E' recente la notizia che la Russia è tornata a dichiarare l'omosessualità malattia mentale. Le considerazioni di principio potrebbero essere tante. Tuttavia quando si dice che viene così cancellato oltre mezzo secolo di battaglie per i diritti vale la pena chiarire di che cosa si stia parlando. Avevo pensato di tenere questo scritto per me, però penso possa essere questo un luogo adeguato nel quale utilizzarlo come spunto di riflessione. Si tratta di un testo abbastanza lungo dove costringo al massimo le riflessioni per lasciare spazio a quante più citazioni possibili. Scrivo di getto e non rileggo tantissimo per cui perdonate i refusi, cui comunque negli anni dovreste esseri abituati al mio riguardo
L’omosessualità nella visione occidentale
La visione sessuale ereditata dal cristianesimo esprime certamente una matrice maschilista e patriarcale, dentro la quale il culto della “vergine” diventa dileggio del corpo profanato della donna e disgusto per l’uomo efebico, che attribuisce a se movenze e sensibilità femminili. Dal mio punto di vista ciò che urta la sensibilità comune sul tema dell’omosessualità, non è l’atto omosessuale in sé, spesso legittimato purché nel ruolo dell’attivo, ma l’immagine del femmineo “violato” dal corpo dell’uomo che si offre all’uomo senza reticenze alcune e senza violare alcun sacramento. Imita la donna, ma di lei non possedendo alcuna dote creatrice non ne condivide l’immago sacra. Il misto di repulsione e attrazione per questo tipo di immagine, determina una cortocircuito emotivo che porta a repellere non il gay in quanto tale, ma l’effemminato. Questo tipo di atteggiamento per altro resiste ancora oggi, allorché costretti all’accettazione dell’omosessualità, si continua a sottolineare con riprovazione il fatto che non si debba ostentare.
L’immagine storpiata del mascolino, dunque il “passivo” o “l’effemminato” è ripudiata perché inserita in una cornice più ampia e coerente di divisione netta del maschile e del femminile. Laddove per netta è da intendersi sacra (maschio e femmina Dio li creò). Di fronte a questa perfetta divisione dei ruolo l’omosessuale irrompe come ragione di scandalo. All’uomo, è richiesta forza, coraggio, audacia, autorità e protezione rispetto ad una donna dominata, accondiscendente, timorata, fragile e protetta. La sovversione del ruoli “naturale” dell’impollinatore e del ricettore, del positivo e del negativo, rappresenta la rottura diun equilibrio sacro. Streghe e omosessuali, il volto antico dell’isteria di cui parlerà la psicoanalisi insomma, in questo contesto non ebbero vita facile.
In questa scissione teatro della battaglia moralizzatrice diventa senza dubbio il corpo della donna che deve sedurre senza consumare, procreare senza provare desiderio, abitacolo del mistero sacro della vita, come dei liquami rossi del peccato. L’uomo “effeminato” che imita la donna nei suoi comportamenti e nel suo ruolo conserva così solo il lato oscuro dell’amplesso, privato com’è del potenziale generatore della vita. In lui non v’è dunque nessuna contraddizione, né possibilità di redenzione. Il giudizio è inesorabile, alla tentazione dei sensi corrisponde solo il disgusto per una fonte peccaminosa di desiderio.
Fuori da questa visione complessiva della sessualità non ha senso, dal mio punto di vista, nemmeno provare ad inquadrare il tema dell’omosessualità, perché la trama del racconto perderebbe nodi fondamentali del suo intreccio. La morale cattolica è primariamente sessuofobica, secondariamente maschilista e solo in ultimo omofobica.
