Una lettera al mio compagno ...

La difficoltà di uscire allo scoperto
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marc090
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Re: Una lettera al mio compagno ...

Messaggio da marc090 » venerdì 1 marzo 2013, 19:44

Concludo allora.
Mi spiace, hai aperto una discussione, arrofus, ma non sei stato in grado di argomentare nessuno dei tuoi punti.

Nel momento e scusami se te lo faccio notare, che ho iniziato a ribattere ai tuoi punti, hai iniziato ad insidiarti dietro le tue posizioni, rinfacciando a me di fare altrettanto, nonostante frapponessi tra me e te un discreto numero di argomentazioni.

Questo forum non è fatto per discussioni che girano su ste stesse, non è fatto per lanciarsi piccole provocazioni come queste
Light, ma tu a dicembre non dicevi che avresti dovuto reprimerti per tutta la vita e che i tuoi genitori ti avrebbero cacciato di casa?
e poi giungere pian piano alla verità quando qualcuno s'intestardisce per farci capire il concetto... E' giusto e accresce se stessi reggere il peso delle proprie parole, nonché delle proprie argomentazioni.

Alla prossima, ma ti invito ad argomentare ogni tua posizione.
Per prima cosa portarono via i comunisti, e io rimasi in silenzio perché non ero un comunista. Poi se la presero coi sindacalisti, e io che non ero un sindacalista non dissi nulla. Poi fu il turno degli ebrei, ma non ero ebreo.. E dei cattolici, ma non ero cattolico... Poi vennero da me, e a quel punto non c'era rimasto nessuno che potesse prendere le difese di qualcun altro.
Martin Niemoller


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arrofus
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Re: Una lettera al mio compagno ...

Messaggio da arrofus » sabato 2 marzo 2013, 1:56

Ripeto che è tutto nei thread che ho nominato. Non riscrivo, riceverei le stesse risposte.

Con Light ci parlo ogni giorno su Facebook, non era una provocazione ma una semplice battuta rivolta personalmente a lui.
Anche perché si "confidava" con me riguardo a ipotetici ed immaginari problemi legati alla sua omosessualità, mi diceva che pensava di doversi reprimere, e diceva tutte le cose che dite voi.
Io non gli ho detto altro che quello che ho scritto in questo forum.

Alla prossima.

barbara
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Re: Una lettera al mio compagno ...

Messaggio da barbara » sabato 2 marzo 2013, 11:49

Credo che ognuno di voi, quando sostiene con forza delle opinioni , lo faccia perchè esse hanno un significato speciale nella propria vita. Magari sono opinioni che hanno richiesto un prezzo molto alto prima di essere raggiunte e ognuno di voi vorrebbe che gli altri capissero ciò che pensate, perchè lo ritenenete utile anche per loro.
Nella mia esperienza ho anche capito una cosa : gli altri per arrivare ad avere le loro opinioni vincenti hanno bisogno di fare la loro strada e di arrivarci a modo loro . Ho capito che non possiamo in alcun modo evitare che paghino il prezzo che abbiamo pagato noi. E inoltre non è detto che le loro opinioni vincenti siano quelle che vanno bene per noi. Secondo me possiamo dire loro la nostra esperienza e la ascolteranno, ma se proviamo a presentare il nostro punto di vista come l'unico possibile , è assai probabile che da quel momento in poi smettano di ascoltarci.
Io che di anni ne ho molti più di voi ce ne ho messo di tempo per arrivare a questa conclusione. Ma cercando di essere coerente con quanto ho appena detto, non pretendo che chi legge condivida o accetti questa mia opinione , nè che la ritenga valida per sè. Non è nemmeno facile da applicare tra l'altro. per la verità non sempre riesco a farlo, ma quando ci riesco vedo che funziona.
In ogni caso credo che questa discussione sia motivata dal fatto che ognuno di voi tiene molto a determinati valori che ha cercato di affermare, pur attraverso lo scontro . E specie in questo momento storico trovo che avere dei valori in cui credere sia molto importante .

arrofus
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Re: Una lettera al mio compagno ...

Messaggio da arrofus » sabato 2 marzo 2013, 15:01

Barbara, grazie per la tua opinione!

barbara
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Re: Una lettera al mio compagno ...

