APPROCCIO ALLA DEPRESSIONE GAY

Solitudine, emarginazione, discriminazione, omofobia...
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agis
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Re: APPROCCIO ALLA DEPRESSIONE GAY

Messaggio da agis » sabato 10 dicembre 2016, 8:14

Help ha scritto:Un depresso ha bisogno di una mano amica, ma non come la intendi tu. I problemi che si possono riscontrare sono talmente diversi che anche approfondendo su uno ne trascurerei centinaia, quindi mi terrò molto sul generico. Accettare l'aiuto di una persona significa accettare di averne bisogno e quindi prendere coscienza del fatto che non si è abbastanza per risolvere da soli un problema, capisci dove voglio andare a parare? Cane che si morde la coda, nel momento in cui offri il tuo aiuto non fai altro che peggiorare le cose.

Ma che aiuto in fondo puoi dare a una persona scavata fino alle ossa dal nichilismo. Il depresso è il chiaro esempio di suicida in chiave emotiva, la sofferenza che prova il soggetto è talmente insopportabile e straziante da portarlo a cercare una scappatoia fisica come la fame, pur di non sentire. E tu non puoi imboccarlo a forza.

Molti parlano di terapia d'urto, può funzionare, tu suggerisci l'ascolto, può funzionare, ma può anche essere contro producente, così come nelle cure mediche non si prescrive un farmaco a caso, per aiutare un depresso non si prescrivono metodi a caso ne si va a tentativi, perché ogni singola mossa sbagliata porta alla sofferenza. Mi ricordo per esempio che ogni volta che sentivo il nome Paolo, 2 anni fa ormai , crollavo emotivamente, sudavo freddo, e io sono un normalissimo ragazzo magari un po' triste ogni tanto. Se io provavo tale sofferenza solo per un nome, cosa può causare la parola sbagliata in un soggetto instabile? O una mancata parola? Capisci il problema?

Addentrandoti in questo mondo a tentoni sono più quelli che potresti buttare per terra di quelli che sollevi. È così brutto dire che è meglio non fare, ma uscire dalla depressione è come trovare l'amore, ci vuole quella persona giusta in quel momento giusto, che tende la mano, non chiunque, non sempre, forse mai, e bisogna accettarlo, così come accetti il fatto che il sole sorga ogni mattino e dopo il giorno ci sia la sera.
Sì, sono complessivamente d'accordo Helpino :). Alla perfine penso che una cosa che si potrebbe fare senza danno è il manifestare in maniera puramente ostensiva e non normativa o impositiva quello che, per il semplice fatto di stare ancora qui a parlarne, si è trovato utile come proprio personale rimedio per quel "male di vivere" che, parafrasando il poeta ligure, spesso ci capita di incontrare. Ai tempi miei psicologi e psichiatri erano ancora i "medici dei pazzi" ed allora, quando le circostanze lo consentivano, si andava autonomamente a cercar risposte negli ambiti che meglio sembravano fornirne: quello letterario, quello filosofico, quello scientifico... Si finiva così col farsi, spesso in maniera non sistematica se non del tutto anarchica, una specie di cultura di propria libera scelta magari non erudita, non specialistica ma forse, proprio per questo, in grado di fornire quelle che Aristotele avrebbe potuto definire potenze dello spirito ma a cui noi potremmo pensare come materiale pronto in una specie di cassetta degli attrezzi mentale.
E sono attrezzi che, a volte, pur lasciati in oblii pluriennali, le cas échéant, ti sanano.

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Re: APPROCCIO ALLA DEPRESSIONE GAY

Messaggio da Help » sabato 10 dicembre 2016, 9:36

Perdonatemi, forse ricordo male quindi se scrivo castronerie evidenziate che ci tiro una riga sopra:

Agis, parli del male di vivere del Montale, una delle poche persone che più che depressa mi sembrava volerlo ostentare senza esserlo. Non puoi di certo paragonarlo a un Leopardi, che oltre a trasmettere la sua sofferenza attraverso gli scritti, ha posseduto per tutta la sua vita una vera e propria sofferenza emotiva profonda. E più andava avanti più questa sofferenza peggiorava per quanto avesse persone che cercassero di stargli vicino.

Virginia Wolf aveva il marito che da quanto so ha fatto l'impossibile, eppure ha deciso di far suicidare il personaggio che la rappresentava in ogni storia che scriveva per poi annegarsi proprio lei in fiume.

