raccolta epistolare varia, antica e miseramente umana:
08.02.2019 primo meriggio
Il giorno sen va, ogniuno lo stesso. Che dire di questo tempo? insopportabile, a nessun frutto porta.
Si sente gorgogliare il petto, come a dir che è inutile raccontarsi, che non porta a niente.
Il dolore crea solitudine.
Fa' qualcos'altro mi dico.
Come può essere la gente così impassibile davanti al pianto degli altri?
Abbiamo la nostra vita.
Ogniuno ha la propria vita.
Ma non appartiene solo a me questa esistenza.
Come potrebbe recarmi giovamento un bene senza che io non sia disposto a cederlo?
Non è mia questa vita.
È di chi la vuole.
Il nostro dolore ci allontana.
Ma già siamo lontani per natura.
Rinfiorano i giacinti.
E canto del tempo mortale che mai più sopraggiungerà.
Atteone
EPISTOLE AI COLOSSI
Re: EPISTOLE AI COLOSSI
10.02.2019 prima notte
Sopporta o cuore, che ben soffersi in petto cose peggiori. E d'umbro manto vorrei aver sparso le spalle, or che questa indole furente mi mena non più in diporto. Pur quando degli uomini sentivo il vociar dissonante, in te i' trovava refugio, o Sol del vespro, e tu adesso non sai. E amava un’ombra che dicea t’amo, t’amo, t’amo...
Dimmi il vero, chi amerà quel tosco, che dalla Tarpea gittò ogniun che diceagli parole d’amor?
Mi fò coi tuoi raggi una beata solitudine di strazio. È l’uomini ch'io fuggo.
E la mia favella è per lor barbaro lamento.
Ho il corpor che rassomiglia quello di mio padre, le mie mani non siano violente come le sua.
All'uomo solo
ancora più amica
la luna
(Yosa no Buson)
Atteone
Sopporta o cuore, che ben soffersi in petto cose peggiori. E d'umbro manto vorrei aver sparso le spalle, or che questa indole furente mi mena non più in diporto. Pur quando degli uomini sentivo il vociar dissonante, in te i' trovava refugio, o Sol del vespro, e tu adesso non sai. E amava un’ombra che dicea t’amo, t’amo, t’amo...
Dimmi il vero, chi amerà quel tosco, che dalla Tarpea gittò ogniun che diceagli parole d’amor?
Mi fò coi tuoi raggi una beata solitudine di strazio. È l’uomini ch'io fuggo.
E la mia favella è per lor barbaro lamento.
Ho il corpor che rassomiglia quello di mio padre, le mie mani non siano violente come le sua.
All'uomo solo
ancora più amica
la luna
(Yosa no Buson)
Atteone
Re: EPISTOLE AI COLOSSI
14.02.2019 tarda sera
I palmi di mia madre son quelli ch'io non viddi mai. E ho straziato il mio corpo nel nome d'un amor materno. Frocio di merda quando a me si gridava. Madre, le mie mani sanguinano, ma il mio sangue è pure il vostro.
Pur dite che merito questo dolor. Niun, niun t'amerà, t'amerà, mai, quel dì mutilavate il silenzio.
E che dirò a quei della mia stessa età? O perdonate, voi, io non ragiono più. È divenuta cosa seria il mio cuore, non riderò più ai vostri risi. Non amerò ciò che amate, non piangerò a quel che voi piangete.
La gioventù è comune ma il dolore che il tempo pose ci trascina via gridando.
Perché, misero, ancora invoco gli dèi?
I palmi di mia madre son quelli ch'io non viddi mai. E ho straziato il mio corpo nel nome d'un amor materno. Frocio di merda quando a me si gridava. Madre, le mie mani sanguinano, ma il mio sangue è pure il vostro.
Pur dite che merito questo dolor. Niun, niun t'amerà, t'amerà, mai, quel dì mutilavate il silenzio.
E che dirò a quei della mia stessa età? O perdonate, voi, io non ragiono più. È divenuta cosa seria il mio cuore, non riderò più ai vostri risi. Non amerò ciò che amate, non piangerò a quel che voi piangete.
La gioventù è comune ma il dolore che il tempo pose ci trascina via gridando.
Perché, misero, ancora invoco gli dèi?
Re: EPISTOLE AI COLOSSI
15.02.2019 prima notte
Questa castità mi conduce al pendio della morte. Qual gaudio di virtù, il Cristo fier di te sarà. Ed eran tutti l'arti frementi, non beatitutine avevo. E m'aggiravo vestale tra' lupi. Vuoi il mio corpo? Chiedi, et io te lo darò. D'una pura luce eran un giorno i miei occhi intrisi, come due pargoli che miran al mondo.
Uman, che ero più io? Guardavo alle statue di gelso, bianch'eteree de' portali, ed io, sommo infelice, ero privo di vita come loro. E indicavo cieli per me acefali d'un dio, il tuo tron è vuoto, vuoto tra l'astri!
Che fò, cerco l'amor. Né mai io so lo troverò quivi.
Quando al chiedermi un corpo un'anima ti darò come tacerò gli occhi di pianto?
La verità, vi prego, sull'amore.
Atteone
Questa castità mi conduce al pendio della morte. Qual gaudio di virtù, il Cristo fier di te sarà. Ed eran tutti l'arti frementi, non beatitutine avevo. E m'aggiravo vestale tra' lupi. Vuoi il mio corpo? Chiedi, et io te lo darò. D'una pura luce eran un giorno i miei occhi intrisi, come due pargoli che miran al mondo.
Uman, che ero più io? Guardavo alle statue di gelso, bianch'eteree de' portali, ed io, sommo infelice, ero privo di vita come loro. E indicavo cieli per me acefali d'un dio, il tuo tron è vuoto, vuoto tra l'astri!
Che fò, cerco l'amor. Né mai io so lo troverò quivi.
Quando al chiedermi un corpo un'anima ti darò come tacerò gli occhi di pianto?
La verità, vi prego, sull'amore.
Atteone