Messaggio da barbara » sabato 2 marzo 2013, 15:44

Non c'è di che, caro. ;)

Micky93
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Re: Una lettera al mio compagno ...

Messaggio da Micky93 » sabato 2 marzo 2013, 23:29

Spero di non essere fuori luogo... ma dopo essermi letto tutto il thread vorrei almeno esprimere la mia :)

Prima di tutto dico che quanto scritto da Barbara più sopra riassume benissimo dove stiano le radici di ciò che sto per dire: la provenienza individuale di ogni convinzione.

Nel leggere quanto da voi scritto, non ho potuto fare a meno di notare la formazione di due linee di pensiero principali: una di Marco090 in cui si vorrebbero razionalizzare (nel senso di dare ragione, un senso) le repressioni autoimposte, sfociando a volte in un pangiustificazionismo; un'altra sostenuta da Arrofus, la quale annichila ogni tipo di razionalizzazione giustificatoria, ma arriva a volte a farsi fredda distruzione delle decisioni individuali.

I vostri pensieri sono inconciliabili, non c'è che dire. Entrambi hanno una forte valenza per voi per il fatto di essere frutto di una serie di scelte, rammarichi, sofferenze e realizzazioni.

Entrambi però a volte diventano degli esempi di pensiero forte, un pensiero che dice di se stesso di essere incorruttibile.

La condizione umana che caratterizza noi gay è quella di entrare alla nascita, nella maggior parte dei casi, in un mondo le cui regole sembrano essere in antitesi con quelle che fanno funzionare il nostro cervello. Ci deformano, influenzano, spaventano. Tutto ciò ci fa sentire l'esistenza più assurda. Quella che interiorizziamo non è omofobia, quanto semmai fobia, phobos vera e pura. Per quel che mi riguarda, spesso e volentieri mi sono trovato dinanzi a me stesso chiedendomi perchè ancora oggi sono ben pochi quelli che sanno di me (e i miei genitori non sono tra questi pochi) e, in grazia della mia autocoscienza psicoanalitica, ho notato come spesso alcune volte razionalizzo certi comportamenti, tendo a vedere la parte più oscura delle cose pur di giustificare i miei terrori. Eppure so che non posso imputare tutto a una follia giustificatoria. Parte di quel che mi blocca, è una questione morale: non vedo perchè i miei genitori dovrebbero iperenfatizzare la mia sessualità interessandosi più a chi mi porto a letto che al fatto che io sono loro figlio. Cosa cambierebbe una volta che ve l'avrei detto nel nostro rapporto? Sarei il figlio o sarei il figlio gay? E allora i venti anni di passato cosa sono stati? Un'idealizzazione continua? Un continuo sperare di vedere dei nipotini e il proprio figlio all'altare con una donna? La stessa cosa vale coi rapporti con gli amici di vecchia data.

É doloroso dover mettere in questione il chi-sono-io. Lo è anche il farlo col chi-sono-io-per-voi.

Una volta su un sito di incontri (mi ero iscritto tanto per fare, ora nemmeno lo guardo più) un ragazzo mi ha preso a insulti molto pesanti perchè mi ero permesso di criticare il fatto che definisse qualunque persona non dichiarata un pusillanime, un traditore, qualcosa di paragonabile alla feccia umana. Naturalmente, da uno che vive la propria vita psicosessuale su un sito di incontri non ci si può aspettare molto di più che la pura banalità del Male.

Quel che non voglio, è proprio che l'orgoglio derivante dall'essere ''andati oltre'' quei pensieri tanto codardi e razionalizzanti non diventi la denigrazione di qualcuno che ci è per motivi diversi dai propri. Quella denigrazione ha la perversa abitudine di far dimenticare a chi la utilizza il fatto che se ora può permettersi di usarla è perché ''ci è passato''. Arrofus non è arrivato a questo, ma prevenire è meglio che curare.