Così come Van Gogh, che si sparò nel campo di grano che aveva dipinto. A volte le persone sono troppo fragili, si spezzano come uno stelo contro al vento rendendo impossibile qualunque azione. Il tempo che le prendi sono già morte dentro e in attesa di morire anche fuori.

Comunque ti capisco project, da quando frequento l'università, in giro per la città vedo alcuni vagabondi ai lati della strada sofferenti che mi chiedono monetine. E sapere di non poter far niente mi strazia, sapere che la notte muoiono di freddo, e il giorno di fame e solitudine, mi fa sentire così impotente. Ogni tanto vorrei avvicinarmi, dire loro che io li vedo, che non sono invisibili, ma io non posso fare niente.

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Re: APPROCCIO ALLA DEPRESSIONE GAY

Messaggio da agis » sabato 10 dicembre 2016, 10:22

ihihihihihihi ^_^ ma sarai buffo...

Motorino Helpino qui si sfondano porte aperte :lol:

Son perfettamente d'accordo con te che se c'era uno che, viste anche le sue vicende personali, non era depresso era lui. Ma, ciò detto, ti pare che il male di vivere possa per questo essere considerato come una esclusiva prerogativa dei depressi? :)

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Re: APPROCCIO ALLA DEPRESSIONE GAY

Messaggio da progettogayforum » sabato 10 dicembre 2016, 12:05

Capisco che quello che voglio dire possa sembrare una specie di sforzo romantico per modificare l’immodificabile, ma io penso che prima di cadere nella depressione senza ritorno, ci siano tante fasi di rischio in cui è ancora possibile fermarsi e tornare indietro. Alcune di queste situazioni le ho viste da vicino, e si sono risolte bene. La reversibilità è sempre più difficile quando un individuo è lasciato a se stesso, ma in fondo non è mai impossibile. Certo uno specialista potrebbe avere un approccio diverso non solo psicologico ma anche farmacologico, il che può fare la differenza, ma per rivolgersi ad uno specialista ci vuole una determinazione della volontà, si tratta di un atto che è già un atto di resilienza ma in fondo molte volte resta una mera ipotesi. Resto dell’idea che il rispetto, l’affetto, la presenza, il clima affettivo complessivo intorno ad una persona abbiano un potenziale enorme, mi rendo conto che in situazioni di depressione profonda, tutto questo è poco, ma incoraggiare una persona ad aprirsi, a guardarsi dentro, confidando anche nel rispetto e nell’affetto di qualcuno resta fondamentale. Certe volte provo sensazioni di scoramento profondo e mi sento del tutto impotente, ma altre volte e con le stesse persone un minimo di apertura si trova, cioè costruire un minimo di relazione è possibile, quello che mi sconvolge è che tutto questo può andare improvvisamente in frantumi per eventi esterni frustranti e del tutto imprevedibili che finiscono per avere un peso spropositato e per mettere in crisi tutto quello che si era ottenuto. Da quello che vedo, sono convinto che lo stress, lo stare in ambienti molto concorrenziali, la competizione con il connesso rischio di esclusione, siano dei fortissimi incentivi verso la depressione.

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Re: APPROCCIO ALLA DEPRESSIONE GAY

Messaggio da Alyosha » sabato 10 dicembre 2016, 13:11

Caro project non credo stiamo dicendo cose sostanzialmente diverse, anche perché non credo che compito di un amico sia "guarire" il malato o curarlo, ma stargli accanto e questo è già in sé un beneficio. Forse questo un po' è il punto. Stare accanto ad una persona depressa non vuol dire secondo me tentare di allontanarlo dalla sua depressione, quella è una cosa che deve fare lui, ma semplicemente stargli accanto. A quel punto però la domanda diventa un'altra. A cosa serve a noi una relazione siffatta? Tolta la soddisfazione tutta speciale che deriva dal sentirsi buoni, come la ebbe a definire Hegel, cosa resta di quella che infondo è una relazione d'aiuto, in cui si è consapevoli di non essere di alcun aiuto? Credo che la vera domanda sia questa, perché resta il fatto che ci sono stati depressivi che resteranno tali, con i quali il soggetto semplicemente impara a convivere, ma che diventano pesanti per chi decide di starci accanto (ammesso che la responsabilità della sua depressione non sia proprio di qualche altro che ha deciso di stare accanto). In questo senso penso sia molto complicato stabilire relazioni che siano produttive per entrambi e il pericolo di essere ingurgitati dall'altro è forte, come insomma se nel tentativo di tirar su l'altro, si venisse invece tirati giù.

