"Confessioni di un cristano ribelle" di Matthew Fox.

L'impegno dei Gay per una morale autenticamente laica
Rispondi
Avatar utente
Tom
Messaggi: 189
Iscritto il: sabato 21 luglio 2012, 20:23

"Confessioni di un cristano ribelle" di Matthew Fox.

Messaggio da Tom » martedì 22 marzo 2016, 14:27

Riporto qui di seguito la prima parte del settimo capitolo di "Confessioni di un cristiano ribelle" del teologo ed ex frate domenicano Matthew Fox, libro profondo che voglio pubblicizzare. Il New York Times ha scritto di Fox: "l'espulsione dall'ordine domenicano [su richiesta di Ratzinger] l'ha trasformato in un moderno Lutero".

---- ---- ---- ---- ---- ---- ---- ---- ---- ---- ---- ---- ---- ---- ---- ---- ---- ---- ---- ---- ---- ---- ---- ---- ---- ----

Non credo nelle inquisizioni. Non ci ho mai creduto. Quando se ne parlava nei dibattiti al liceo con compagni di classe non cattolici la cosa mi imbarazzava (“Ovviamente si tratta di cose del passato”, spiegavo) e mi imbarazza ancor di più che siano tornate in auge nel nostro tempo. Bandire i libri o minacciare i pensatori è assurdo: per fare emergere la verità e smentire il falso è molto meglio argomentare liberamente le proprie idee e metterle in pratica. Pensavo che il Vaticano II avesse fatto piazza pulita dello spirito inquisitorio che aveva aleggiato in Vaticano per secoli, e quindi della pratica di bandire i libri includendoli nell’Indice dei libri proibiti. Mi ero sbagliato. Il pontificato di Giovanni Paolo II riportò tutto questo alla luce.
Il papa nominò il cardinale Ratzinger prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF), che fino al 1908 era stata chiamata “Santo Uffizio della Sacra Inquisizione” e dal 1908 al 1968 più semplicemente “Santo Uffizio”. Ratzinger era un teologo tedesco attivo in Germania negli anni Sessanta che era stato presente al Concilio Vaticano II, durante il quale era intervenuto alcune volte a supporto delle tesi progressiste. Ma da quel momento in poi cambiò. Padre Bernhard Haring, un professore di teologia morale di grande levatura, il cui lavoro è noto e rispettato in tutto il mondo, fu convocato di fronte alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Più tardi paragonò l’esperienza a un interrogatorio da parte dei nazisti durante la seconda guerra mondiale, anzi dichiarò che ebbe più paura del Vaticano.

Appena giunto in California ricevetti una lettera del mio padre provinciale di Chicago che mi diceva che erano giunte dal Vaticano delle lamentele su tre dei miei libri (“Preghiera: una risposta radicale”, “In principio era la gioia” e il libro sulle pratiche spirituali “Whee! We, Wee All the Way Home”) e il maestro generale dell’Ordine aveva richiesto alla provincia americana di istituire una commissione per valutarli. Le lamentele provenivano da Seattle, dove avevo tenuto il discorso all’assemblea del gruppo gay e lesbico Dignity e dove, successivamente, avevo condotto un laboratorio su Ildegarda di Bingen. Erano state inviate dal CUF e dai seguaci di Costance Cumbey, la quale andava in giro a dire: “Hélder Camara e Matthew Fox sono l’anticristo”. La commissione preposta alla valutazione del mio lavoro consisteva di tre teologi, due dei quali erano stati miei professori a Dubuque. Nessuno di loro era considerato radicale da nessun punto di vista. Nel rapporto finale della commissione si diceva fra l'altro:

