Un armadio da abbandonare

La difficoltà di uscire allo scoperto
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Chimera
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Un armadio da abbandonare

Messaggio da Chimera » giovedì 10 gennaio 2013, 18:01

Come avevo accennato, eccomi qua a scrivere un post per raccontarvi un po' di me e per ricevere un vostro commento, un'opinione, una critica, un suggerimento, una battuta, un insulto - quello che volete! ;) Spero di non risultare troppo tedioso: sebbene ami anche la concisione, tendo ad essere prolisso in certe occasioni.



La mia situazione magari non si distinguerà molto per grande particolarità, ma devia un po' dalle molte di coloro che si sono scoperti gay (spesso perché innamoratisi di un ragazzo) e sono alle prese con le prime fasi dell'accettazione di sé o sono ancora confusi sul proprio orientamento. E tuttavia, credo che anche quella che m'affligge sia una questione di accettazione, o meglio, di accettazione profonda. O comunque di qualcosa di profondo sicuramente si tratta! xD

Gli anglosassoni dicono che, una volta fatto un coming out più o meno generale e conquistata la possibilità di vivere serenamente e apertamente ciò che siamo e la nostra omosessualità, si è out of the closet. Ecco, al momento io mi ritrovo con un piede ancora dentro l'armadio ed uno già fuori, fermo lì in una posizione sospesa, abbastanza ridicola, mica tanto scomoda dopo tutto, ma tediosa decisamente. Come se fossi lì davanti all'armadio, le porte aperte - non spalancate, ma comunque aperte -, e potendo guardare dentro vedessi camicie e cravatte, e nonostante ciò continuassi a desistere dal togliermi quell'orribile, infeltrito e consunto maglione color prugna che tanto a lungo ho portato e cui sono tanto, pigramente abituato, e dall'indossare quei nuovi desiderabili panni. Passatemi, per favore, questa rozza metafora d'abbigliamento. ^^ Cerco di spiegarmi meglio.

Ho 22 anni e sono nel bel mezzo della mia carriera - e che carriera! xD - universitaria. Da circa due anni mi sento e mi ritrovo bloccato, dopo un "inizio" abbastanza promettente sulla strada del mio personale coming out, fermo in una situazione insoddisfacente per me stesso ed odiosa per tutti i piccoli e men piccoli problemi ad essa connaturati; situazione cui però ho fatto ormai l'abitudine e che mi è quasi diventata familiare con la sua rassicurante routine. E mi scopro ad essere incapace di trovare o cogliere da questa frustrata condizione la forza di volontà per marciare oltre. Sebbene infatti alcune cose siano cambiate, anche ultimamente, fuori di me, sento che ben poco è cambiato dentro di me. Come dicono due versi di una canzone degli Evanescence:

I'm so tired of being here
Suppressed by all my childish fears


Mi sono scoperto omosessuale attorno ai 14 anni; prendere consapevolezza di ciò e armonizzarlo dentro di me è stato un processo graduale ma, tutto sommato, rapido (conclusosi verso i 17 anni), un processo che non mi ha scatenato conflitti interiori drammatici del tipo: «Non è possibile! Perché a me!? Devo essere etero, non devo essere gay. Non posso essere gay!» e simili. No, non ho mai avuto pensieri o problemi del genere (pur riconoscendo che se fossi etero probabilmente sarebbe tutto più semplice), anzi, una volta raggiunta la piena consapevolezza, la cosa mi ha fatto quasi piacere, ho cominciato ad apprezzare l'idea e ad essere - devo ammetterlo - quasi compiaciuto – se non stuzzicato – al (vanitoso) pensiero di costituire l'"eccezione" ad una "regola" fin troppo comune. Ma tutto ciò aveva luogo dentro di me, nella mia mente, nei miei pensieri; fuori le cose e la maschera rimanevano le stesse. Ancora oggi, mi soddisfa come vivo la mia omosessualità e la mia personalità interiormente, ma non come le vivo esternamente, nel mondo là fuori. E alla fine non possiamo essere solo ciò che pensiamo, ma anche ciò che facciamo, no? (Quest'ultima cosa forse è in contraddizione con il senso di ciò che vi sto raccontanto, ma tant'è).