Io posso solo essere d'accordo sul fatto che la competizione e lo spirito concorrenziale siano armi forti, però vedi devi considerare per forza l'ambiente relazionale costruito intorno al soggetto represso. Chi è che ha innescato questo meccanismo competitivo? Chi ha insegnato a questo ragazzo a stare sempre armati l'uno accanto all'altro, incontrarsi nella disputa, nel rigore del seguire rigide regole, nel senso del puro dover e del sacrificio di sé, magari perché è più complicato scambiarsi un abbraccio e semplicemente volersi bene per quello che si è? Quelli che sembrano eventi del tutto imprevedibili, magari sono "richiami", fili che vengono tirati. La depressione è uno stato d'animo conservativo, che si oppone al cambiamento e magari a qualcuno può far comodo questo stato d'animo perché dal cambiamento avrebbe da perderci. Le relazioni sono sempre relazioni di potere e chi acquista autostima solitamente ha tolto capacità di controllo a qualcun'altro, che lo aveva isolato in modo da averlo tutto per sé. Ripeto non si può trattare una patologia relazionale guardando solo a quello che fa il soggetto singolo. Bisogna scavare dietro la depressione, perché non è quello il problema, ma solo la manifestazione esteriore. In questo senso penso che bisogna stare attenti a che tipo di relazioni si costruiscono. Relazioni d'aiuto possono essere pericolose non tanto per il soggetto depresso in sé, quanto per chi decide di stargli accanto, perché è lui a non avere le competenze per gestire una relazione carica di stati d'animo negativi. Alla lunga rischia di svuotarsi, sperimentando la frustrazione continua di questi finti passi in avanti e ricadute, che sono poi i movimenti tipici dei depressi. Questi fanno solo finta di muoversi, ma in realtà restano fermi. Non sto dicendo che bisogna abbandonare chi ci viene incontro cercando qualcosa da noi, anche se neanche lui sa bene cosa, sto solo dicendo che bisogna essere bravi a mettere gli opportuni paletti e confini, perché altrimenti quella relazione diventa troppo invadente e piuttosto che tirare fuori l'altro si finisce con risucchiare dentro noi.
Può sembrare un discorso cinico, ma non lo è. Ognuno infondo ha la sua vita e ognuno ha il diritto di rovinarsela come vuole.
Ultima modifica di Alyosha il sabato 10 dicembre 2016, 13:42, modificato 1 volta in totale.

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Re: APPROCCIO ALLA DEPRESSIONE GAY

Messaggio da progettogayforum » sabato 10 dicembre 2016, 13:33

Eh... sono cose che mi ripeto spesso, so che sono giuste ma non sono facili da mettere in pratica, comunque ci proverò. Grazie di tutti questi contributi, che mi servono a riflettere. Mi fermo qui e proverò a cambiare discorso, farà bene anche a me, spero.

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Re: APPROCCIO ALLA DEPRESSIONE GAY

Messaggio da agis » domenica 11 dicembre 2016, 12:24

progettogayforum ha scritto:Eh... sono cose che mi ripeto spesso, so che sono giuste ma non sono facili da mettere in pratica, comunque ci proverò. Grazie di tutti questi contributi, che mi servono a riflettere. Mi fermo qui e proverò a cambiare discorso, farà bene anche a me, spero.
D'accordo. Per una disamina ulteriore aggiungerei altri due aspetti che non mi sembra siano ancora emersi nel thread.
Innanzi tutto l'aspetto legato alla ricerca neurofisiologica che, nella misura in cui si tenga fermo che la consapevolezza della funzione precede sempre la fisicizzazione in organi da studiare in maniera sempre più spinta, non è affatto in contraddizione con l'atteggiamento non dualista. A questo proposito ricordo vagamente un articolo su Le Scienze di 10-15 anni fa in cui, sia pure all'interno di un approccio misto che qualche dubbio me l'aveva ben sollevato, si poneva l'accento su una carenza di serotonina. E' lecito supporre che, in questo lasso di tempo, la ricerca qualche passo avanti in più l'abbia fatto e, nel caso probabile ne sappiate più di me, ovviamente je suis preneur ;) .
In secondo luogo, a completamento del post un po' troppo tranchant in risposta ad Help, volessimo cercare esempi letterari di depressione reattiva all'interno di un carattere manifestamente non depresso su un piano endogeno non mi può non tornare alla memoria quella cosa arcinota di Apollinaire.

