VECCHIAIA GAY E DEPRESSIONE

La vera vita dei gay anziani, Gay e problemi della terza età, Gay anziani e ricordi di vita.
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VECCHIAIA GAY E DEPRESSIONE

Messaggio da progettogayforum » domenica 16 giugno 2013, 21:36

La vita di un gay può avere molti momenti critici: dal riconoscersi gay e dal rendersi conto dei problemi familiari e sociali che questo comporta, alla ricerca di un compagno e alla vita di coppia, ma quando si è giovani il fatto di non avere una famiglia propria pesa relativamente poco, si pensa al futuro, poi al presente e si resta comunque, almeno potenzialmente in grado di badare a se stessi e di mantenere un proprio ruolo indipendente. I problemi più grossi arrivano quando viene a mancare l’indipendenza perché si percepisce la propria debolezza fisica e ci si rende conto che la buona volontà non basta e nello stesso tempo si è ben consapevoli di non avere nessuno su cui contare. I familiari giovani hanno altre vite, hanno le loro famiglie e i loro problemi e un vecchio gay resta sostanzialmente solo. Quella solitudine che in altri tempi aveva visto come libertà indispensabile diventa piano piano una forma di marginalizzazione. Un vecchio gay è essenzialmente un vecchio solo e nella vecchiaia la mancanza del sostegno o anche solo della presenza di una famiglia è una condizione che predispone alla depressione. Un vecchio gay, fin quando può, cerca di costruirsi delle famiglie alternative, cerca di creare una rete di rapporti affettivi quasi-familiari sui quali poter fare affidamento, ma questi rapporti quasi familiari non hanno il supporto legale e sociale e non hanno soprattutto i vincoli stretti delle famiglie tradizionali e finiscono prima o poi per disgregarsi. Per i vecchi, in genere, c’è il conforto della religione, che dà loro almeno l’idea di avere comunque un valore come individui, almeno davanti a dio, ma per un gay è difficile che queste prospettive abbiano un senso, un gay si sente estraneo alla religione da vecchio come ci si è sentito da giovane, anche se per motivi diversi, non si riconosce in un gruppo che vede l’omosessualità come colpa e come disvalore. Tagliata anche l’apparenza di un valore metafisico della vita, tagliati i rapporti sociali e senza una dimensione familiare, resta ormai la solitudine e la sensazione chiara del non senso di ogni cosa. Piano piano, il declino fisico, più percettibile, e quello mentale, più subdolo ma oggettivamente inarrestabile, aprono la porta alla depressione, al lasciar correre tutto, allo svalutare qualsiasi cosa. La vita perde anche quel po’ di prospettiva che potrebbe avere e si appiattisce sul presente, un presente ripetitivo in cui anche la semplice ripetizione del giorno precedente non è che l’ennesima sottolineatura del non senso. Il vero crollo è il sopravvenire di incapacità e di debolezze fisiche, è il percepire la fatica del vivere quotidiano come una vera fatica e per di più senza scopo e senza prospettiva, un puro andare avanti per inerzia. Alla fine, se di qualcosa un gay sente di potersi fare un merito, è proprio di non avere messo figli al mondo e di non avere quindi condannato nessuno alla sofferenza che la vita comporta.

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LuvSeeker
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Re: VECCHIAIA GAY E DEPRESSIONE

Messaggio da LuvSeeker » domenica 16 giugno 2013, 22:28

Leggendo questo articolo mi sono rivenute in mente molte mie paure, ossia invecchiare e non avere nessuno al mio fianco con cui condividere la mia vita. Il più delle volte ora come ora cerco di non pensarci, e se non mi capitasse mai di trovare qualcuno per me credo proprio che passerò il resto dei miei giorni ad ammazzarmi di lavoro in modo tale da tenere quantomeno la mente occupata.
Secondo me la vita è essenzialmente amore, e senza di esso non vale la pena viverla. Quindi tanta empatia verso tutti quegli anziani che si ritrovano da soli, gay o etero che siano.
Living life one mistake at a time. ~

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Re: VECCHIAIA GAY E DEPRESSIONE

