vivere in un modo di vita ortodosso possono essere accettati come fedeli nella Chiesa a fianco di chi crede e combattere spiritualmente. Coloro che, istruiti e consigliati sulla dottrina cristiana ortodossa e sulla vita ascetica, vogliono ancora giustificare il loro comportamento non possono partecipare ai misteri sacramentali della Chiesa, dal momento che non sarebbe loro utile, ma dannoso. Si deve dare aiuto a coloro che sono in relazione con le persone di orientamento omosessuale, per aiutarle nei loro pensieri, sentimenti e azioni nei confronti dell'omosessualità. Tale assistenza è particolarmente necessaria per parenti e amici di persone con sentimenti e tendenze omosessuali ma è anche necessaria per i pastori della Chiesa".

In ogni caso, secondo lo spirito cristiano, una persona deve essere amata per se stessa e in Dio incondizionatamente, a prescindere dal suo stile di vita, di comportamento e dai suoi errori. Odiare il peccato, ma non giudicare o condannare la persona che lo commette e considerarla invece con amore, questo è il principio fondamentale del cristianesimo che deve essere applicato qui come altrove.

Pur evitando nelle relazioni tra le persone qualsiasi forma di discriminazione, i cristiani hanno il diritto e il dovere di esprimere (senza timore d'essere insultati dalle lobby cristianofobe) le proprie convinzioni.

Durante la sua visita al Consiglio d'Europa, il 2 ottobre 2007, il Patriarca Alessio II ha detto: "La Chiesa ortodossa sente l'amore e la compassione per il peccatore, ma non per i suoi peccati. Questo è l'insegnamento morale della Bibbia. Il peccato è l'adulterio, l'infedeltà, il sesso irresponsabile e tutti gli atti che incidono sulla coscienza dell'uomo. Mentre alcuni sono impegnati in una propaganda dell'omosessualità, è dovere della Chiesa dire dove si trova il bene, perché l'omosessualità è una malattia che altera il carattere di un uomo e non è una patologia della quale si possa parlare con distacco".

L'opera ha la prefazione del Metropolita Joseph e comprende, in appendice, una sua dichiarazione molto importante fatta a nome dell'Assemblea dei vescovi ortodossi francesi durante l'udienza ai rappresentanti delle religioni presso l'Assemblea Nazionale il 29 novembre che evidenzia i rischi determinati alla società dal progetto governativo attuale di legalizzare il matrimonio e l'adozione in favore delle coppie omosessuali.

http://orthodoxologie.blogspot.it/2013/ ... toine.html

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