Le pont Mirabeau

Sous le pont Mirabeau coule la Seine
Et nos amours
Faut-il qu'il m'en souvienne
La joie venait toujours après la peine
Vienne la nuit sonne l'heure
Les jours s'en vont je demeure

Les mains dans les mains restons face à face
Tandis que sous
Le pont de nos bras passe
Des éternels regards l'onde si lasse

Vienne la nuit sonne l'heure
Les jours s'en vont je demeure

L'amour s'en va comme cette eau courante
L'amour s'en va
Comme la vie est lente
Et comme l'Espérance est violente

Vienne la nuit sonne l'heure
Les jours s'en vont je demeure

Passent les jours et passent les semaines
Ni temps passé
Ni les amours reviennent
Sous le pont Mirabeau coule la Seine

Vienne la nuit sonne l'heure
Les jours s'en vont je demeure


Traduco (tradisco) liberamente così

Sotto il ponte Mirabeau
Colan la Senna e il nosto amore
Bisogna ch'io ricordi
La gioia seguiva sempre il dolore
...

Chettudici Helpino? ^_^

Poi, di tempo per ulteriori depressioni reattive il suo destino gliene riservò a sufficienza. Ciao :)

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Re: APPROCCIO ALLA DEPRESSIONE GAY

Messaggio da Geografo » giovedì 19 gennaio 2017, 15:30

Era da molto tempo che non leggevo un post del genere in questo forum, in cui sembra che spesso l'admin abbia come unica intenzione quella di scrivere post su possibili poeti o personaggi del passato omosessuali (argomenti che direi riguardino più i suoi interessi), piuttosto che di avvicinarsi a tematiche che riguardano tutti e che rappresentano bene l'attuale situazione dell'omosessualità, magari anche da un punto di vista adolescenziale. Davvero un bel post questo, in cui ci sono parecchi spunti di riflessione.