Messaggio da barbara » domenica 16 giugno 2013, 22:37

Questo quadro sconsolato delinea una realtà che esiste e a cui bisognerebbe dare una risposta. Nessuno dovrebbe restare solo, ma la vita spesso non è giusta né prevedibile. Spero che questo sia anche il vissuto di un momento e che passi, lasciando il posto anche a giornate serene, perché chi, come te , ha dato tanto, non si merita questa tristezza.
Un abbraccio grande
B

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progettogayforum
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Re: VECCHIAIA GAY E DEPRESSIONE

Messaggio da progettogayforum » lunedì 17 giugno 2013, 0:25

Quello che scrive LuvSeeker è sostanzialmente quello che fa la maggior parte dei gay vecchi fintanto che hanno la forza di farlo, bisogna pure dare senso a qualcosa. L’amore… certo, ma alla fine l’amore perde le caratteristiche che aveva negli anni della giovinezza e dovrebbe acquisire una dimensione tipicamente familiare, la famiglia potrebbe o dovrebbe essere il luogo per eccellenza dell’invecchiamento ma è proprio quello che per un gay è difficile costruire, qualcuno ci riesce, forse molto più oggi che ai miei tempi, ma poi alla fine l’amore più che cercarlo bisognerebbe darlo senza chiedere nulla in cambio ma è difficilissimo. La vecchiaia è sconsolata (non dico angosciata) perché comporta il raggiungimento della consapevolezza della transitorietà dell’individuo e della prossimità del limite, ne dovrebbe discendere la massima valorizzazione del tempo ma spesso ci si rende conto che il tempo ci sfugge dalle mani e che non riusciamo a governare nulla qui, dire depressione significa considerare patologica questa visione sconsolata delle cose che purtroppo è solo realistica. Aggiungo per Barbara che la riflessione non riguarda solo me ma è una condizione molto diffusa. In rete e in siti come quelli di Progetto trovi solo giovani, i vecchi sono rarissimi, la maggior parte ha abbandonato la partita da tempo, proprio in ragione di quella consapevolezza. Bisognerebbe imparare ad amare staccandosi dal sé, ma è tremendamente difficile.

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Yoseph
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Re: VECCHIAIA GAY E DEPRESSIONE

Messaggio da Yoseph » lunedì 17 giugno 2013, 2:39

Penso che per chi vive in cattive condizioni economiche sia ancora peggio.
Avere una famiglia e dei figli con i quali esiste un bel rapporto è una grande fortuna, può essere d'aiuto nell'ultima fase della vita. Infatti la solitudine spesso non riguarda solo i gay, ma anche eterosessuali che non hanno avuto figli o sono rimasti single.
La prima cosa che mi fa venire in mente questa tua riflessione è che sembra che comunque vada è difficile per un gay trovare un briciolo di serenità: ci sono quelli che pensano al futuro, si sposano e fanno i figli ma poi vivono il malessere di dover mentire ai propri familiari circa la propria sessualità; ci sono quelli che decidono di vivere la propria omosessulità ma alla fine da vecchi rimangono soli e vanno incontro alla depressione.
Sarebbe interessante sapere se anche i gay che costruiscono una loro famiglia con tanto di figli ( ovviamente nei posti dove è possibile) si ritrovano a vivere la stessa condizione durante la vacchiaia.

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Re: VECCHIAIA GAY E DEPRESSIONE

Messaggio da barbara » lunedì 17 giugno 2013, 2:43

Si, Project, leggo un po' ovunque ricerche che delineano questa situazione; gli omosessuali più giovani sono preoccupati per il loro futuro e in effetti la probabilità di essere soli è maggiore. Leggo anche di iniziative, che in qualche Stato più avanti del nostro, nascono per rispondere a questa solitudine particolare .
Credo sia un argomento di cui si inizia ora a parlare molto di più, ed è già qualcosa.
Poi un conto è sapere in generale che esiste questa realtà e un conto è conoscere direttamente qualcuno che la sta vivendo, perché ci si sente molto più coinvolti.