Il catechismo della Chiesa Cattolica: la castità
Nel Catechismo della Chiesa Cattolica, in particolare, i temi della condotta sessuale vengono quindi fatti confluire nel secondo capitolo Ama il prossimo tuo come te stesso, e inclusi in un percorso che partendo dalle tematiche di genere (maschio e femmina Dio li creò), passando per il tema della castità, delle “offese alla castità” arriva a specificare che le cause dell’omosessualità non sono state ancora chiarite e che questa si manifesta in modo diverso nelle diverse culture. Procede infine al rimando alle Sacre scritture dove la condanna è franca e netta:
Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all'atto sessuale il dono della vita.
L’omosessuale non va quindi ripudiato per la sua condizione.
Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione.
e al pari che l’eterosessuale è chiamato alla castità:
Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un'amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana.
La castità è la chiave di volta dell’aspirazione morale, per cui vale la pena ricordare i passaggi precedenti limitandoci a parafrasarli.
Spetta a ciascuno, uomo o donna, riconoscere ed accettare la propria identità sessuale. […] L'unione dell'uomo e della donna (rapporti sessuali) nel matrimonio è una maniera di imitare, nella carne, la generosità e la fecondità del Creatore. Da questo consegue che: “La castità esprime la raggiunta integrazione della sessualità nella persona e conseguentemente l'unità interiore dell'uomo nel suo essere corporeo e spirituale”.
La castità è una condizione di aspirazione universale dell’uomo a Dio che comporta l’integrità (astinenza) della persona e l’integrità del dono (verginità). Si esprime particolarmente nell'amicizia per il prossimo. Coltivata tra persone del medesimo sesso o di sesso diverso, l'amicizia costituisce un gran bene per tutti.
Le forme della castità sono quelle degli sposi, quelle della vedovanza e quelle della verginità. Le persone sposate sono chiamate a vivere la castità coniugale; le altre praticano la castità nella continenza (avere rapporti solo al fine di procreare). I fidanzati sono chiamati alla castità. Costituiscono offese alla castità
- La lussuria: Il piacere sessuale è moralmente disordinato quando è ricercato per se stesso, al di fuori delle finalità di procreazione e di unione.
La masturbazione: definito atto intrinsecamente e gravemente disordinato
La fornicazione: gravemente contraria alla dignità delle persone e della sessualità umana
La pornografia: che lede gravemente la dignità di coloro che vi si prestano (attori, commercianti, pubblico) […], immerge gli uni e gli altri nell'illusione di un mondo irreale. In quanto una colpa grave, le autorità civili devono impedire la produzione e la diffusione di materiali.
La prostituzione: Offende la dignità della persona che si prostituisce. Colui che paga pecca gravemente contro se stesso. Costituisce una piaga sociale, sempre gravemente peccaminoso.
Lo stupro: viola la giustizia e la carità, lede profondamente il diritto di ciascuno al rispetto, alla libertà, all'integrità fisica e morale.
Concludiamo queste breve rassegna con una frase che ci introduce al passaggio successivo:
La sessualità, mediante la quale l'uomo e la donna si donano l'uno all'altra con gli atti propri ed esclusivi degli sposi, non è affatto qualcosa di puramente biologico, ma riguarda l'intimo nucleo della persona umana come tale.
La posizione della psicoanalisi sull’omosessualità: l’isteria
Il motivo per il quale abbiamo indugiato così tanto sulla questione morale e sessualità così per come è esposta nel catechismo è che in effetti molti dei principi di fondo paiono traslare nell’allora rivoluzionaria posizioni della psicoanalisi di Freud. Pare, in modo più preciso, che venga mantenuto l’intero dell’assetto valoriale, quindi delle affermazioni di principio e che cambi piuttosto la sola direzione di marcia per così dire. Mentre il cristianesimo pedica la castità come condizione della realizzazione dell’uomo e quindi l’ascesa allo spirito. La psicoanalisi di Freud figlia del materialismo storico, cala per terra la questione riferendosi più genericamente a “pulsioni” sessuali, quale motore biologico, “nucleo intimo della persona umana come tale”.