D'altra parte, bisogna riconoscere una cosa. Mi servirò di un modello utopistico: ipotizziamo che domani a tutte le persone omosessuali, bisessuali e transessuali represse e non, si accenda sulla fronte una spia blu che li fa riconoscere. Non c'è modo di asportarla, semplicemente tutti i bambini che nascono e tutti gli adulti già nati, se gay, hanno una spia che ne fa capire la sessualità e ne impedisce il nascondimento. Verrebbero meno tutte le razionalizzazioni, verrebbe meno tutto. Ogni persona sarebbe svelata, e non ci sarebbero più segreti da mantenere. Tutti saprebbero tutto di tutti, e non avrebbe più alcun senso nemmeno sostenere posizioni omofobe, perchè di sicuro l'umanità capirebbe che siamo tanti, e tanti omofobi probabilmente scoprirebbero che qualcuno di molto vicino a loro è gay.
Questa noiosa ed enorme metafora vorrebbe farvi capire che in parte noi siamo i corresponsabili della sopravvivenza dell'omofobia, e lo riconosco. Se tutti facessimo outing in un solo colpo (nella metafora, sarebbe dovuto automaticamente alla spia blu, e il senso stesso di outing non sarebbe più necessario) l'omofobia sparirebbe, perchè dovrebbe arrendersi dinanzi a un fatto: che se vuole perseguire il suo scopo dovrebbe uccidere all'incirca il 10% degli individui sulla terra. Tale ideale ricalcherebbe solo gli ideali nazisti, che, come gli eventi della storia hanno dimostrato, hanno posto un'antitesi troppo grande da poter essere sostenuta dal mondo, e coloro che li misero in atto furono puniti - mai abbastanza. Perdonatemi se tiro sempre in ballo il nazismo e il pensiero della Arendt, ma è ciò che maggiormente mi ha influenzato nello sviluppo della mia personalità.
Naturalmente, secondo la mia opinione, non è solo il fattore della repressione a creare altra repressione; ma qui non mi dilungherò.

È vero quindi che ogni volta che qualcuno fa outing si oppone automaticamente a tutta quella serie di ideali utopistici che vorrebbero far finta che quelli come noi non esistono o che fossero eradicati dal mondo.
È anche vero che nel fare outing ci si pone effettivamente nel mondo, non sentendosi più in dovere di nascondersi dinanzi a nulla. Viene ad affermarsi la personalità, che si realizza.

Quello che però non mi sentirei in grado di fare, è di criticare chi sceglie di non farlo. L'outing non capita; è una scelta. Proprio per la sua natura individuale, non può essere soggetta a generalizzazioni di sorta. Dire che il 98% degli omosessuali potrebbe permettersi l'outing è un tentativo di presupporre che tutti lo vogliano. La realtà, è che il 100% delle persone, in quanto persone, hanno una vita passata e una psiche individuali. E l'outing non è una cosa che ci si può o meno permettere, è una scelta che coinvolge non solo fattori di convenienza, ma anche affettivi, illogici, a volte.
Il guaio del caso Eichmann era che uomini come lui ce n'erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali.

Hannah Arendt.

k-01

Re: Una lettera al mio compagno ...

Messaggio da k-01 » domenica 3 marzo 2013, 15:41

Se tutti facessimo outing in un solo colpo (nella metafora, sarebbe dovuto automaticamente alla spia blu, e il senso stesso di outing non sarebbe più necessario) l'omofobia sparirebbe
Mah. Non sono per niente d'accordo. L'intollerenza non ha niente a che vedere con la visibilità. Semmai è il contrario. Con l'aumentare della visibilità sono aumentati anche gli episodi di violenza e omofobia nei confronti dei gay. Proprio recentemente Vendola polemizzando col sindaco di Roma Alemanno, ha dichiarato di aver paura a girare da solo per le vie di Roma.

Gli stessi ragionamenti si possono estendere ad altre minoranze. Ad esempio gli immigrati. Con la loro diffusione in Italia di pari passo è aumentato l'odio e l'intolleranza nei loro confronti.

La storia è piena di esempi di paura e persecuzione del diverso anche quando era perfettamente "riconoscibile".

Secondo me dovremmo finirla di accusare o colpevolizzare i gay. Nessuno merita di essere discriminato e non è certo colpa loro se esiste l'omofobia.
Sarebbe come voler accusare i neri della schiavitù o gli ebrei dell'olocausto.

Micky93
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Re: Una lettera al mio compagno ...