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Re: VECCHIAIA GAY E DEPRESSIONE

Messaggio da progettogayforum » lunedì 17 giugno 2013, 2:47

Yoseph, quello che dici l'ho pensato anche io tante volte, in un mondo diverso in cui l'ipotesi famiglia per una gay fosse possibile e soprattutto fosse normale, credo che la vecchiaia di un gay non sarebbe più problematica di quella di un etero, ma siamo ancora lontanissimi da questi livelli purtroppo e si deve comunque pagare il pregiudizio altrui. Quella sarebbe integrazione ad un altro livello!

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Tom
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Re: VECCHIAIA GAY E DEPRESSIONE

Messaggio da Tom » martedì 18 giugno 2013, 23:15

...il declino mentale, più subdolo ma oggettivamente inarrestabile...
A giudicare dalla tua vastissima cultura e dai tuoi numerosi interessi (compresi quelli di cui abbiamo discusso di recente e che mi hanno sorpreso non poco) direi che il declino mentale è proprio l'ultimo dei problemi! :mrgreen:
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Re: VECCHIAIA GAY E DEPRESSIONE

Messaggio da Sciamano » giovedì 20 giugno 2013, 1:48

La vecchiaia è un grosso dilemma nella vita, sia per i gay che per gli etero, c'è da considerare che ci sono condizioni molto variabili tra le persone, alcuni arrivano in condizioni davvero drammatiche, altri ci si augura invece di poterli "imitare".

La solitudine può crearsi per molti motivi, talvolta anche per auto emarginazione, come succede a certi adolescenti, a loro volta per i motivi più vari. La solitudine è una forma di sofferenza e di sofferenze il mondo è pieno, da qui il passo a pensieri metafisici sul senso o il non senso dell'esistenza è breve.

Io credo che quasi tutti gli adolescenti pensano al senso dell'esistenza, poi quando la vita si imposta (anche se ultimamente è sempre più difficile impostarla) si viene un po' assorbiti e forse ci si ripensa quando qualche grosso problema sopraggiunge, o forse dopo tanti anni di vita di coppia, oppure alle soglie o durante l'età anziana.

Se si fosse sempre felici, la felicità darebbe senso all'esistenza e probabilmente l'amore è una delle forme più coinvolgenti e belle per l'animo umano. Questa visione della felicità come senso dell'esistenza è materialista, ovvero quando la materia di cui siamo fatti, perde la sua forma funzionale, tutto di noi è perduto. Quindi l'esistenza si svolge in un periodo limitato di tempo per chi è materialista, e la soddisfazione dei desideri di felicità risulta l'unica cosa sensata. Senza arrivare alle soglie del limite di questo periodo di esistenza, l'età anziana, succedono molte cose nella vita che possono rendere la visione materialista insoddisfacente come risposta alle tante sofferenze sia personali che collettive.

Una qualsiasi visione religiosa presuppone che la nostra vita abbia qualche aspetto eterno, ovviamente è empiricamente indimostrabile una cosa del genere, però la coscienza è del tutto inspiegabile sulla base della materia che possiamo descrivere e quantificare. Non c'è nulla che preclude la possibilità che la coscienza, così come è venuta fuori una volta (noi esistiamo), possa in un altro tempo venir fuori di nuovo, proprio la nostra, anche se certamente priva di tutte le informazioni acquisite nelle eventuali varie vite, oppure venir fuori in piani dell'esistenza che ora non immaginiamo. Logicamente tutto è possibile, altro non si può concludere, ma la possibilità consente di sperare.

Se speriamo in una continuità della vita, in una qualche forma di eternità della nostra esistenza, allora la felicità diventa secondaria, anche se certamente desiderabile e alla lunga si spera che questa felicità diventi permanente (per esempio le religioni parlano del paradiso, del nirvana, ecc.). In questa visione delle cose la vita può acquisire un altro senso che consiste nell'evolvere quell'eventuale aspetto eterno che è in noi. In questo caso anche la solitudine, come l'avere una famiglia, o qualsiasi evento diventa un'occasione di esperienza, in grado di lavorare il nostro essere ad un livello profondo che probabilmente nessuna tecnica potrebbe fare (per esempio, digiuni, disciplina, meditazione, ed altre pratiche più o meno note).