Diversamente da molti - e non so se ciò sia stato un bene o un male -, non ho mai cercato di combattere interiormente la mia inclinazione né ho mai avuto storielle ("di prova"), storie o relazioni con una ragazza, dal momento che il gentil sesso mai ha - come dire? - mosso... i miei appetiti. ;) Né sono stato in balia di ambienti particolarmente ostili, sia in casa che a scuola: alle medie ed al liceo - che mi ricordi - mai mi hanno tacciato di essere frocio, insultato o bullizzato, quasi nessuno ha mai neanche sospettato la cosa. E tuttavia ho vissuto l'adolescenza - come per molti - in una condizione di costrizione (per una parte autoimposta - credo -, vista la non particolare ostilità dell'ambiente intorno) e mi sono a lungo nascosto.

D'altronde, tralasciando una o due cottarelle trascurabili, nella mia adolescenza non vi è mai stato un ragazzo di cui mi sia innamorato o che m'abbia "fatto battere il cuore", e tantomeno, quindi, che m'abbia così "illuminato", accompagnato o sospinto nella personale elaborazione della mia omosessualità.

Sono sempre stato un ragazzo – possiamo dire – introverso e mi sono spesso chiesto se questa mia introversione sia la contorta conseguenza del mio essere omosessuale e del fatto che, forse, nel profondo della mia psiche, dietro ai sipari intellegibili del pensiero razionale (e vanitoso), io non abbia ancora accettato a pieno il mio orientamento sessuale e tutto quello che ne consegue. Oppure se, invece, le due cose (la mia introversione e la mia omosessualità) non siano in realtà assolutamente indipendenti e slegate l'una dall'altra, e se la prima, condizionando indistintame ogni cosa che vivo, finisca per forza per coinvolgere, tra gli altri, il mio lato omosessuale, e se essa avrebbe esercitato ugualmente tutto questo peso anche nel caso fossi stato etero. Francamente propenderei per tale seconda ipotesi, sebbene non abbia al riguardo alcuna relativa certezza, essendo solo relative e mai assolute le certezze concesse agli uomini. Particolarmente introverso, tra l'altro, lo sono con gli altri maschi - non so se perché sono essi l'oggetto del mio desiderio o per cos'altro -, mentre con le ragazze tendo ad aprirmi di più.

Anyway, negli ultimi due anni delle superiori sono riuscito – non ricordo più con quale coraggio, spinto, credo, da un'imperativo quasi "fisico" – a fare coming out con le mie tre più care amiche, la cui reazione è stata molto buona, pregna di supporto e sodalità, e a venire allo scoperto con mia sorella e mia madre, la cui reazione invece è stata molto più "tiepida", venata di preoccupazione e di un'"indifferenza" celante il disagio e, forse, la riprovazione. In ogni caso, ad oggi, la maggior parte delle persone che mi sono vicine sanno di me, chi perché glielo detto io, chi perché l'ha saputo per vie "indirette" (l'ultimo mio coming out risale al giorno di Natale appena passato). E tuttavia ben poco è cambiato, soprattutto a confronto con le mie iniziali speranze che, una volta riuscito a rivelarmi e sull'onda dei primi coming out tutto avrebbe consequenzialmente finito per andare a posto e giungere alla meta. Al momento, invece, non sono certamente quello che si definisce un ragazzo gay che vive apertamente e senza costrizioni la sua vita... -.-'

Nemmeno una breve storia con un ragazzo, mio coetaneo ma con molta più esperienza alle spalle, avvenuta agli inizi dell'università, è servita a molto. Anzi, pur avendomi in principio ispirato un senso di felicità e positività (dovuto - credo - all'iniziale euforia per aver finalmente trovato un tanto sospirato ragazzo), questa storia ha quasi sortito l'effetto contrario, confermando le mie inadeguatezze (a creare il feeling e la complicità giusti e ad avere la spontaneità necessaria), le mie soggezioni, i miei limiti e la mia introversione. "Chissà se riuscirò mai ad amare davvero qualcuno?" mi chiedo a volte, tra l'altro, ma vabbé, quello si vedrà.