La domanda continua che si deve porre a ogni teologia spirituale riguarda la sua fedeltà alla Scrittura, alla tradizione della Chiesa e al Magistero. Si deve distinguere fra l'intenzione dell'autore di rimanere fedele all'insegnamento cattolico e il grado in cui altri teologi percepiscono con chiarezza tale fedeltà. Le opere pubblicate da padre Fox indicano che egli non concepisce il suo lavoro come creazione di una nuova spiritualità, ma come riscoperta di una visione spirituale tradizionale che è stata perduta, o perlomeno oscurata, nel corso della storia della Chiesa, specialmente nella fase post tridentina. Egli applica ai problemi contemporanei la visione della tradizione spirituale incentrata sul creato. Si può certamente mettere in dubbio la misura in cui un autore interpreta correttamente le sue fonti ma l'intenzione esplicita di padre Fox è di riscoprire una visione spirituale cristiana che, a suo parere, ha radici profonde nella tradizione della Chiesa e che potrebbe essere d'aiuto pastorale nel contesto culturale americano [...] Noi riteniamo che i risultati di questa commissione di studio non autorizzino a una condanna delle opere di padre Fox, ma piuttosto a chiedergli di rimanere in dialogo con i suoi colleghi esperti in varie discipline teologiche, in modo da assisterlo nel chiarire il suo pensiero teologico e nell'indicargli le aree in cui la sua teologia sembra staccarsi dagli insegnamento comuni della Chiesa.

Nella prima lettera riguardo a tutta questa faccenda, datata 19 ottobre 1984, il padre provinciale diceva che se la commissione avesse ritenuto sostanziali i dubbi sollevati sul mio lavoro, perlomeno in alcune parti, mi avrebbe presentato delle domande scritte. Non avendo mai ricevuto niente dai membri della commissione, ne conclusi che non avevano trovato alcuna eresia. Ricevetti invece una nota personale da uno dei suoi membri che, tra le altre cose diceva:

Caro Matt,
spero che tu non pensi che siamo troppo duri con te. Abbiamo cercato di esprimere il nostro appoggio e il nostro rispetto per il tuo lavoro, ma al tempo stesso di essere abbastanza critici in modo che la Congregazione per la Dottrina della Fede sia soddisfatta e non continui con il procedimento contro di te. Il tuo contributo alla vita dell'Ordine e della Chiesa è davvero valido, Matt, e spero che Roma ti lasci in pace in modo che tu possa continuare il tuo ministero nella consapevolezza di essere apprezzato e rispettato dai tuoi fratelli domenicani.
Auguri di ogni bene, fraternamente
[Lettera firmata]