È assolutamente vero quello detto all'inizio: è importante avere delle figure genitoriali che siano in grado di guidarci, ascoltarci e consigliarci. Detto così sembra una cosa scontata, purtroppo non lo è. Sono convinto che quello del genitore sia il mestiere più difficile del mondo e, se uno non è in grado di farlo, dovrebbe avere la decenza di non fare figli (ma d'altronde, uno ragionando col suo cervello giustamente si sentirà sempre un ottimo genitore).
Durante l'adolescenza è di vitale importanza avere delle figure che ci facciano da riferimento, se la figura è debole, non è in grado di consigliare al meglio, non è idonea oppure diventa opprimente, sono cose che si ripercuoteranno per sempre nel figlio. Alla fine, ritengo che ogni figlio altro non sia che lo specchio delle azioni del proprio genitore. Mi spiego meglio perché effettivamente questa frase è poco chiara.
Se un ragazzo è abituato a vedere il padre che picchia la moglie, non dico che il figlio in futuro picchierà sua moglie, perché molto probabilmente avrà sviluppato da sé dei valori morali e sicuramente non vorrebbe fare una cosa del genere alla moglie (e tantomeno far vivere un'esperienza del genere ad un possibile figlio, proprio perché lui stesso ha vissuto quest'esperienza).
Però per buona parte della vita si porterà un trauma, probabilmente avrà difficoltà a relazionarsi con dei coetanei e sarà un ragazzo schivo. Oppure tutto l'opposto, ovvero un ragazzo estremamente spavaldo, troppo sicuro di sé e cattivo con gli altri. Fatto sta che, in entrambi i casi, si tratta di un'azione del padre (ovvero quella di picchiare la moglie) che, in un modo o nell'altro, si ripercuote nel figlio. È ovvio che nel caso del ragazzo spavaldo, il trauma vissuto per un'esperienza del genere è come se fosse nascosto dietro una maschera, ma il trauma c'è comunque, sta sempre lì. E in entrambi i due casi (ragazzo timidissimo/ragazzo spavaldo) troviamo una sorta di alterazione del comportamento normale.
E prima che un ragazzo riesca ad uscire da un trauma del genere e riesca ad avere un comportamento e una vita normale, ci vorranno anni, a parer mio.
Gli errori dei genitori si tramutano in traumi o insicurezze in un figlio, e prima che uno se le riesca a scacciare e riesca a vivere serenamente ci vuole tanto.
Io ho avuto per certi versi dei genitori assolutamente incapaci nel darmi consigli, perché fidatevi, quando si è dei ragazzini è bene avere dei genitori che scelgano al posto nostro per certe cose, come ad esempio la scuola, e i miei in questo non sono mai stati capaci purtroppo, sicuramente anche per via del fattore età (i miei sono vecchiotti per essere genitori).
Rimpiango molto anche il fatto di non aver avuto un padre con cui confrontarmi e con cui avere un rapporto di complicità, piuttosto lui ha sempre preferito stare sul suo trono di austerità senza mai avere un dialogo con me, ma questo perché mio padre si porta già tanti problemi con se stesso, figuriamoci se è in grado di crescere un figlio. Per questo dico che uno dovrebbe avere la decenza di non fare figli se non è il caso, ma come ho già detto, chi è che ha l'onestà di dichiararsi come un genitore non valido?
Quindi, sì, io direi che alla base di un ragazzo depresso, c'è una figura genitoriale non valida il più delle volte.
Quello che ho visto è che invece spesso si tende a dire che alla base di un ragazzo depresso ci sia appunto il ragazzo depresso stesso, come se le cause della sua depressione siano riconducibili esclusivamente a lui. Ciò che succede è di rinfacciare al ragazzo i suoi errori, della serie: vai male a scuola, non hai amici, non hai un hobby, non esci mai di casa. Certi genitori dovrebbero invece farsi un'attenta analisi di coscienza, perché se un figlio ha certi atteggiamenti, la causa non è del figlio, ma dei genitori che piuttosto dovrebbero domandarsi perché quel figlio si comporta così. Poi, sicuramente, certi figli sarebbero da tirare per le orecchie, non è sempre colpa dei genitori, sicuramente. La mia è una considerazione generale che chiaramente non riesce a rispecchiarsi in ogni situazione, però bisogna sempre vedere il figlio come un sedicenne/diciassettenne/diciottenne o quello che è, non come un uomo adulto che quindi è grosso e vaccinato e allora lì giustamente se uno si comporta in un certo modo è solo sua responsabilità.
L'omosessualità in certi casi acuisce la depressione, come è stato detto non è una causa determinante secondo me, certo però fa davvero molto da contorno e rende il tutto più difficile. Sicuramente non sarebbe così difficile se ci fossero genitori molto aperti mentalmente, ma trovo improbabile che un ragazzo vada dal padre e glielo dica con tranquillità (anche se sicuramente sarebbe una cosa molto bella).
Quando si è adolescenti il confronto e la sperimentazione in campo affettivo e sessuale è importantissimo, per gli etero questo è spontaneo e naturale, per un ragazzo omosessuale la strada è molto più difficile e se tutto va bene, comincia ad avere le prime esperienze quando abbandona casa e va a fare l'università. Il fatto di non poter sperimentare e di non poter avere esperienze, inevitabilmente porta alla solitudine e alla depressione, perché sarebbe come chiedere ad un ragazzo etero la castità.
Andare incontro ad un ragazzo depresso è difficile, perché purtroppo levare il male che c'è alla radice non è facile, e purtroppo poi il ragazzo stesso si abitua a tutte le conseguenze di uno stile di vita depressivo (come il non socializzare, il non impegnarsi in delle attività e via dicendo). Penso che le uniche persone che possano fare qualcosa siano per l'appunto i genitori, perché sono quelle figure che ci ritroviamo a casa e con cui stiamo sotto lo stesso tetto per un bel pezzo di vita.
È un discorso complesso che non è facile da trattare e purtroppo c'è il rischio ogni volta di cadere nella banalità.

