Eutanasia secondo R.Dawkins,U.Veronesi,A.Morelli,C.Flamigni

L'impegno dei Gay per una morale autenticamente laica
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Tom
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Eutanasia secondo R.Dawkins,U.Veronesi,A.Morelli,C.Flamigni

Messaggio da Tom » giovedì 19 settembre 2013, 2:12

So che questo argomento esula dai temi del sito, ma è un tema che mi sta particolarmente a cuore. Di recente ho provato il dolore straziante di vedere un parente stretto mangiato dal cancro e immobilizzato su un letto di ospedale con tre tubi di drenaggio di cui uno nello stomaco e uno nel fegato. Malgrado questo parente sia stato lucidissimo fino alla fine non so se era consapevole di stare per spegnersi o se l'abbia volutamente nascosto per evitarci un'ulteriore sofferenza. Se mi fossi trovato io in una condizione simile avrei urlato con tutte le mie forze di desiderare l'eutanasia e se ho descritto dettagli molto sgradevoli e tristi (che continuano a ripresentarsi martellanti nella mia mente) è proprio perché penso che chi non ha vissuto una situazione analoga non può capire del tutto quanto per me sia importante l'argomento. Come per l'omosessualità, la Chiesa Cattolica vuole anche su questo tema imporre indistintamente a tutti, cattolici e non, il suo punto di vista. Ho già parlato della questione in un altro post: viewtopic.php?f=73&t=3054&start=9
Tanto per citare due esempi banali, ricordo che nel 2005 il Cardinale Ruini, che aveva dichiarato di aver preso personalmente la decisione di negare il funerale cattolico a Piergiorgio Welby, disse anche «Io spero che Dio abbia accolto Welby per sempre, ma concedere il funerale sarebbe stato come dire "il suicidio è ammesso"». A parte il fatto che suicidio e eutanasia sono cose diverse, volendo usare lo stesso argomento del Cardinale deduciamo che la Chiesa ammette la dittatura visto che ha concesso funerali cattolici a Pinochet e Franco. Giovanni Paolo II ha definito l'eutanasia un grave male morale, incompatibile col rispetto per la dignità umana, una violazione della legge di Dio. Come avevo già scritto nel post sopra mi chiedo con quale autorità il Dio di Wojtyla si arroghi con tanta protervia di intromettersi nel mio privato come se fosse lecito e dovuto. Io non sono cattolico, non ho mai sottoscritto le regole cattoliche, come rispetto la decisione di chi non desidera per sé l'eutanasia respingo ed esecro con decisione coloro che vogliono in nome del loro Dio decidere per me anche su una questione tanto personale su cui nessuno dovrebbe interferire. Non ho alcuna intenzione di agonizzare fra atroci sofferenze per compiacere un Dio in cui non credo: voglio essere proprietario almeno della mia carcassa! Fra l'altro Wojtyla stesso il giorno prima di spegnersi aveva rifiutato di essere riportato in ospedale...

Riporto qui di seguito alcuni brani sull'argomento. Il primo è tratto dal libro "L'illusione di Dio" di Richard Dawkins:

Dai sondaggi risulta che il 95 % della popolazione degli Stati Uniti è convinta di sopravvivere dopo la morte. A parte gli aspiranti martiri, non posso fare a meno di chiedermi quanti moderati religiosi che affermano di credere nell’aldilà ci credano davvero in cuor loro. Se fossero realmente sinceri, non dovrebbero comportarsi tutti come l’abate di Ampleforth? Quando il cardinale Basil Hume lo chiamò al suo capezzale e gli annunciò che stava morendo, l’abate esclamò, felicissimo: «Congratulazioni! Che bella notizia. Vorrei poter venire anch’io con lei». L’abate era (pare) un sincero credente, ma l’aneddoto cattura la nostra attenzione perché è talmente raro sentire parole e reazioni del genere davanti a un letto di morte che ci viene quasi da sorridere. Mi torna in mente quella vignetta in cui una giovane donna completamente nuda marcia con il cartello «Fate l’amore, non la guerra» e un
passante esclama: «Oh, questo sì che si chiama essere sinceri!». Perché i cristiani e i musulmani non dicono tutti, come l’abate di Ampleforth, «Congratulazioni» quando sentono che un amico sta morendo? Perché una pia donna che apprende dal medico di avere solo pochi mesi di vita non si illumina, prefigurando la morte? Non dovrebbe essere felice come se avesse vinto una vacanza alle Seychelles e dire: «Non vedo l’ora»? Come mai i credenti che le fanno visita sul letto di morte non le consegnano tanti messaggi per i devoti amici e parenti già morti («Salutami tanto lo zio Robert quando lo vedi»)?
Perché le persone religiose non parlano così al capezzale dei moribondi? Può essere che in cuor loro non credano a tutte le cose in cui fanno finta di credere? Oppure ci credono, ma temono l’iter del morire. Per una buona ragione, dato che la nostra specie è l’unica a cui non sia concesso andare dal veterinario per porre fine senza dolore al suo travaglio. Ma allora perché sono i credenti a fare la più rumorosa opposizione all’eutanasia e al suicidio assistito? Se si ispirano al modello di morte «abate di Ampleforth» o «vacanza alle Seychelles», non sarebbe logico aspettarsi da loro che fossero i meno indecorosamente attaccati alla vita terrena? Invece si può scommettere una bella somma che, ogniqualvolta si incontrano persone furiosamente avverse all’eutanasia o furiosamente ostili al suicidio assistito, siano religiose. La ragione ufficiale è forse che qualsiasi forma di soppressione della vita è peccato, ma perché definirla peccato se si crede sinceramente di stare accelerando un viaggio in paradiso?
Il mio atteggiamento verso il suicidio assistito, invece, si ispira ad una osservazione di Mark Twain. Essere morti non sarà diverso dall’essere non nati: sarò com’ero all’epoca di Guglielmo il Conquistatore, dei dinosauri o delle trilobiti. Non c’è niente da temere in questo. Ma, se non si ha fortuna, il processo di cessazione della vita può ben comportare disagio e dolore: il tipo di dolore da cui, come in un’appendicectomia, l’anestesia generale ci difenderebbe. Se il nostro cane sta morendo tra mille tormenti, veniamo accusati di maltrattamento se non chiamiamo il veterinario che gli somministri una dose letale di anestetico. Ma se il nostro medico rende l’identico, misericordioso servizio a noi mentre moriamo tra mille tormenti, rischia di essere incriminato per omicidio. Quando sarà per me il momento di morire, vorrei che la mia vita fosse asportata in anestesia generale, proprio come fosse un’appendice malata. Ma non mi sarà concesso quel privilegio, perché ho la sfortuna di appartenere alla specie Homo sapiens anziché, per esempio, alle specie Canis familiaris o Felis catus. O meglio, mi toccherà sopportare i tormenti dell’agonia se resterò in Inghilterra, mentre potrei usufruire dell’anestesia se mi trasferissi in Stati più illuminati come la Svizzera, l’Olanda o l’Oregon. Perché questi Stati illuminati sono così rari? Soprattutto perché perdura una forte influenza religiosa.
Ma non c’è una bella differenza tra farsi asportare l’appendice e farsi asportare la vita dirà magari qualcuno. No, non c’è se si è già in punto di morte. E non c’è se si crede sinceramente nell’aldilà. Se si crede nell’aldilà, la morte rappresenta solo il passaggio da una vita all’altra. Se questo passaggio è doloroso, non ha senso affrontarlo senza anestesia, come non ha senso affrontare l’appendicectomia senza anestesia. A rigor di logica, dovremmo essere noi laici, che vediamo la morte come termine anziché come passaggio a un’altra vita, a opporci di più all’eutanasia o al suicidio assistito. Invece siamo quelli che li sostengono?


Consiglio a tutti il bellissimo libro "Il diritto di morire, la libertà di un laico di fronte alla sofferenza" di Umberto Veronesi. Ci sono tanti passaggi bellissimi, riporto solo la storia di Vincent Humbert, molto cruda ma che proprio per questo può spronare chi è ancora scettico.