Messaggio da Micky93 » domenica 3 marzo 2013, 22:13

C'è una incomprensione di termini k-01... un conto è colpevolizzare qualcuno delle radici di un evento, un altro è colpevolizzare qualcuno della sopravvivenza di un evento già in atto.

La Arendt sostenne che parte dell'olocausto gli ebrei lo avevano voluto, non volendolo attivamente urlando ''uccidetemi'' o ''gasatemi'' ma semplicemente omettendo delle scelte. Lei riporta l'esempio del ghetto di Varsavia, popolato da centinaia di migliaia di ebrei che furono portati via da poche centinaia di nazisti; oppure ancora il fatto che alcune persone ebree molto influenti, che avrebbero potuto evitare tale degenerazione, non si espressero sulle leggi antisemite.

È effettivamente vero che ci sono discriminazioni anche di etnia, che è qualcosa di autoevidente e quindi non può essere nascosta; ma credo che nel mio esempio utopistico le cose andrebbero diversamente. Da che mondo è mondo, due genitori che si ritrovano un figlio con la ''spia'' non potrebbero che accettarlo fin da subito. Non importa se sei un padre omofobico o una madre omofobica, quello è tuo figlio e sei portato a volergli bene in ogni caso. La discriminazione di etnia sopravvive perché rispetto a me l'altro rimane e rappresenterà sempre un'alterità. Qualcosa di ''altro da me'', che ''non mi riguarda'' (è orrendo come discorso, ma cerca di entrare nella mentalità di un razzista). A un italiano non nascerà mai un bambino nero, marocchino o albanese, nascerà sempre italiano. E a quell'italiano erediterà tutto il patrimonio di pensiero culturale di un italiano.
Stessa cosa vale per un fratello, un cugino, un genitore.

L'unica variabile in questi casi è proprio la sessualità, che è incontrollabile. Può anche essere che non sparirebbe, ma di certo sarebbe una complicazione per i sistemi omofobici.
Solo perché faccio parte di un versante psicosessuale, non significa che io debba giustificare ogni singola scelta di quel versante o essere buonista per forza. Facendo così adotterei lo stesso comportamento di chi lo critica e ne vorrebbe la distruzione senza pensare.

Vendola può dire ciò che vuole. Che io sappia, a Roma c'è persino una serata gay enorme nonchè un intero ''gay village'' che viene organizzato ogni anno. Vendola non mi è mai piaciuto molto. Non è l'unica persona che si interessa alla nostra causa, per quanto lui sembri voler dare a vedere il contrario.
Il guaio del caso Eichmann era che uomini come lui ce n'erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali.

Hannah Arendt.

Alyosha
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Re: Una lettera al mio compagno ...

Messaggio da Alyosha » domenica 3 marzo 2013, 22:59

Caro micky93 la dialettica tra oppresso e oppressore ho provato io stesso a farla emergere in più di un occasione. Tenendo fermi i ruoli di oppresso e oppressore, si può provare a ragionare sul ruolo della vittima nel rapporto al suo carnefice. Questo emerge proprio nel concetto di omofobia "interiorizzata" che dà molto l'idea di una cultura discriminatoria che si respira nell'aria e che tutti consumano. Affinché le relazioni di questo tipo durino è necessario che oppresso e oppressore condividano una visione del mondo comune, che l'oppressore domini sull'oppresso persuadendolo della sua superiorità, inducedolo a confermare la sua visione delle cose. Il nero si sentirà inferiore e leggittimerà egli stesso la schiavitù, per dirla facile. Non tocco lo stesso argomento con gli ebrei, prima che mi prendano per nazista, hai fatto benissimo a lasciarlo dire alla Arendt ;).