In questa visione il dilemma che si pone, e me lo sono posto personalmente, è che non ci sono tecniche, né vie, né una guida, quindi ci si ritrova a sperare in qualcosa che non è certo, e non si sa che cosa si può o si dovrebbe fare. Praticamente sorge una sensazione di abbandono e di nuovo non senso nell'accadere quotidiano o in relazione a quel che succede nel mondo. C'è chi si affida a religioni, percorsi spirituali o altro, ma queste organizzazioni sono rivolte alla massa, ovvero assecondano una visione poco raffinata del mondo, quando va bene, altrimenti c'è una palese strumentalizzazione.

Posso dire di aver compreso il motivo per cui è necessario che non ci sia alcuna guida per chi desidera comprendere il senso dell'esistenza, però ci sono tanti messaggi, che non sono una guida, ma sono di vitale importanza (libri, film, gli eventi della propria vita, ogni cosa) ed è il nostro discernimento che deve trovare la sua strada, mirando all'essenziale, altrimenti ci si disperde.

Si può sperare che il cosmo ordina le esperienze umane in modo opportuno all'evoluzione che si deve compiere, considerando che forse il libero arbitrio non esiste, se uno spera nell'eternità e in un'intelligenza universale, allora che tutte le esperienze siano ordinate con criterio diventa una conseguenza. In tal caso ci si potrebbe affidare a questo irrazionalizzabile ordine.

Ad ogni modo, se la felicità come la si vorrebbe non è più perseguibile, considerando che le forzature non toccano la profondità del nostro essere, ma solo la superficie (per esempio "amare staccandosi dal sé" suona certamente molto difficile, ma io non so nemmeno cosa significhi), forse si può tentare di cercare un senso differente che implica alcune speranze metafisiche... Sono questioni a cui non solo nell'età anziana ci si ritrova di fronte, e a periodi le affronto.
Cercare la felicità rispettando gli altri, sarebbe una grande conquista per l'umanità!

476
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Re: VECCHIAIA GAY E DEPRESSIONE