Stupiranno quindi i parallelismi. In particolare per il neurologo tedesco la “nevrastenia maschile” era in larga misura causata proprio dalla masturbazione e anche qualora fosse pratica tra i coniugi come sostituto di un rapporto completo (ivi compresa la pratica del coitus interrotto) era capace di generare nevrastenia nell’uomo e isteria nella donna. Vale la pena citare qualche passaggio particolarmente interessante in proposito:
La nevrastenia degli uomini si acquisisce nell’età pubere e diviene manifesta attorno ai vent’anni. Trae origine dalla masturbazione, la frequenza della quale è perfettamente parallela alla frequenza della nevrastenia negli uomini. […] Si può costatare, nel circolo delle proprie conoscenze, che, almeno nella popolazione urbana, coloro i quali furono in giovane età sedotti dalle donne sfuggono alla nevrastenia. Quando la pratica nociva si protrae a lungo ed è intensa, essa trasforma il soggetto in un nevrastenico sessuale che ha subìto danni anche nella sua potenza, mentre all’intensità della causa corrisponde la persistenza di tale condizione per tutta la vita. […]
Va da sé che nell’ambito della ricerca della salute mentale la pratica della masturbazione non è condannata da un punto di vista morale. Resta però il fatto che sia considerata una pratica nociva già a partire dall’adolescenza, predisponendo il soggetto alla nevrastenia in età adulta. Continuando le sue considerazioni, stupirà poi accorgersi che anche peri Freud, mutati mutandi, il sesso tra coniugi deve avere come finalità la procreazione, ovvero un rapporto completo:
Questa seconda pratica nociva è l’onanismus coniugalis, la copulazione incompleta per prevenire il concepimento. I diversi metodi impiegati a tale scopo sembrano tutti di uguale effetto sugli uomini; operano con diversa intensità a seconda della predisposizione del soggetto, ma qualitativamente non differiscono. Quando il soggetto ha una forte predisposizione o soffre di nevrastenia cronica, anche il coito normale non viene tollerato, e allora l’intolleranza reagisce contro il condom, il coito extravaginale e il coitus interruptus. Un uomo sano tollera tutto ciò abbastanza a lungo, ma anch’egli non indefinitamente: dopo un certo tempo egli pure si comporta nello stesso modo del soggetto predisposto; il suo solo vantaggio sull’onanista è costituito da un periodo di latenza più lungo o dal fatto che ogni volta è necessario l’intervento di una causa determinante. Il coitus interruptus si dimostra qui la principale pratica nociva, che anche in soggetti non predisposti sortisce il suo effetto caratteristico.”
Vengono quindi considerate innaturali tutte le pratiche sessuali che non completano nell’accoppiamento, siano esse pratiche solitarie che di coppia, ivi compresa la pratica del coitus interruptus e del congressus interruptus (rapporti che non concludono con l’eiaculazione) e persino la pratica contraccettiva del condom . A conclusione di queste premesse Freud si chieda quale debba essere il compito del medio, dacché il dissuadere l’uomo dalle pratiche masturbatorie, dovrebbe necessariamente dirottarlo verso rapporti sessuali completi (prematrimoniali).
L’unico sistema sarebbe autorizzare il libero rapporto sessuale fra la gioventù maschile e le ragazze in stato libero: ma a ciò si potrebbe ricorrere solo se vi fossero metodi anticoncezionali innocui. Altrimenti le alternative sono: onanismo, nevrastenia nel maschio, isteronevrastenia nella femmina; o sifilide nel maschio, sifilide nella prossima generazione, gonorrea nel maschio, gonorrea e sterilità nella femmina. Il trauma sessuale del secondo periodo ci pone lo stesso problema: come trovare un metodo innocuo per prevenire il concepimento, poiché il condom non procura una soluzione sicura, né costituisce una soluzione accettabile per chi è già nevrastenico. (Per tutti i passi citati cfr. Etiologia della nevrosi, S. Freud Opere Complete).