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Re: APPROCCIO ALLA DEPRESSIONE GAY

Messaggio da progettogayforum » giovedì 19 gennaio 2017, 22:44

Ringrazio sentitamente Geografo; praticamente condivido tutto quello che ha detto. Ho però alcune cose da aggiungere. Come chi segue questo Forum sa bene, dopo l’avvento dei social la decadenza di Progetto (almeno nelle sue manifestazioni in rete) è stata costante e inesorabile, sono passato dal ricevere 5 o 6 mail serie al giorno a non ricevere più posta. Non ci sono nuovi utenti nel forum e quelli vecchi sono spariti. In una situazione simile cerco di utilizzare il tempo traducendo libri sulla omosessualità o scrivendo articoli sullo stesso tema, come l’ultimo, di ieri, su Gay e Storia, relativo a Lord Byron. Poi, ogni tanto, quando riesco a mettere insieme le idee, cioè quando ho una spinta seria a farlo, viene fuori qualche post che può avere un interesse, diciamo così, non eminentemente culturale. Ma per dire qualcosa di sensato bisogna aver ragionato molto e bisogna essersi confrontati con la realtà a muso duro, cosa che non capita tutti i giorni.
Passo ad un’altra questione. Ok, i comportamenti dei genitori condizionano i figli e possono creare danni anche molto seri, ma, dato che i genitori non si possono scegliere, che cosa si può fare? Non mi pongo la domanda dal punto di vista del figlio, che è quello più importante, ma dal punto di vista chi sta fuori del rapporto genitori-figli e si rende conto che in quel rapporto c’è qualcosa che non va. Io penso che lo stato depressivo dei figli non sia imputabile solo ai genitori, né solo ai figli, né ai genitori e ai figli congiuntamente, perché sia i genitori che i figli sono immersi in una rete fittissima di relazioni che, se fosse efficiente, potrebbe, non dico supplire alla carenza del rapporto genitori-figli ma quantomeno alleviare gli stati di disagio che dai quei rapporti possono derivare.
La vita affettiva ha dei circuiti principali e ha dei circuiti sussidiari, integrativi, suppletivi, che, come in tutti gli equilibri biologici possono supplire alle carenze dei circuiti principali. Esistono le amicizie che sono fondamentali al punto che considerarle un sistema meramente integrativo della vita affettiva significa non capirne il valore. Facciamo qualche passo più in là, anche la psicoterapia è un circuito suppletivo della vita affettiva e può esserlo anche un forum come questo. Se questa rete integrativa della vita effettiva funzionasse bene, i problemi di solitudine e di depressione sarebbero decisamente più contenuti. Faccio un esempio: un “ciao” o un “buonanotte” scambiato su skype prima di andare a dormire, sembra una banalità ma può avere un valore enorme, perché è un segno di attenzione, è un sintomo che non si è abbandonati.
Mi sono chiesto più volte quale sia la carenza più comune nei rapporti genitori-figli e l’impressione è che sia l’assenza di qualsiasi forma di comunicazione affettiva seria, l’assenza di confronto, la chiusura sia dei genitori che dei figli in ruoli prefabbricati e la presenza di prese di posizione di principio da entrambe le parti. Mi accade spesso di vedere figli che non si rendono conto delle difficoltà dei genitori, che li giudicano perché non ne capiscono le debolezze, che ci sono, e che spesso i genitori, per parte loro negano e cercano di nascondere dietro ragionamenti che suonano falsi.
Come possono funzionare i circuiti integrativi-alternativi? La risposta può essere una sola: fornendo un ambiente che non sia affettivamente gelido, un ambiente in cui si possa stare bene. Però la parola chiave in tutto questo: “solidarietà” è difficile da mettere in pratica. Ciascuno reclama per sé attenzioni, cura, affetto, ma non è ugualmente disponibile a prendersi a sua volta cura di altre persone, ad avere attenzioni per altre persone, a spendersi per altre persone. Qualche volta succede e allora la rete di solidarietà funziona, altre volte non succede e lì la depressione può trovare freni solo all’interno dell’individuo. Si cresce bene, cioè in modo sereno, senza complessi e con una vera apertura verso il prossimo, solo se ci si sente amati, se si ha la sensazione di valere qualcosa, di contare almeno un po’ per qualcuno. Non c’è bisogno di grandi amori, ma di rispetto e di affetto.

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Re: APPROCCIO ALLA DEPRESSIONE GAY

Messaggio da Geografo » domenica 22 gennaio 2017, 15:37

Il forum purtroppo sta morendo e si vede, certo è che non lo si fa rivitalizzare "floodando" (come si usa nel linguaggio di internet) infiniti articoli a carattere storico sull'omosessualità, perché se si va nella sezione "Orientamento gay" ci sono post bellissimi e attuali che potevano riguardare tutti, ma che ora sono praticamente rimasti nascosti. Capisco che ti può piacere tradurre o scrivere articoli di questo tipo, è sicuramente apprezzabile e molti sono interessanti, ma allora crea una sezione a parte. Se tanti post li fai nascondere, si ottengono anche meno visite da Google.
Altra cosa è che il forum non ha ancora un formato per cellulare, cosa grave in quanto penso che ormai più della metà dei visitatori vengano da dispositivo mobile. Anche fare una presentazione in alto su cosa riguarda il forum (solitudine gay, disagio...) sarebbe una bella idea in quanto rende chiaro il concetto del progetto, che si discosta da altri forum e avvicinerebbe un bel numero di persone.