Messaggio da 476 » sabato 22 giugno 2013, 23:52

Project forse non è abbastanza pessimista mentre forse è eccessivo sulla vecchiaia. Traspare da quello che scrive l’idea che le cose avrebbero potuto essere diverse se il mondo fosse stato più amichevole per noi. Ma se penso alla mia storia questo è probabilmente vero solo in parte.
Io non mi sono mai dichiarato pubblicamente e una delle mie scusanti è l’aver voluto conservare legami famigliari. Non mi sono dichiarato per non affrontare eventuali problemi di accettazione ma, siccome penso che i miei sappiano,soprattutto per non imporre pesi che magari non sarebbero in grado di sopportare. Un’altra scusante erano gli effetti sul mio lavoro, sul tipo di lavoro che avrei potuto fare, sul dove, sul modo e sulle possibilità di carriera. Ma anche qui c’erano scelte che avrei potuto fare, almeno da un certo stadio in poi, costose ma non insopportabili.
Accanto alla dichiarazione pubblica c’era quella da persona a persona. Ci ho provato quattro o cinque volte. È stato quasi sempre un fallimento, credo soprattutto per stupidità mia, per la scelta del modo e delle parole che ho usato, del momento in cui l’ho fatto. Con la psicologia d’accatto che è l’unica che frequento, mi chiedo però se veramente i miei errori sono stati del tutto non intenzionali. Sono stato fortunato nel senso che nessuno ha usato quel che ho rivelato a mio danno o a mio discapito ma ho comunque perso rapporti cui tenevo moltissimo. Dopo i trent’anni non l’ho più fatto ma, in almeno un paio di casi c’è stata accettazione e anche di più e sono stato io che sono fuggito.
Quando ci ripenso mi chiedo cosa del passato avrei voluto vivere in maniera diversa e perché l’abbia vissuta nel modo in cui l’ho fatto. Quanto sono stato effettivamente costretto dall’atteggiamento della società a rimanere solo e quanto invece è semplicemente capitato (non ho trovato l’anima gemella, che forse non c’era), quando non l’ho scelto, sia pure non coscientemente ed intenzionalmente (quanto ho cercato e quanto sono stato esigente e difficile, quali costi e difficoltà ho voluto evitare)?
Non sono poi sicuro che il vivere in famiglia attenui, se non risolva, il problema. Temo che in un prossimo futuro proprio questi legami mi imporranno un costo altissimo che non potrò, e comunque non dovrei, evitare. Certo c’è anche l’ideale dell’altro tipo di famiglia, avere un compagno con tutte le caratteristiche che idealmente vorremmo che avesse. Non si sa quanto siamo realistici nel dipingere questa alternativa. L’atteggiamento della società ha certamente avuto il suo peso e l’ha tuttora. Ma non sono sicuro che senza di esso avrei fatto scelte diverse, che mi troverei in una situazione diversa. Siamo sicuri che la famiglia, qualunque tipo di famiglia, venga senza costi, costi che in sua assenza siamo portati a sottovalutare? Qualche volta mi chiedo: se si scoprisse una pillola che trasforma da gay in etero, la prenderei, vorrei che ci fosse stata quando ero giovane? Propendo per il no. Credo di aver anche voluto essere come sono, ma magari cedo troppo al mio complesso di onnipotenza.
Non credo che l’approvazione del matrimonio gay, delle leggi contro l’omofobia, che pure trovo desiderabili, risolveranno alcunché. Il pregiudizio, con tutti i costi che ci impone, rimarrà. Da decenni si interviene contro il pregiudizio razziale ma questo è lontano dallo scomparire.
Tutto questo per dire che non sono sicuro che quello che scrive Project abbia necessariamente a che fare con l’omosessualità. Certamente ha a che fare con la vecchiaia e con la solitudine ma, come è già stato fatto notare, questo è un problema che tocca anche gli etero.
Una cosa di cui mi sono reso conto solo recentemente è quanto invecchiando sia diventato esigente. Mi capita di scoprire un’amicizia impensata, di ricevere messaggi o riprendere contatti con persone che non vedo da molto tempo. Mi sembra che una volta cose di questo tipo mi avrebbero reso felice per giorni. Adesso, dopo pochi minuti l’effetto svanisce. Ne voglio ancora e ne voglio di più e non bastano mai, non mi soddisfano mai abbastanza, il che è stupido. È di moda la teoria dei giochi che insiste sullo stare in guardia dal cheap talk. Mi chiedo se invecchiando non si tenda a diventare un po’ troppo scettici, a svalutare quel che di piacevole ci capita nei rapporti con gli altri, prendendolo per cheap talk usato, se non in maniera strategica, per spirito di carità quando invece può essere una manifestazione spontanea di interesse e di simpatia vera.
Questa incapacità di godere toglie voglia di fare e toglie speranza, forse con effetti ancor più negativi del venir meno della memoria, della facilità nel fare collegamenti e della capacità di tenere insieme i fili di un ragionamento complesso, nel mio caso se mai le ho avute.
È facile dire che, fino a quando non si è troppo di peso per gli altri, si ha un dovere morale di accontentarci di quel che ci è dato e di cercare di goderne al massimo e io devo ammettere di aver avuto molto, certamente molto di più di quel che mi sia meritato. Non è altrettanto facile farlo: i periodi neri arrivano.
C’è una frase terribile, credo nell’Apocalisse, che dice qualcosa del tipo: “Io, tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo.” Non si sa se prendere questi periodi come segno di un amore che si vorrebbe meno totale o sperare per quel che ci può essere di implicito dietro ad essi. Per restare in tema, siamo sicuri che il miope atteggiamento della chiesa comporti necessariamente l’abbandono di una visione religiosa della vita? Non stiamo dando alla chiesa un potere esagerato? Io continuo a leggere Vangeli, Salmi, Qoelet e Giobbe, ammetto esercitando una discernente censura su certi passi, ma non m’importa poi molto cosa pensi e dica la gerarchia. Non ha più il potere e l’influenza che aveva una volta.
Mi scuso con Project per essere stato saccente e aver detto cose probabilmente infondate e irrilevanti.

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