INSEGNARE NELLE SCUOLE UNA MORALE LAICA

L'impegno dei Gay per una morale autenticamente laica
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los
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Re: INSEGNARE NELLE SCUOLE UNA MORALE LAICA

Messaggio da los » domenica 18 agosto 2013, 11:59

...è soltanto un continuo concorso di discolpe.
La famiglia da la colpa alla scuola....la scuola dice che non tocca agli insegnanti ma ai genitori....insieme danno tutti la colpa alla società....
Non potrà mai esistere una seconda possibilità.

476
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Re: INSEGNARE NELLE SCUOLE UNA MORALE LAICA

Messaggio da 476 » martedì 20 agosto 2013, 23:50

In molte delle concezioni usate in epoca “moderna” si parte dall’individuo. Viene introdotto dotato di tutte le sue caratteristiche e di una propria identità. Da dove vengono, come arriva a conoscerli, eventualmente a modificarli e costruirli sono tutti problemi che sono stati studiati ma si è lungi dall’essere arrivati a una vi-sione ragionevolmente sistematica, delle loro interrelazioni ed implicazioni reciproche. Nell’impostazione “classica”, a cui mi sembra si rifaccia la tradizione cattolica, si parte invece dal concetto di persona.
Devo premettere che non conosco abbastanza della costruzione sottostante. Qualche volta sospetto che non sia neppure stata elaborata un gran che o forse quel che si è fatto in questo campo si ritrova solo nella morale vecchia, ormai abbandonata per amore dello “impegno nel sociale”. Sospetto che molte delle cose che dice mi troverebbero in disaccordo e non sono sicuro che abbiano tenuto il passo coi progressi nelle conoscenze scientifiche. Conosco troppo poco la Chiesa per parlarne con una qualche cognizione di causa ma confesso di rimpiangere quella medioevale che ci ha consentito così tanti progressi in campo logico, qualche volta spin-gendosi un po’ troppo in là e cadendo nel tragico, coi roghi, o nel ridicolo, sul sesso degli angeli, ma i teore-mi di incompletezza ed indecidibilità erano molto di là da venire. Mi sembra che, dopo Lutero, abbia avuto molta paura della scienza e della razionalità, nonostante l’opera degli ordini vocati principalmente al suo svi-luppo intellettuale. Non che le cose siano andate meglio nel mondo protestante, forse Inghilterra esclusa. E il fatto che molti dei libertini e razionalisti francesi abbiano studiato e si siano formati in scuole cattoliche, molti dai gesuiti, deve aver dato da pensare.
Al contrario dell’individuo, la persona nella concezione cattolica, o forse solo nell’idea che io me ne sono fatta, non è mai concepibile isolatamente. Insiste, soprattutto di recente ma fino a poco tempo fa la cosa era data per scontata, sul fatto che riceve dai genitori, ma, secondo la sana dottrina, non solo da essi, la vita stes-sa e, sebbene non lo sottolinei un gran che, il proprio patrimonio genetico. Cosa questo implica però non lo sappiamo bene ancor oggi, come non sappiamo se c’è quello a cui allude la dottrina. Il Salmista dice: “mette-rò dentro di voi un cuore di carne”. Intende la “vostra natura”? Sono innati anche alcuni sentimenti?
Insiste molto sull’educazione e sulla crescita attraverso cui eventualmente si elaborano e si fanno propri i-dentità e metri di giudizio, e li si comunicano e trasmettono ad altri. Il fulcro viene posto sulla famiglia e sul ruolo dei genitori. Anche qui, affogo nell’ignoranza.
Restando in ambito laico, una volta si insisteva su cose apparentemente banali, dall’allattamento ad insegna-re l’uso del vasino, al modo in cui si insegna a distinguere capricci da bisogni, a un minimo di buona educa-zione, come quando e dove si può parlare a voce alta e gridare e dove si deve stare in silenzio, il rispetto per gli altri e per i luoghi. Soprattutto in quest’ambito si riteneva che si sviluppasse la fiducia nelle, o la sfiducia ed il timore delle, figure di riferimento. Oggi, soprattutto per i poveri mentre una volta accadeva solo ai ric-chi, tutte queste cose sono insegnate fuori dalla famiglia, all’asilo nido in cui alcuni finiscono dai 6 mesi. Quelle dei genitori, oltre a quelle dei bambini, non sono scelte libere, almeno in gran parte dei casi. Ma non sono sicuro che si sia tenuto conto di tutte le loro implicazioni. Certamente i bambini sono costretti a “socia-lizzare” forse prima di quanto accadrebbe altrimenti (ma anche qui bisognerebbe differenziare a seconda de-gli ambienti e delle condizioni storiche) ma non sono sicuro che, ad esempio la “autorità” di chi ti pone dei vincoli abbia lo stesso valore e significato, che venga riconosciuta, entro certi limiti compresa, giustificata ed introiettata se la identifichi in qualcuno che ti vuole bene, che interagisce con te per amore, o in qualcuno che lo fa per mestiere, sovente solo per guadagnarsi da vivere, anche se ci mette tutta la professionalità del caso.