Un solo piccolissimo movimento, fatto con un pollice. Era tutto ciò che restava a Vincent Humbert, un ragazzo francese di ventidue anni, che tre anni prima per le lesioni riportate in un terribile incidente stradale, era rimasto tetraplegico, cieco e muto. A parte quella pressione del pollice, la sua era la situazione, a cui ho già accennato, definita Locked-in Syndrome: un individuo rimane "murato" entro il proprio corpo. Ricoverato in ospedale dal giorno dell'incidente, Vincent era in piena coscienza e udiva. Poteva ancora comunicare. La madre gli recitava le lettere dell'alfabeto, e quando arrivava a quella giusta il ragazzo lo segnalava con quella lievissima pressione. Così Vincent era riuscito a dire alla madre che non voleva più vivere, anche a far arrivare al presidente Chirac una lettera in cui chiedeva che gli venisse riconosciuto il diritto di morire.
Descriveva la sua situazione con un tremendo realismo: "Sono due anni che sono in questo letto a torcermi di dolore, a chiedere che mi si gratti il naso quando mi fa impazzire dal prurito... Vorrei talmente trovare un modo per crepare, per andarmene prima di diventare cattivo..." Il presidente francese gli rispose con una lettera in cui gli testimoniava compassione e solidarietà, ma nulla di più. E Vincent era furioso, disperato.
Così nel Settembre 2003 la madre decise di fare per il figlio quello che i medici non potevano fare e gli pratico una iniezione con un cocktail di potenti barbiturici. Con il pieno consenso del figlio che le disse: "è il giorno più bello della mia vita". Ma un medico arrivò nella camera, vide che Vincent aveva perso conoscenza e lo portò in rianimazione. I medici del reparto di terapia intensiva gli prestarono soccorso ma poi desistettero. Comunicando una "decisione collegiale" il primario Frederic Chaussoy fece una dichiarazione: "Se ci si pone la questione di chi ha dato la morte a Vincent Humbert io rispondo che sono io, non è la signora Humbert". Poi il medico spiegò con grande coraggio: "Si sarebbe potuto dire che aveva avuto una complicazione, un arresto cardiaco. Si sa molto bene mentire, lo si fa regolarmente e si sarebbe potuto continuare in questa tradizionale ipocrisia. Ma lì era meglio dire la verità. Allora la si è detta, prendendocene la responsabilità. Perché sapevamo che il ragazzo aveva chiesto di morire e non si sarebbe voluto trovare in rianimazione".


Voglio segnalare un video in cui Anne Morelli, studiosa delle religioni e della laicità parla del movimento laico in Belgio:
https://www.youtube.com/watch?v=8g8O4VuBiOc
Al tempo 28:50 c'è un breve accenno alle leggi per i diritti degli omosessuali in Belgio.
Al tempo 41:05 si parla di eutanasia in Belgio, secondo paese dopo l'Olanda a legalizzarla. Si tratta di leggi serissime, massimamente umane e studiate nei minimi dettagli.

Per concludere suggerisco più di ogni altra cosa il bellissimo discorso di Carlo Flamigni, medico, scrittore, membro del Comitato Nazionale di Bioetica e Presidente onorario Uaar. Flamigni tratta un tema importantissimo che raramente viene messo in luce. Lo scopo dell'eutanasia non è solo quello di evitare di essere sopraffatti dalla sofferenza, ma c'è un problema ancora più profondo che è quello della dignità: invito a guardare il video che segue a partire dal tempo 4:16.
https://www.youtube.com/watch?v=I0XHyI0FEtU
Inutile dire che condivido pienamente anche l'esortazione finale.
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Re: Eutanasia secondo R.Dawkins,U.Veronesi,A.Morelli,C.Flami

Messaggio da Tozeur » giovedì 19 settembre 2013, 18:20

Caro Tom penso che solo chi ha vissuto certe situazioni in prima persona può capire veramente e dire la sua. Spesso alcuni rappresentanti della chiesa e non solo criticano, giudicano, protestano chi non segue il loro operato per poi contraddirsi quando le cose magari le vivono in prima persona (basta vedere l'episodio di g.p II citato da te). Penso sempre a mio padre, forte cattolico contrario all'eutanasia , che, quando vide suo fratello in coma e tenuto in vita dalle macchine e dai farmaci cambio completamente opinione sull'eutanasia
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Re: Eutanasia secondo R.Dawkins,U.Veronesi,A.Morelli,C.Flami

Messaggio da progettogayforum » giovedì 19 settembre 2013, 19:21

Non si può che condividere, l'eutanasia non è un suicidio assistito o una fuga dalle proprie responsabilità, ma è un modo di evitare le sofferenze atroci e senza scopo che in certi casi precedono la fine. Se è lecito rinunciare all'accanimento terapeutico a maggior ragione deve essere lecito morire con dignità. Fino a pochi anni or sono ai malati terminali non era concesso l'accesso alla morfina per il rischio di assuefazione, oggi le cure palliative sono considerate fondamentali anche se non hanno valore terapeutico perché consentono di vivere meglio fino alla fine.

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Re: Eutanasia secondo R.Dawkins,U.Veronesi,A.Morelli,C.Flami

Messaggio da Tom » giovedì 11 dicembre 2014, 21:05

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