Per quanto cioè la conclusione di Freud sia radicalmente diversa da quella della chiesa cattolica, che considerava sacra la castità, le premesse da cui opera il ribaltamento paiono le stesse. Le principali patologie tanto nell’uomo, quanto nella donna deriverebbero si dall’astinenza sessuale, che sfocerebbe in pratiche patologiche come visto, ma sottostà la stessa visione della “naturalità” del rapporto sessuale finalizzato alla procreazione. In questa visione l’omosessualità non può non comparire come comportamento patologico. L’omosessuale stesso è inteso come uomo mancato, ovvero uomo che non ha superato la fase edipica dello sviluppo e costretto dall’angoscia di castrazione a vissuti isterici. Non è interessante per noi ripercorrere la teoria psicoanalitica sulla omosessualità, quanto piuttosto sottolineare le analogie tra questa visione e quella cristiana dominante.
Le prime tesi ontologicamente nuove in materia arrivano da Alfred Kinsey il quale nella vita, per fortuna sua, faceva tutt'altro che il medico. Famose erano le sue tassomie sugli insetti. Tuttavia proprio questo approccio neutro gli permise uno studio più neutro del fenomeno dell'omosessualità (ricorrente in molte specie animali). La sua metodologia era improntata sulla semplice osservazione del fenomeno e partiva dal presupposto darwiniano che le variazioni comportamentali avessero una importanza evolutiva. Fu anche il primo che per questa stessa ragione, cominciò a studiare il fenomeno dell'omosessualità sull'intero della popolazione e non soltanto osservando pazienti che avevano già disturbi mentali o comportamenti devianti (popolazione manicomiale e carceraria). I suoi studi si limitarono a intervistare persone NON PSICHIATRICHE, scoprendo con grande sorpresa che pensieri omosessuali erano assai più diffusi di quel che si credesse, anche tra gente assolutamente sana mentalmente. A Kinsey si deve la teoria oggi riconosciuta dall'OMS dell'omosessualità come variante della sessualità umana. Che venne quindi definitivamente eliminata dalla Classificazione Internazionale della Malattie (ICD) solo nel 1990.
Bene fatta questa opportuna premessa possiamo entrare nel vivo della trattazione e percorrere l’evoluzione del concetto di omosessualità, in ambito contemporaneo.
Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD) e omosessualità
L’ICD nasce allora allo scopo di classificare le cause di morte. Diventa oggi il primo strumento di classifica delle malattie, che vengono quindi raggruppate in nomenclature e numerate (tassonomia). Il Capitolo V (320-326) è quello dedicato alle malattie mentali ed è lì che fino al 1990 come detto, compariva anche l’omosessualità.
Nell’ ICD 6 (1948) e nel ICD-7 (1955) al Capitolo V dei Disturbi mentali, psiconevrotici e di personalità, come sotto classe si trovavo i Disturbi del carattere, del comportamento e dell’intelligenza (codici 320–326)”, quindi la
Personalità patologica (codice 320)
320.6 Deviazione sessuale
Che comprendeva raggruppandoli tutti in un unico codice:
- esibizionismo,
feticismo,
omosessualità,
sessualità patologica,
sadismo,
d
NelI’ICD-8 (1965)
sempre al Capitolo V dei Disturbi mentali, troviamo come sottoclasse delle Nevrosi, disturbi della personalità e altri disturbi mentali non psicotici (codici 300–309) la Deviazione sessuale (codice 302) questa volta distinta in 9 sottocodici:
302.0 Omosessualità Include: lesbismo, sodomia
302.1 Feticismo
302.2 Pedofilia
302.3 Travestitismo
302.4 Esibizionismo
302.8 Altre deviazioni sessuali Include: erotomania, masochismo, narcisismo, necrofilia, ninfomania, sadismo, voyeurismo
302.9 Deviazione sessuale non specificata. Che includeva: sessualità patologica NAS (Non Altrimenti Specificata), deviazione sessuale (NAS).