Secondo alcune teorie è dai genitori e dalla microsocietà in cui vivono che imparano a fare i conti con la re-altà, imparano a distinguere e valutare i rischi e quale atteggiamento assumere nei loro confronti, a vedere il mondo come un insieme di eventi casuali e incontrollabili o invece dotato di regolarità e perciò il ruolo delle conseguenze di ciò che si fa, a soppesare costi e vantaggi presenti rispetto a quelli attesi nel futuro e a sentirsi responsabili della propria vita e probabilmente come rapportarsi alle altre persone, come scegliere quelle con cui interagire.
Sto probabilmente dicendo cose insensate. Ma, se esistono, interconnessioni di questo tipo rendono difficile stabilire il significato e l’estensione della libertà del singolo dal momento che carattere ed identità vengono largamente forgiate, almeno come base di partenza, da altri. Ma, se questo è vero nell’infanzia e nell’adole¬scenza, in una certa misura è vero anche nel resto della propria vita. La propria evoluzione dipende fortemen-te dalle esperienze via via fatte e forse soprattutto dalle persone incontrate. Questo significa che, spingendo le cose al limite, qualunque cosa si faccia, tranne forse ciò che si pensa ma non la comunicazione di ciò che si è pensato, potenzialmente ha effetti su tutti coloro che ne vengono a conoscenza. Forse stanno in queste cose, nell’assenza di una sfera personale esclusivamente propria e isolata da tutto il resto, le radici dell’idea cattolica della contagiosità tanto del bene quanto del male e la difficoltà a distinguere reato da peccato.
L’unico diaframma è l’autonomia di giudizio individuale ma anche questa si sviluppa gradualmente e non è chiaro quanto sia solida e robusta. Credo che il cattolicesimo sia un po’ troppo pessimista su questo punto anche se c’è sicuramente nella dottrina una responsabilità personale nella formazione della propria identità e un riconoscimento, “adeguatamente” circoscritto, al primato della propria coscienza. Ma, a parte i sentimenti ed i valori eventualmente innati, sappiamo poco su come si trasmettono metri di giudizio e modi di vedere la realtà, su cosa induce a farne propri alcuni e a rifiutarne o adattarne altri. Sappiamo poco sul processo attra-verso cui si acquisisce un’identità, su cosa incide sui risultati a cui esso porta, su cosa è controllabile dal sog-getto interessato e cosa non lo è e di cui magari non è neppure consapevole. A parte i genitori e la famiglia, chi è, e dovrebbe esserci, qualcuno interessato alla formazione dell’identità di un’altra persona? Chi altri, so-prattutto nel caso in cui la famiglia venga meno in questo ruolo, come ed entro che limiti può o addirittura deve intervenire nel processo? Ritengo che l’esempio sia il mezzo principale di trasmissione, prima e forse molto più del ragionamento e dell’insegnamento, ma non so se questa sia la posizione della Chiesa, vista l’insi¬stenza sulla predicazione.
Purtroppo, non conosco nulla della proposta del Ministro Peillon. Non so l’età a cominciare dalla quale l’insegnamento dovrebbe essere impartito. Sarei piuttosto contrario se cominciasse prima dei 12 o 13 anni. Per quanto si possano avere grosse delusioni, la formazione dell’identità dovrebbe essere responsabilità dei genitori e della microsocietà in cui un ragazzo è inserito, anche se purtroppo non sempre sembrano essere adeguatamente consapevoli e forse essere loro stessi vittime di un processo carente o distorto. Scaricarli di essa con l’idea che provvede la scuola mi sembra brutto, anche se può essere (ma spero di no) il massimo che si può fare. Prima di quell’età, forse non si ha ancora un’identità e, senza di essa, cos’è la libertà, l’autonomia e la responsabilità? Temo molto lo spostamento della responsabilità per la formazione dell’identità. Un intervento in campo morale, per quanto laico, dello stato mi fa comunque paura. Mi chiedo che tipo di “programmi” si possano adottare per un insegnamento di questo tipo, che formazione debbano avere gli insegnanti e in cosa dovrebbe consistere il loro “insegnamento”. Il fatto che, bene o male che sia, la catechesi della Chiesa non possa essere considerata un conclamato successo mi induce a un moderato pessi-mismo sulla sua efficacia.
A me sembra che sul concetto di “natura” la Chiesa dovrebbe tornare a riflettere, dovrebbe tornare a pensare a quello di “persona” (che preferisco a quello di individuo), mettendo un po’ da parte le preoccupazioni pa-storali in cui credo che abbia anche ecceduto (se è possibile, data la concezione che ha di persona), ma non sono cose di cui possiamo disfarci senza costi. E non sono sicuro che su questi punti nella morale laica ci siano risposte soddisfacenti.