Rileggere questa lettura mi tocca profondamente, perché il prete che la scrisse sarebbe stato parte del gruppo che consigliò la mia espulsione, sei anni più tardi, e perché i documenti che furono inviati a Roma in quell'occasione insinuavano che avevo sempre creato problemi e che ero una ragione di imbarazzo per la provincia americana.
A questo punto, nel 1985, avevamo un nuovo padre provinciale, Donald Goergen, il quale aveva anche pubblicato dei volumi teologici. Quando venne a farmi visita a novembre discutemmo della serietà delle azioni di Roma e il 2 dicembre 1985 egli scrisse al vescovo di Oakland per affermare la qualità del mio lavoro teologico e la mia buona relazione con la provincia domenicana.
Circa sei mesi dopo che la commissione teologica aveva presentato la sua relazione, il Vaticano rispose dicendo che non era sufficiente e che bisognava rifare tutto daccapo. Chiaramente il risultato dell'indagine, cioè che io non ero un eretico, non era in accordo con le opinioni e con gli scopi vaticani. Il 19 maggio 1986 il mio padre provinciale scrisse una decisa difesa del mio lavoro, lunga sei pagine, e la inviò al maestro generale dell'Ordine. In questa lettera Goergen affermava, fra l'altro, che la mia situazione canonica era regolare e che il fatto che risiedevo a Oakland non costituiva alcuna ambiguità. Scrisse anche di aver parlato di me almeno due volte con il vescovo di Oakland e che "nulla nelle parole del vescovo mi ha fatto pensare a una preoccupazione da parte sua o una qualche ragione di scandalo". Insisteva che il vescovo mi conosceva e che aveva presenziato ad almeno due delle mie conferenze. Trattando della mia teologia, della nozione di ortodossia e della relazione con il Magistero, insisteva che i membri della commissione teologica nominata dal suo predecessore avevano una buona reputazione, non erano di parte e le loro conclusioni meritavano "il più grande rispetto". Anzi, essendo stato il mio lavoro studiato e discusso approfonditamente da tre teologici di buona reputazione, "non esiste davvero base per affermare che ci sia alcunché di eretico negli scritti di padre Fox". Sfidò dunque la Congregazione per la Dottrina della Fede a esporre quali fossero i problemi che essa riscontrava nella mia opera. Ricordando la sua visita dal novembre precedente, affermava che io mi ero detto "completamente disponibile" a sottoporre i miei scritti futuri alla critica preventiva dei colleghi teologi.
Ancora una volta devo dire che sono commosso, ma anche in un certo senso stupito, nel rileggere questa difesa della mia opera e della mia relazione con la provincia domenicana vergata dalla mano del mio padre provinciale. Commosso perché le sue parole mi facevano piacere; stupito perché nel giro di pochi anni la stessa persona avrebbe guidato il gruppo che ottenne la mia espulsione dall'Ordine affermando che io ero sempre stato un caso problematico per la comunità domenicana. Anzi, in quell'occasione avrebbe scritto a Roma che la mia relazione con la provincia domenicana era "seriamente conflittuale" da almeno vent'anni.
Nell'autunno del 1987 morì mio padre. Lo seppellimmo il giorno del suo compleanno, il 5 Novembre. Fui l'ultimo della famiglia a salutarlo passando con lui un po' di tempo che si rivelò poi la sua ultima ora di lucidità. Iniziai dicendo: "Papà, scommetto che avresti preferito se io fossi stato un prete come tutti gli altri, non è vero?". Mi strinse forte la mano e disse con voce ferma: "Si, è così". Replicai: "Sai, non avrei potuto diventare il prete che sono senza il coraggio che ho imparato da te e dalla mamma". Parlammo di diverse cose, della musica (perché tamburellava con le dita al ritmo della radio), di quando lui e mia madre uscivano per andare a ballare ("Non sapeva cantare, ma quanto a ballare... ragazzi, come era brava!" mi disse). Fu un addio molto bello. Era in pace. Mio padre era stato un uomo davvero integro, che viveva seguendo delle regole morali che nel corso della sua vita cambiarono drasticamente ma che, allo stesso tempo lo salvarono dai suoi demoni interiori, quelli di un ragazzo cresciuto durante la Grande Depressione accumulando dolore, ferite e rabbia. Gran parte della sua integrità morale era dovuta alla sua fede e alla sua religione. Era un cattolico esemplare, direi tra i migliori.
Per quanto la perdita di un genitore e di un marito sia sempre dolorosa (avevamo appena celebrato, l'estate precedente, i suoi cinquant'anni di matrimonio), la maggior parte dei membri della famiglia fu d'accordo nel dire che andarsene in questo modo era stata una benedizione, non soltanto perché non aveva dovuto tirare avanti soffrendo fisicamente, ma anche perché non avrebbe più dovuto sopportare le battaglie ecclesiastiche in cui sarei stato impegnato. Per quanto possibile, cercai di nascondere il mio dolore e di dare sostegno a mia madre.

Ma io dovevo vedermela anche con Roma, visto che Ratzinger mi stava con il fiato sul collo. Il mio padre provinciale e io decidemmo di continuare a comunicare apertamente e così iniziò un capitolo nuovo della mia vita, quello dei giri di valzer con la Congregazione per la Dottrina della Fede. Essendo consapevole che si era soltanto all'inizio di una battaglia, convocai un gruppo di amici per discutere opzioni e strategie. Avevo ricevuto dal maestro generale alcuni documenti firmati da Ratzinger:

9 dicembre 1985
Abbiamo ricevuto la vostra lettera data 29 Marzo 1985 attraverso la quale voi ci avete trasmesso copia di un rapporto elaborato dai membri di una commissione teologica [...] I problemi esposti non solo rendono impossibile raccomandare la lettura di questo autore, ma mettono in questione la prosecuzione stessa del suo lavoro [...].
Cardinale Joseph Ratzinger.

