
Ho accettato la mia omosessualità da oltre un anno ormai, quasi due. Non è certo una cosa che ho scoperto improvvisamente ma piano piano, è stato come fare un puzzle. Ho avuto sin da piccolo molte cotte per i maschi poi, attraverso tutta l'adolescenza, per compagni di scuola o colpi di fulmine per ragazzi che conoscevo di vista. Questi sentimenti non trovavano mai un nome preciso. E quello che sceglievo io non era mai adeguato; se vedevo un bel ragazzo per strada che nome davo all'emozione che mi invadeva? A volte si chiamava invidia, perché il ragazzo era troppo bello e io volevo essere come lui. A volte ammirazione, perché il ragazzo era troppo bello e sicuramente simpatico e avrei voluto essere suo amico. A volte il ragazzo era troppo bello e basta, ma io mica ero gay!
Lo ero eccome, ma semplicemente non ci pensavo, non dovevo scartare o scacciare alcun pensiero, era automatico. Le ragazze non le guardavo, non mi erano indifferenti ma non mi suscitavano le emozioni che invece i maschi mi davano. Con i miei amici, in effetti, non parlavo mai di ragazze, non ho mai espresso nessun apprezzamento per esse. Allo stesso tempo non ho mai confessato loro la mia attrazione per i maschi perché, come dicevo prima, non era chiara neppure a me. Eppure ricordo che in alcuni momenti sentivo l'istinto di farlo, avrei voluto comunicarlo. Non posso dire con certezza di aver definitivamente detto “sono gay”. Come dicevo prima, c'è voluto del tempo. Le fantasie (si, quelle fantasie), che prima erano piuttosto nebulose (con tanto di figura femminile che ora non capisco cosa ci stesse a fare in mezzo

Lo dissi finalmente ad un mio amico, ormai più di un anno fa. I mesi precedenti erano stati terribili, insopportabili. Posso dire, senza esagerare, di aver passato un periodo buio, molto confuso, pieno di angoscia e senza speranza. Mi basta leggere certe pagine del mio diario per capire quanto poco fossi presente sul pianeta terra. Ma andai avanti.
Anche dopo averlo detto al mio amico (e ce n'è voluto di tempo!) non riuscivo ancora a dire chiaramente “sono gay”. Ricordo che fu proprio lui a spingermi a dirlo a voce alta, a dirglielo in faccia. Feci una fatica abnorme ma subito dopo, constatai, non successe nulla: nessuna tragedia, i muri non erano crollati, il mondo non era finito! Con questo mio amico continuai a parlare e gli dissi che, nonostante la paura del giudizio altrui, accettavo la cosa, non mi vergognavo affatto di essere gay, non volevo cambiare. La mia strada doveva essere una sola, quella verso la normalità e la serenità. I pochi amici con i quali mi sono aperto hanno accettato subito la cosa, il passo successivo è stato dirlo a mia madre.
Nei giorni in cui mi decisi a parlarle accadde un'altra cosa: il coming out di mia sorella a mia madre. La cosa, non posso negarlo, mi ha agevolato un po. Diciamo che comunque io “sapevo” di mia sorella, l'ho sempre (passatemi il termine... so che non si parla di un crimine) “sospettato”. Lo dissi a mia madre, lei pianse, fece fatica a comprendere la cosa (addirittura due in famiglia!), ma affrontai la situazione a testa alta, mettendo subito in chiaro alcune cose: le dissi non mi volevo nascondere, che la mia libertà e la mia indipendenza erano assolutamente irrinunciabili e sopratutto che la mia strada era ormai segnata. Certo, sapevo bene di non essere ancora in grado di realizzare quel che sognavo, ovvero vivere alla luce del sole e provare un senso di meravigliosa indipendenza, senza paura del giudizio altrui, senza doversi nascondere e piegare. Ma piano piano ci sto riuscendo, ancora oggi è una lotta che non mi stanco di fare. Io sono omosessuale, e questo fatto è noto a pochi, ma spero ben presto di potermi aprire anche con altre persone. Le cose stanno comunque andando bene, giorno per giorno e molto lentamente. Ci vuole tanta pazienza e una certa disciplina per non perdere contatto con il terreno sotto i piedi. Sento spesso una fiducia incrollabile nella capacità molto umana di non arrendersi. Ci credo davvero. Nulla è immodificabile, anche le situazioni più disperate. Solo ci vuole tempo e coraggio per capirlo.