Tuttavia terrei salva l'obiezione k-01 la relazione tra coming out e liberazione dall'omofobia è tutta da dimostrare. A me è venuta in mente la stessa cosa leggendo le tue considerazioni. Perché la discriminazione omosessuale ha tutta una serie di caratteristiche non omologabili alle altre forme di discriminazione. 1) Un gay si può mimetizzare, 2) non nasce dentro una famiglia di altri gay come lui, 3) non ha un gruppo dei pari di riferimento omologabile a quello "etero" nello sviluppo della sua sessualità. Se tutti i gay si dichiarassero sarebbero semplicemente visibili, come lo sono i "neri", gli "zingari", le "donne" e tutte le altre minoranze, questo in linea di principio li rendere più simili alle altre minoranze non per ciò stesso accettati socialmente. E' vero però il contrario che quando spariranno le differenze, sparirà la discriminazione. Quindi rispetto a tutte le altre forme di discriminazione il gay si trova già nella forma ottimale di non essere "riconoscibile".
Liberarsi dell'omofobia interizzata non significa per ciò stesso dichiararsi, ma molto di più liberarsi dell'idea che siccome si è gay, nella sostanza si è sfigati, perché si è monchi di qualcosa. Molta omofobia interiorizzata per esempio gira proprio qua dentro, in questo pessimismo di fondo. Siccome sono gay, allora non posso fare questo come fanno tutti gli etero e quell'altro come fanno tutti gli etero e sempre la a prendere come punto di riferimento gli etero e immaginarli come i privilegiati i strafortunati ecc. ecc. Il riscontro a questa cosa è che man mano che i ragazzi qua dentro si ambientano, cominciano ad accettarsi, consocere persone come loro, questo pessimismo di fondo viene meno e tutto si "normalizza".

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candido
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Re: Una lettera al mio compagno ...

Messaggio da candido » domenica 3 marzo 2013, 23:55

Alyosha ha scritto:Se tutti i gay si dichiarassero sarebbero semplicemente visibili, come lo sono i "neri", gli "zingari", le "donne" e tutte le altre minoranze, questo in linea di principio li rendere più simili alle altre minoranze non per ciò stesso accettati socialmente.
Al di là dell'accettazione sociale, quanto però la completa visibilità e identificabilità dei gay aiuterebbe l'accettazione della propria sessualità da parte del singolo,una volta che abbia scoperto o stia scoprendo l'essere gay?quanto fa male durante questa presa di consapevolezza il sentirsi soli,"diversi" e il non vedere qualcuno simile a noi?
Se i gay fossero più visibili,nella loro quotidianità e normalità, forse accettarsi sarebbe più facile, e non si dovrebbe avere un'immagine della omosessualità basata esclusivamente sulle macchiette televisive o sui pregiudizi di gente attorno a noi ignorante e omofoba.
Alyosha ha scritto: 1) Un gay si può mimetizzare
mimetizzarsi si può ritenere positivo se inteso come forma di adattamento. Ma mimetizzarsi è soprattutto segno di debolezza,di svantaggio,di pericolo. in natura qualche animale si mimetizza per catturare la preda che così non lo vede, ma la maggior parte si mimetizza per sfuggire ai loro predatori.
io mi mimetizzo, ma perchè dove vivo chi si scopre essere gay vive una situazione d'inferno e se mai si vedessero 2 ragazzi mano nella mano non oso immaginare cosa potrebbe succedere loro. per un'avance gay un uomo è stato strangolato e ucciso,vedi tu.

io,anche se non dichiarato quasi con nessuno,sinceramente concordo con Arrofus. Se fossi cresciuto in un posto dove chi è gay può dichiararlo senza problemi,dove chi è gay può incontrarsi e manifestare il suo affetto,probabilmente avrei accettato con meno difficoltà l'essere gay. quindi dichiararsi non aiuta tanto te stesso,quanto chi si scopre gay e si vuole sentire normale.
io sono stato il primo a pensare che essere gay fosse contro natura...e non chissà per quale ragione, ma semplicemente per il fatto che ne sentivo sempre parlare in modo negativo e perchè a quel tempo mi sentivo l'unico gay al mondo;ovviamente non era vero,ma lo sembrava perchè tutti gli altri erano "mimetizzati".

Ancora oggi i neri vivono con più difficoltà in contesti in cui sono tutti(o una grossa maggioranza) bianchi,e diventano ancora più minoranza.
I gay vivono male per tanti motivi, ma anche perchè invece di apparire come il 10% della popolazione, in alcuni luoghi sembra che siano lo 0.0001%.

Per me lo smettere di mimetizzarsi e nascondersi è alla base del cambiamento,come anche una politica di istruzione di massa su cosa sia realmente l'omosessualità. e magari anche qualche riconoscimento giuridico male non farebbe.
Ultima modifica di candido il lunedì 4 marzo 2013, 0:06, modificato 1 volta in totale.

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