17 settembre 1987
Caro padre generale,
[...] date le circostanze, quindi, le saremmo grati se lei volesse adoperare la sua personale influenza per assicurare che venga revocato a padre Fox il suo incarico attuale, quello di direttore dell'Istituto per la Spiritualità del Creato all'Holy Names College di Oakland, e che gli venga ordinato di astenersi dal divulgare ulteriormente in qualsiasi forma (scritti, conferenze, laboratori eccetera) la tesi centrale del suo libro "In principio era la gioia". È altresì necessario che egli si dissoci dalla "wicca", l'ideologia di "Starhawk", che si fa chiamare "strega".
Cardinale Joseph Ratzinger.


Era accluso a quest'ultima lettera un documento riguardante il mio libro "In principio era la gioia" nel quale esso era definito come:
un'interpretazione personale, gratuita [sic] e soggettiva della spiritualità cristiana, dei suoi fondamenti teologici e della storia del pensiero degli scrittori di spiritualità ivi citati [...] La sua trattazione dell'omosessualità non è ispirata dalla Scrittura né dalla dottrina della Chiesa.
Riguardo alla spiritualità, Fox mette in contrapposizione le tre vie tradizionali (purgazione, illuminazione e unione) con quattro vie (positiva, negativa, creativa e transformativa) e con diversi aspetti che non possono non rappresentare ragione di preoccupazione, specialmente la figura di Dio come madre e come bambino, e quella degli esseri umani come "madri di Dio".
In poche parole, questo libro deve essere considerato pericoloso e deviato. Non è in rapporto con la spiritualità cristiana autentica e quindi è lontano dalla dottrina del Magistero.


Il 26 aprile 1988 il mio padre provinciale scrisse una forte lettera di risposta a questo attacco. Lungo sette pagine analizzava in dettaglio le accuse contro la mia opera e rispondeva a esse punto per punto. Sottolineava che il rapporto della commissione era stato molto accurato, a differenza del sommario di una paginetta prodotto dalla Congregazione stessa. Difendeva il titolo di "madre" per Dio come parte della tradizione, e diceva che l'idea secondo cui io negavo completamente il peccato originale era basata su una lettura sbagliata di "In principio era la gioia". Citava l'osservazione di Teilhard de Chardin secondo la quale un certo pessimismo, forse incoraggiato da una nozione esagerata del peccato originale, ci ha condotti a considerare il mondo come una realtà decisamente malvagia e impossibile da correggere. Parlava anche della mia "totale collaborazione" e di come "l'atteggiamento cooperativo e fraterno di padre Fox non è da mettere in discussione".
Immediatamente, il 29 aprile 1988 il Cardinale Ratzinger, in un'altra lettera, parlava dell'"urgenza crescente di questo caso" e chiedeva al maestro generale dell'Ordine domenicano di prendere provvedimenti per me. Il mio gruppo strategico e io decidemmo a questo punto di consultare un avvocato esperto in diritto canonico che aveva lavorato parecchio a Roma e anche negli Stati Uniti presso alcune arcidiocesi. Studiò le lettere di Ratzinger e poi venne a farmi visita. Ci sedemmo nel soggiorno e iniziò a presentarmi uno scenario che poi si sarebbe avverato in maniera quasi identica alle sue previsioni. Mi disse che gli sembrava chiaro che Ratzinger aveva l'intenzione di farmela pagare, che non si sarebbe fermato davanti a niente, e che alla fine, se non ci fosse riuscito con altri mezzi i domenicani mi avrebbero dato un ordine al quale in coscienza non avrei potuto obbedire e, di conseguenza, mi avrebbero espulso in nome del mio voto di obbedienza. Non dimenticherò mai le sue parole: "Ti devi ricordare che andare contro il Vaticano è come mettersi in piedi davanti a un treno che ti viene addosso. Non puoi vincere. Nessuno ha mai vinto".
Alla fine i domenicani mi avrebbero effettivamente dato un ordine a cui non potevo obbedire. L'ordine sarebbe stato di chiudere l'Istituto di Cultura e Spiritualità del Creato, la rivista "Creation" e il gruppo di appoggio che avevo istituito in California e di tornare a Chicago. Ma prima di questo ci sarebbero stati ancora anni di lotta.
All'epoca facemmo alcune concessioni, su richiesta del maestro generale, che speravamo potessero rallentare il processo e placare l'animosità del Vaticano. Mi dimisi dal posto di direttore dell'Istituto di Cultura e Spiritualità del Creato (assumendo il titolo di "fondatore") e promisi di far rivedere i miei manoscritti futuri a due teologi domenicani prima di pubblicarli. Non fu mai sufficiente. A questo punto mi imposero anche un anno di silenzio.