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Re: INSEGNARE NELLE SCUOLE UNA MORALE LAICA

Messaggio da progettogayforum » mercoledì 21 agosto 2013, 1:27

Grazie di questo bellissimi commento 476, l''ho letto col massimo interesse, è una cosa serissima e spinge molto a riflettere. Devo dire che proponi problemi che meriterebbero uno studio antropologico e sociologico molto approfondito. Non so se la chiesa abbia mai affrontato quel tipo di problemi ma penso che per la chiesa sia difficile uscire dalla autoreferenzialità, basta pensare che per capire la realtà omosessuale pretendono di partire dalla sacra scrittura e dai padri della chiesa. Quanto a me … laico, ok, ma non antireligioso, il cristianesimo dei Vangeli, che ha poco a che vedere con la dogmatica ecclesiastica, contiene principi molto profondi e apre a speranze di senso nelle quali mi piacerebbe credere. Quando insisto sul concetto di laicità intendo dire che la chiesa ha perso alcuni valori di fondo, come il rispetto di chi non crede e spesso anche di chi crede e certe incrostazioni hanno finito per essere più importanti dell’amore del prossimo e il principio di autorità si è sostituto ad una fede adulta e si è imposto a totale danno della libertà della coscienza. Se non cadrà il governo, si andrà a breve a discutere della legge contro l’omofobia. Vedere che la chiesa fa quadrato per evitare una simile legge o per svuotarla dall’interno negando l’evidenza dell’assoluta urgenza di simili provvedimenti, sulla base di ragionamenti di falso diritto e di falsa difesa della libertà di parola, mi porta a spendere personalmente il massimo impegno perché, anche con gli scarsi strumenti di Progetto, si possa chiarire al più alto numero di persone dove stanno la coscienza, la libertà e il rispetto del prossimo. Per me l’impegno in una direzione laica è un impegno morale profondo, non è un impegno contro la religione e nemmeno contro questo papa che anche se è meno sussuofobo del precedente ha comunque una visione pretesca (non lo dico come insulto ma come dato di fatto) della sessualità e della morale che non ha nulla a che vedere con la realtà. Nessuno è meno libero di un papa, per un verso ha i gruppi gay come Progetto (non le lobby gay, che sono solo in Vaticano, dove non c’è libertà) che aspettano ogni suo discorso per impallinarlo, e dall’altro ha le lobby interne della chiesa che tentano di fargli fare solo il burattino vestito di bianco, un papa non può pensare in modo autonomo, non se lo può permettere, è il simbolo di qualcosa che a parere di molti è soprattutto una istituzione che non ha più molto a che vedere col messaggio di Cristo. Povero papa, chissà che pure lui non si senta a disagio in abiti che gli stanno molto stretti. Francamente non saprei proprio rispondere ai grandi interrogativi che mi prospetti sul senso sella libertà, ma io vedo ogni giorno il disagio di tanti ragazzi ed è un disagio profondo, non ne ha colpa solo la chiesa, ma chi si dice vicario di Cristo quando spende la sua autorità dovrebbe farlo con la dolcezza che Cristo usava e soprattutto dovrebbe capire che la fede è la sua risposta alle grandi domande metafisiche ma è una risposta tra le tante possibili e che solo la libertà e il rispetto reciproco (che non è compatimento o perdono, parola che in certi contesti suona quasi offensiva) possono essere valori in cui dovremmo riconoscerci tutti.

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