Nell’ICD 9 (1975)
sempre al Capitolo V dei Disturbi Mentali, alla sottoclasse Disturbi nevrotici, disturbi della personalità e altri disturbi mentali non psicotici (codici 300–316), troviamo la voce Disturbi e deviazioni sessuali (codice 302), distinta anche questa volta in 9 sottocodici:
302.0 Omosessualità/Lesbismo
302.1 Bestialità
302.2 Pedofilia
302.3 Travestitismo
302.4 Esibizionismo
302.5 Transessualismo
302.6 Disturbi di identità psicosessuale Include: disturbo del ruolo di genere
302.7 Frigidità e impotenza Include: dispareunia psicogena
302.8 Altra deviazione o disturbo sessuale Include: feticismo, masochismo, sadismo
302.9 Deviazione o disturbo sessuale (NAS)
L’ICD 10 (1992)
Viene quindi pubblicato a seguito della storica cancellazione dell’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali (1990). Tuttavia anche se viene specificato che “il solo orientamento omosessuale non è da considerarsi un disturbo”. Sempre al Capitolo V dei Disturbi psichici e comportamentali (F00-F99), tra i Disturbi della personalità e del comportamento nell’adulto (F60-F69) troviamo ancora:
• F60 Disturbi di personalità specifici
• F61 Altri disturbi di personalità e forme miste
• F62 Modificazioni durature della personalità non attribuibili a danno o malattia cerebrale
• F63 Disturbi delle abitudini e degli impulsi
• F64 Disturbi dell’identità sessuale
• F65 Disturbo della preferenza sessuale
• F66 Problemi psicologici e comportamentali associati con lo sviluppo e l’orientamento sessuale
• F68 Altri disturbi della personalità e del comportamento nell’adulto
• F69 Disturbo non specificato della personalità e del comportamento nell’adulto
L’omosessualità viene quindi sganciata dal capitolo delle “devianze sessuali” e ricollocata nella categoria dei “disturbi di personalità e del comportamente” come “Disturbo dell’identità sessuale (F64)” della “preferenza sessuale (F65)” e ancora come insieme di “problemi psicologici e comportamentali associati allo sviluppo e all’orientamento sessuale (F66)”. In questo ambito sono considerati ancora problemi da affrontare in ambito di sessualità (che però paiono specifici esclusivamente dei omosessuali):
- Il disturbo della maturazione sessuale (di ascendenza freudiana), definito come un disturbo mentale applicato a un individuo che soffre di “ incertezza sulla propria identità di genere o orientamento sessuale”. Il disturbo è caratterizzato da ansia o depressione, maggiormente diffuso tra gli adolescenti che non sono certi del loro orientamento sessuale e tra individui che dopo un periodo di orientamento sessuale apparentemente stabile, spesso all’interno di una relazione di lunga data, scoprono che il loro orientamento sessuale sta cambiando. Sopravvive quindi ancora l’idea che i problemi di definizione dell’identità sessuale (coloro che fanno fatica a definirsi), possano ancora associarsi a problemi di definizione del sé e “identità diffusa”, quindi riferirsi a disturbi di personalità.
L’orientamento sessuale egodistonico. Soffrirebbero di questo disturbo individui che invece non faticano a definire la propria identità di genere o preferenza sessuale, ma che desiderano ciò nonostante modificarla a causa di disturbi psicologici e comportamentali associati. Questi soggetti possono quindi cercare un trattamento per modificare il loro orientamento. Questo è uno dei temi di ambiguità ancora presente nell’ICD 10, laddove autorizzare al terapie riparative nei fatti contraddice l’assunto iniziale che l’omosessualità sia una variante naturale della sessualità umana, ovvero naturale, intrinseca e originaria nell’individuo.