Chiusa questa parentesi, penso che qui tutti (io compreso chiaramente) parlino secondo il loro punto di vista, cioè da quello che ognuno ha vissuto a livello familiare e lo traspone nella propria risposta.
Rimango dell'idea che però la "colpa" sia nella maggior parte da imputare ai genitori. I genitori non si scelgono, questo sicuramente, e purtroppo se a una persona sono capitati dei genitori di un certo tipo, c'è poco da fare.
Ma rimango dell'idea che non ci si può aspettare tanto da un ragazzino, il passo lo deve sempre fare il genitore. Senza dubbio ci sono dei ruoli, e ognuno deve adempiere al proprio ruolo (ruolo di genitore e ruolo di figlio), ma bisognerebbe partire dal fatto che un genitore è un uomo adulto, il figlio resta invece un ragazzino ed essendo un ragazzino, le colpe che fa il genitore si tramutano nei figli.

Tanto per raccontare, qualche tempo fa ho incontrato una signora che conosco, che mi ha raccontato di come il figlio stesse inguaiato a livello legale perché, un po' di anni fa, aveva picchiato un ragazzo autistico di fronte agli amici per sentirsi figo. È chiaro parliamo di persone estremamente semplici che non vengono da un contesto sociale alto (tanto per far capire, questa signora vive col figlio in un complesso di case popolari del paese).
Al momento la causa è ancora in corso, fatto sta che rischia che gli diano gli arresti domiciliari, e questo già a meno di 20 anni si è ritrovato con la vita rovinata, sia perché in paese non ha una buona reputazione (e fidatevi che nei posti piccoli, se non hai una buona reputazione sei rovinato), sia perché adesso passerà una buona parte della propria vita recluso in casa, sia perché non avrà mai un lavoro e sia perché il pentimento per quello che ha fatto se lo porterà per tutta la vita.
Chiacchierando, la signora mi ha detto che al momento il figlio va da uno psicologo e che, prima di picchiare questo ragazzo autistico, aveva preso la decisione di lasciare la scuola. Questo in quanto frequentava un istituto professionale in cui era vittima di bullismo e i compagni gliele combinavano di tutti i colori, ad esempio dandogli fuoco al cappotto, insultandolo e via dicendo (si sa che quelli che stanno al professionale non è che siano angioletti eh).
Adesso, sicuramente quello che ha fatto lui è gravissimo, imperdonabile e, permettetemi il termine, da coglione e da codardo. La colpa è sua e deve scontarsi la pena. Però, 'sta madre poteva pure occuparsi della vita del figlio, capire che non stava bene in quell'ambiente scolastico e invece di fargli lasciare la scuola a 16/17 anni, trovargli un altro istituto? Chiaramente quello stava distrutto per come era stato a scuola, bighellonava per il paese senza avere niente da fare e le amicizie che aveva presumo non fossero 'sto granché.
La colpa resta ed è del figlio, certo è che la madre poteva pure seguirlo un po' fin dall'inizio, perché se lo avesse seguito un minimo magari non si ritrovava a stare in giro in paese a fare il delinquente e non si era giocato la sua vita.
È assurdo stupirsi delle azioni dei figli se poi siamo noi che li indirizziamo verso certe strade, a causa di nostri comportamenti o per la mancanza di decisioni corrette per la loro vita.
Allo stesso modo non ci si può stupire per un figlio depresso se noi siamo i primi a non aver preso decisioni corrette, a non indirizzarli verso certe strade, ad avere certi comportamenti.
I figli sicuramente non sono dei santi, io non sto incolpando in maniera totale i genitori, ma sto dicendo che bisogna sempre vedere prima di tutto il figlio come un bambino e il genitore come un adulto. E l'adulto deve essere in grado di essere una guida per il bambino, altrimenti il bambino non riesce ad orientarsi.

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