A riprova del fatto che il problema parte più che altro da me e non dal mondo là fuori, v'è la curiosa - almeno per me - circostanza per cui, in alcuni momenti in cui io e lui eravamo assieme, riuscivo con relativa calma e "libertà" a baciarlo per la strada, in pubblico, o a rivolgergli attenzioni manifestamente affettive davanti ad alcuni amici e conoscenti. La cosa ha contribuito quindi a convincermi che la soluzione alla mia situazione vada cercata dentro di me, lavorando su me stesso, e non ricercando soluzioni estemporanee all'esterno.

L'ultima "grande incognita tecnica" che più o meno rimane è rappresentata da mio padre, il quale ancora non sa di me e cui non so minimamente come dirlo: non che si sia mai mostrato omofobo, forse, più che indifferente, direi distaccato (nel senso che la questione dei gay non lo tange e non vede perché dovrebbe mostrare simpatia o aperture a qualcosa da cui non è toccato), ma la stessa cosa che mi impedisce di "abbandonare l'armadio" in modo generale, mi impedisce di fare coming out con lui.

Credo di avere, sotto la maschera della mia (tutto sommato) serena accettazione personale, ancora parecchia omofobia interiorizzata. Omofobia cui, non contento, aggiungo per parte mia, oltre l'introversione, anche parecchia accidia ed ignavia, ed un carattere che, sebbene razionalmente disprezzi la comoda e sicura, per quanto mediocre ed antipatica, routine quotidiana da "mezzo nascosto", inconsciamente ci sia ormai assuefatto. Suppongo di dover stare bene con me stesso, per riuscire a star bene fuor di me stesso, con gli altri e con il mondo. Ma come fare?



Vi chiedo scusa: ho finito per fare di quello che doveva essere un post compatto e con un senso più o meno logico una verbosa, lacunosa e sconclusionata biografia. :oops: Spero che comunque riesca a venirvene qualcosa e vi ringrazio già per la pazienza. ^^
Com'è splendida la vita e com'è triste! Com'è fuggevole, senza passato e senza futuro.
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massimino
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Re: Un armadio da abbandonare

Messaggio da massimino » venerdì 11 gennaio 2013, 12:04

Chimera ha scritto:una volta raggiunta la piena consapevolezza, la cosa mi ha fatto quasi piacere, ho cominciato ad apprezzare l'idea e ad essere - devo ammetterlo - quasi compiaciuto – se non stuzzicato – al (vanitoso) pensiero di costituire l'"eccezione" ad una "regola" fin troppo comune.
Lo sai, chimera, che ho provato la stessa sensazione anch'io? Ovvero quel sottile piacere di sentirsi, in qualche modo speciale... Tant'è che oggi la mia omosessualità mi rende fiero di me stesso. Sono felice di non essere etero (anche se, in caso contrario, alcune cose sarebbero state più semplici)!

L' unica differenza è che nel mio caso, prima di approdare a questa fierezza, qualche conflitto interiore del tipo:
Chimera ha scritto: «Non è possibile! Perché a me!? Devo essere etero, non devo essere gay. Non posso essere gay!» e simili.
c'è stato.
Pensavo: "Se è gay una persona su 10, perchè questa sorte non poteva toccare a una delle altre 9?"
Oggi è tutto molto diverso...

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marc090
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Re: Un armadio da abbandonare

Messaggio da marc090 » venerdì 11 gennaio 2013, 13:27

Lo sai, chimera, che ho provato la stessa sensazione anch'io? Ovvero quel sottile piacere di sentirsi, in qualche modo speciale... Tant'è che oggi la mia omosessualità mi rende fiero di me stesso. Sono felice di non essere etero (anche se, in caso contrario, alcune cose sarebbero state più semplici)!
C'è anche da dire che nel momento in cui si viene a creare un "noi", i gay e un loro, "gli etero", viene anche da pensare che forse qualcosa è davvero rimasto incompiuto... Quel processo di comprensione che doveva farci capire che siamo persone aldilà delle grossolane categorie con cui si tenta d'incastrarci.. spezzato dal nostro autoincluderci in una di esse.