Il “Disturbo della relazione sessuale” è una categoria riferita a coloro la cui anomalia dell’identità di genere o delle preferenze sessuali determina difficoltà nel formare o mantenere una relazione stabile con un partner sessuale.
Nel 2018 l’OMS ha pubblicato l’ultima versione dell’ICD (11).
È stato presentato all’Assemblea Mondiale della Sanità nel 2019 e la sua entrata in vigore per i paesi membri era prevista per l’inizio dello scorso anno (2022). In particolare dal Capitolo VI dedicato Disturbi mentali, comportamentali e dello sviluppo neurologico (6A00 – 6E8Z) scompare il tema dell’orientamento sessuale inquadrato in nuovo capitolo dedicato alle Condizioni relative alla salute sessuale (HA00-HA6Z). La versione 11 dello ICD è quindi ancora da definirsi e comunque da applicarsi ai Sistemi Sanitari Nazionali, oltre che essere recepita definitivamente dalla popolazione. La condizione sessuale come si è detto viene analizzata sia rispetto alle cause organiche (disfunzionalità sessuali) che inorganiche in un capitolo a parte, dove viene introdotto per la prima volta il concetto di salute mentale. In effetti dando una scora veloce risulta impossibile adesso inquadrare alcune tipologie di problemi come specificamente omosessuali.
Si legge tra le voci:
Disfunzioni sessuali distinte in disfunzioni del desiderio, dell’eccitazione, orgasmiche, eiaculatorie,
Disturbi del dolore sessuale seguite da “considerazioni eziologiche” e infine le ultime due voci dedicate alle “incongruenze di genere” rispettivamente “dell’adolescenza e dell’età adulta” e “dell’infanzia".
Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi Mentali (DSM) e oosessualità
Che cos’è il DSM ?
Il Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi Mentali è a torto rinominato la “Bibbia” degli psicologi e psichiatri. Pur essendo un punto di riferimento oramai ineludibile, nasceva allora come documento della Associazione Psichiatrica Americana, per tentare di rendere quanto più omogeneo possibile il linguaggio degli operatori di salute, sia rispetto all’inquadramento diagnostico che alle definizioni di segni e sintomi. Nelle prime due versioni si sovrapponeva quasi interamente all’allora dominante approccio psicodinamico, per poi separarsene in termini di maggiore “neutralità”. Come ebbe a dire Habermas già in “Conoscenza e Interesse”, una teoria che salta il momento della propria riflessione critica, aderendo immediatamente all’oggettività del “fatto” innalza quest’ultimo a principio metafisico. Di lì a breve la pretesa “neutralità” del DSM è divenuta “oggettività” e approccio metodologico. Se tuttavia dovessimo dire cos’è il DSM, resterebbe quello che dice di essere: uno strumento diagnostico. Se lo psichiatra fosse un ortopedico, il DSM sarebbe una radiografia. Ovviamente il paragone regge solo in parte dacché il radiografo (strumento per produrre la radiografia) sarebbe egli stesso. Esiste vale a dire in psichiatria come in psicologia un elemento di soggettività, interpretatività, che non soltanto è ineludibile, ma in alcuni casi parte del processo che porta alla diagnosi (controtransfert).
Tutte queste premesse bastino a precisare che il DSM tutto è tranne che una Bibbia o parola “rivelata”, non contiene vale a dire alcuna verità, da intendersi con questa teorie dentro cui organizzare i fatti, ma si limita a “fotografare” la realtà del tempo. Come tutte le foto invecchiano velocemente, ragione per la quale viene periodicamente aggiornato.
Nella prima versione del 1951 l'omosessualità compariva come sottogruppo dei "disturbi di personalità" ed in particolare della "personalità sociopatica". Questo perché il comportamento omosessuale era considerato “deviante”, al pari dunque di tutti gli altri comportamenti “antisociali” (stupro, furto, prostituzione, pedofilia, ecc). Inizio insomma non poteva essere più ostile.