Il silenzio significava non insegnare, non fare conferenze, non tenere laboratori e non predicare. Significava non apparire in pubblico per nessun motivo, continuando la mia ricerca soltanto privatamente.
La mia reazione immediata a questa richiesta fu negativa. Mi sembrava di aver concesso troppo, di aver creato un precedente dannoso che avrebbe permesso al Vaticano di mettere a tacere anche altri pensatori, di aver incoraggiato la paura che il fascismo cerca sempre di instillare in tutti. D'altra parte, non avevo molte altre possibilità, a meno di mettere fine a tutta la faccenda. Il maestro generale mi assicurò che l'anno di silenzio probabilmente sarebbe stato sufficiente per il Vaticano e avrebbe reso molto più semplice a lui stesso e all'Ordine in generale il compito di difendermi.
Inoltre, siccome non avevo ancora goduto di un anno sabbatico dopo diciannove anni di insegnamento, questa sarebbe stata un'opportunità. Stranamente, mi sentivo dato in pasto al pubblico, come se io fossi una ragione di imbarazzo che l'Ordine e la Chiesa dovevano chiudere in una soffitta o in una cantina ammuffita. Questo però era in forte contrasto con la mia esperienza di diciannove anni di ministero pubblico, durante i quali ero stato accolto apertamente dai miei lettori e dal pubblico delle mie conferenze. Il mio lato introverso voleva soltanto allontanarsi dal rumore e dalla confusione, e un anno di pausa prometteva più o meno questo.
In queste circostanze cercavo di ascoltare il mio personale messaggio riguardo all'importanza della via creativa. Pensavo: "Se c'è un tempo nella mia vita per la creatività, è proprio questo". Decisi di ideare una risposta creativa e di ottenere un accordo circa l'inizio del periodo di silenzio. Se questo periodo fosse iniziato il 15 dicembre, avrei potuto terminare il semestre di insegnamento all'Istituto. Era la cosa migliore per gli studenti e mi avrebbe anche dato il tempo di preparare una sorpresa per il Vaticano in forma di lettera aperta al "Signor Cardinale Inquisitore dei nostri giorni", nella quale denunciavo lui e le strutture ecclesiastiche per il loro peccato di omissione, cioè per il mancato insegnamento di una fede e di una spiritualità credibili. Avrei anche tenuto una conferenza stampa nella quale avrei esposto pubblicamente il mio caso. Padre Charles Curran aveva già adottato questo metodo con notevoli risultati durante la sua battaglia contro il Vaticano. Inoltre, quando era stato ridotto al silenzio dal Vaticano, il teologo brasiliano della liberazione Leonardo Boff aveva detto che questo fatto avrebbe permesso a milioni di persone in più di conoscere la teologia della liberazione. Questo a me sembrava giustamente paradossale: alla fine faceva capolino da dietro la scena un provvidenziale elemento ironico. Presi anche in considerazione l'idea di pubblicare un annuncio sul "New York Times" per attirare l'attenzione del pubblico più vasto sugli abusi di potere che accadevano nella Chiesa.
Scrissi una lettera aperta e la intitolai "La Chiesa cattolica attuale è una famiglia disfunzionale?" Per scriverla utilizzai le ricerche di diverse persone, tra cui Anne Wilson Shaef e Diane Fasel, riguardo alle famiglie e alle organizzazioni disfunzionali. La lettera era già stata preparata per la stampa sulla rivista "Creation" ma, quasi magicamente, fu pubblicata invece senza tagli come prima pagina del "National Catholic Reporter". Più tardi il redattore capo di questa rivista mi disse che la mia lettera aveva provocato più reazioni (in gran parte favorevoli) di qualsiasi altro articolo mai pubblicato da loro. Sembrava che non fossi