Per ritornare in tema però, sinceramente, chimera, la strada della mancata accettazione di te e dell'omofobia interiorizzata, mi sembra un po' forzosa...
E' vero che basta poco ad autoingannarci e chiuderci in alcuni modi di pensare, molto semplici, che ci evitino il problema, ma mi sembra anche tu non abbia avuto problemi di sorta, ne, a metterti in gioco con te stesso, durante l'adoscelenza (anche pensarci, capirsi, accettarsi ha il suo carico) ,ne, dopo, visto che riuscivi pure ad esprimere il rapporto col tuo ragazzo, pubblicamente.

Non vorrei che la mancata accettazione (problema che avendo già vissuto sapresti riaffrontare) non fosse invece la scusa per qualcosa di più importante, qualche verità sulla tua vita, che ti porti invece ad allontanarti da essa per come ora è conformata.

Non credo ci sia nulla di assurdo, solo una stanchezza generale di quel modo di vivere tipico, che magari sotto sotto non ci appaga semplicemente come vorremmo. La causa, non te la saprei dire, ma posta così, mi sembra solo un campanello d'allarme per un cambiamento che vorremmo ma non riusciamo ad esprimere come si deve.

Tra l'altro, prima di agire, mi soffermerei comunque sui motivi, aldilà di tutto.
Per prima cosa portarono via i comunisti, e io rimasi in silenzio perché non ero un comunista. Poi se la presero coi sindacalisti, e io che non ero un sindacalista non dissi nulla. Poi fu il turno degli ebrei, ma non ero ebreo.. E dei cattolici, ma non ero cattolico... Poi vennero da me, e a quel punto non c'era rimasto nessuno che potesse prendere le difese di qualcun altro.
Martin Niemoller


Marc090 -- Amministrazione di ProgettoGay

k-01

Re: Un armadio da abbandonare

Messaggio da k-01 » domenica 13 gennaio 2013, 14:59

Suppongo di dover stare bene con me stesso, per riuscire a star bene fuor di me stesso, con gli altri e con il mondo. Ma come fare?
Accettando di essere quello che sei. Smettendo di colpevolizzarti se non riesci ad essere come pensi una persona dovrebbe essere, considerando il tuo carattere introverso come un handicap da superare. Non ci sono altre strade.

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Blackout
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Re: Un armadio da abbandonare

Messaggio da Blackout » lunedì 14 gennaio 2013, 12:46

Ciao Chimera
il tuo cammino è stato assai differente dal mio, eppure hai toccato degli argomenti che coinvolgono anche me.
Per esempio l'introversione che, accidenti a lei, mi ritrovo a conoscere bene. E ti posso dire che mi ha perseguitato anche nel periodo etero, perciò per me è una caratteristica che nel complesso è slegata dagli orientamenti sessuali, anche se trovo ragionevole considerare che possa acuirsi laddove l'accettazione di se è più traumatica.
Si mi manca quella vena istintiva che spesso desidero, mi ritrovo troppe volte a ragionare sulle complessità delle varie situazioni e a perdere il filo, insomma le note "seghe mentali". E purtroppo ci devo convivere, fa parte di me anche se ha il suo bell andamento a montagne russe.
Poi vedo che sei bloccato nella situazione con tuo padre. Io invece lo sono con tutta la famiglia, tanto che con i mesi ho allontantato tutti riducendo i rapporti a poche battute di ordinaria amministrazione. Dirglielo non migliorerebbe la mia situazione di vita ne la loro, io non sono quello che volevano e i sensi di colpa non fanno bene in nessun rapporto, quindi per ora ci passo sopra a piè pari poi si vedrà.
Il vero Io è quello che tu sei, non quello che hanno fatto di te. (P. Coelho)

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