La posizione del DSM e della teoria psicodinamica in generale su cui era stato costruito era tuttavia da preferire alla tradizione morale occidentale. Presupponeva infatti, come per tutte le “devianze” che la condanna dipendesse dal contesto culturale nel quale sorgeva. Per essere più chiari se mangiassimo il cadavere di qualcuno dopo averlo ucciso, sarebbe certamente inquadrati come “personalità antisociali”. Se al contrario fossimo nati in una delle tante società tribali cannibali, saremmo stati dei soggetti perfettamente sani. In altre parole di tutti i disturbi mentali, quelli di personalità in generale e il disturbo antisociale (sociopatia) in particolare sono collegati al contesto sociale nel quale nascono e dal quale dipende in larga misura l’insorgenza. Si tratta appunto di patologie sociale o appunto socio-patie.
Per quanto severo fosse il giudizio sull’omosessualità restava il fatto che cambiando i costumi sociali e la visione generale della morale collettiva, alcune condotte avrebbero potuto decadere dal quadro patologico (come nei fatti avvenne). In conclusione alla vi era l'idea che l'individuo omosessuale fosse “malato principalmente perché in disaccordo con le leggi sociali e la necessaria conformità con l'ambiente prevalente” (APA-1952).
DSM I (1952)
Per tornare al DSM del 1951 si leggeva in particolare a proposito di sociopatie:
Gli individui che si trovano in questa categoria sono malati principalmente a livello di adattamento sociale e di conformità con l'ambiente culturale prevalente, e non solo a livello di disagio personale e di relazioni con gli altri individui. Tuttavia, i comportamenti sociopatici sono molto spesso sintomatici di gravi disturbi di personalità, nevrosi o psicosi, o si verificano come conseguenza di una lesione cerebrale organica o di una malattia" (DSM I, 1952 pp. 38).
In questo contesto l’omosessualità viene collocata sintomo di patologie più gravi, oppure come patologia a se stante, forma esclusiva di “devianza”, ovvero che non comporta nessun altro disturbo ovvero come forma:
di sessualità deviante che non è sintomatica di sindromi più estese, come le reazioni schizofreniche e ossessive. Il termine include la maggior parte dei casi precedentemente classificati come personalità psicopatica con sessualità patologica. La diagnosi specificherà il tipo di comportamento patologico, come omosessualità, travestitismo, pedofilia, feticismo e sadismo sessuale (inclusi stupro, violenza sessuale, mutilazione)” (DSM I 1952, pp. 38-39).
Insomma il punto di partenza è sovrapponibile a quello dell’ICD (che mutava in effetti dal DSM la sua organizzazione sul tema).
DSM II (1968)
Nella seconda versione del DSM l’omosessualità viene sganciata dal contesto delle sociopatie, ma rimase raggruppata tra i Disturbi della personalità e certi altri disturbi mentali non psicotici (p. 41). Resta quindi classificata come devianza sessuale parte delle altre “parafilie” (comportamenti sessuali atipici). Come già detto in precedenza, probabilmente il maggiore frainteso sull’omosessualità derivava dal fatto che psicologi e psichiatri si rapportavano ad un campione “ristretto” di individui, già patologici altrove. Mentre dunque psicologi e psichiatri cercavano di “curare” l’omosessualità perché considerata una patologia, gruppi di ricercatori estranei all’ambiente clinico, cominciavano ricerche più estese, occupandosi di omosessualità non patologica. Reclutando soggetti che appartenevano alla popolazione generale, emergeva una complessità nel posizionamento sessuale, rispetto alla quale l’omosessualità rappresentava una semplice “variante”. L’associazione Psichiatrica Americana ignorò per lungo tempo questi studi e di effetti le maggiori modifiche alla convinzione pubblica sull’omosessualità arrivarono dal “basso” per così dire. Nel 1969 alcuni attivisti gay si riunivano a Stonewell, opponendosi al raid della polizia e contrastando con successo il tentativo del governo di chiudere i locali gay. Nasce così il movimento che oggi prende il nome di “LGBTQ+”.