l'unico a percepire la disfunzionalità della Chiesa a livello psichico! Uno studente protestante di teologia a Berkeley mi disse che avevano studiato la lettera in classe e che, cambiando semplicemente i nomi, la si sarebbe potuta applicare alle loro confessioni. Un'altra risposta venne da padre Schillebeeckx, il teologo domenicano olandese, che di disse di aver letto la lettera un paio di volte ridendo di cuore ogni volta che immaginava come Roma avrebbe cercato di rispondere a una lettere del genere. "Soltanto un americano poteva scrivere una lettera così diretta" esclamò.
Nella lettera esprimevo quanto segue. La Congregazione del cardinale Ratzinger "non ha fatto bene il suo lavoro né a livello intellettuale né a livello interiore" (dal momento che aveva fornito una spiegazione erronea della mia opera). "Si può individuare una specie di accidia intellettuale in coloro i quali condannano un testo senza averlo studiato e una accidia spirituale in coloro i quali sollevano accuse senza avvertire l'oppressione che viene discussa nella mia opera e in altre opere della teologia della liberazione". Spiegavo le dieci dimensioni di un'organizzazione disfunzionale e le applicavo alla Chiesa cattolica in quel momento della sua storia. Individuavo la principale di queste dimensioni nella situazione in cui i capi della struttura ecclesiastica sono drogati di potere e ignorano i suggerimenti dei vescovi più pastorali e più vicini alla gente. Un'altra dimensione che individuavo era l'ossessione sessuale del Vaticano, da cui deriva la misoginia, e che era secondo me "uno scandalo a livello mondiale che mostra una seria mancanza di equilibrio psichico". Gli altri segni di disfunzionalità erano: l'illusione di grandeur e di potere da parte di individui che cercavano di rimettere in auge l'Inquisizione, l'illusione del controllo, la scelta di nominare come vescovi delle persone appartenenti all'Opus Dei, la cultura della segretezza, l'essersi dimenticati della missione principale della Chiesa, l'abitudine di attribuire ogni turbamento a cause esterne, l'autoisolamento e la necessità interiore di uccidere il futuro. Citavo l'avvertimento che Ildegarda di Bringen aveva indirizzato al papa del suo tempo: "O uomo, che siedi sul trono papale, tu disprezzi Dio quando non ti sciogli dalle lusinghe del male, ma addirittura lo abbracci e lo baci perché tolleri la presenza di uomini corrotti. La Terra intera è in confusione [...] e tu, o Roma, sei come moribonda [...]. Perché tu non ami più la figlia del Re, la Giustizia!".
"La vita giusta è quella ispirata dall'amore e guidata dalla conoscenza"
(B.Russell)

Avatar utente
progettogayforum
Amministratore
Messaggi: 5950
Iscritto il: sabato 9 maggio 2009, 22:05

Re: "Confessioni di un cristano ribelle" di Matthew Fox.

Messaggio da progettogayforum » mercoledì 23 marzo 2016, 0:38

È veramente una lettura interessante, ma la chiesa è questo, e quanto questo sia lontano dallo spirito evangelico lo vede chiunque. Sono le piccole miserie di uno che diventerà papa. Il vero problema della chiesa è la gerarchia. Certe cose ad un laico appaiono proprio paradossali, ma sono queste le vere preoccupazioni del clero gerarchico.

Avatar utente
e^ip+1=0
Messaggi: 287
Iscritto il: giovedì 11 aprile 2013, 18:46

Re: "Confessioni di un cristano ribelle" di Matthew Fox.

Messaggio da e^ip+1=0 » giovedì 24 marzo 2016, 12:19

Accidenti, che quadro viene fuori per Ratzinger! La Chiesa non potrà rinnovarsi mai fino in fondo: le uniche aperture che potranno venire proverranno, secondo me, dalle coscienze dei singoli fedeli. È su quelli che bisogna sperare.

Rispondi