Come risultato, durante gli incontri annuali dell'APA avvenuti tra il 1970 e il 1972, un numero crescente di psichiatri, guidati da Dr. Robert Spitzer e da altri membri della Task Force dell'APA assegnata a: “Nomenclatura e Statistica”, iniziò a sostenere la visione di questi attivisti gay.
Nonostante una feroce opposizione interna di alcuni membri dell'APA, Spitzer e il suo gruppo incontrarono questi attivisti di persona e ascoltarono le loro argomentazioni che erano basate su ricerche scientifiche.
Questi attivisti convinsero la Task Force a studiare ulteriormente il problema. La ricerca condotta dalla Task Force ha permesso quindi di giungere alla proposta di eliminare l'omosessualità dal DSM. La proposta venne approvata dal “Board of Trustees” dell'APA nel dicembre 1973. Altre importanti organizzazioni professionali di salute mentale seguirono rapidamente l'esempio (Duberman), M., 1994,
Nonostante il supporto di numerosi comitati dell’APA ed il successivo passaggio di una dichiarazione da parte dell’APA stessa che supportava la protezione dei diritti civili delle persone omosessuali, alcuni membri dell'APA, in particolare alcuni psicoanalisti, continuarono a condividere opinioni sull’omosessualità basate su teorie patologizzanti.
Tali membri appartenenti al mondo psicoanalitico sfidarono la dirigenza dell'APA chiedendo un referendum sull’argomento. A seguito di tale referendum, la decisione di rimuovere l'omosessualità dal DSM venne confermata con una maggioranza del 58% dei membri votanti.
La depatologizzazione dell’omosessualità fu anche in questo caso un percorso lungo e sofferto all’interno della comunità scientifica. Dalla votazione stessa in effetti emerse una profonda spaccatura. Nella sesta edizione del DSM II (1973) compare il Disturbo dell’orientamento sessuale. La soluzione di compromesso fu distinguere l’omosessualità ego-sintonica da quella ego-distonica. Laddove vale a dire il soggetto non percepiva disagio rispetto al proprio orientamento sessuale, non v’era patologia. Ora invece la condizione causasse sofferenza e disagio (ansia e desiderio di cambiare orientamento) si collocava un “disturbo”. Questa nuova diagnosi non fu in grado di placare la controversia sul tema.
Era tuttavia chiaro il compromesso, come pure il fatto che il cambiamento culturale non poteva essere repentino. Nessun etero avrebbe mai ricevuto una diagnosi di “disturbo dell’orientamento sessuale” desiderando di diventare omosessuale. Appariva cioè chiaro che il disagio rispetto alla propria condizione, fosse legato al contesto sociale e culturale e non una condizione intrinseca. La nuova diagnosi inoltre continua a legittimare le terapie riparative o di conversione sessuale.
DAL DSM III (1980) al DSM V
La terza edizione del manuale diagnostico prosegue nei fatti l’iter in modo graduale e coerente eliminando il Disturbo dell’orientamento sessuale e introducendo la categoria nosografica di Omosessualità Egodistonica definita come
desiderio di acquisire o aumentare una tipologia di arousal eterosessuale, in modo che relazioni eterosessuali possano essere iniziate o mantenute, e un modello sostenuto di eccitazione omosessuale che l'individuo afferma esplicitamente essere indesiderato e fonte persistente di angoscia” (pp. 281)
Quando si dice “La pezza è peggiore del buco”. Il disturbo (in negativo), veniva inquadrato come desiderio (in positivo) di aumentare il proprio livello di eterosessualità, in contrasto con pulsioni omosessuali indesiderate e (queste si) fonte di angoscia. Lo sforzo che personalmente intravedo, era quello di conservare l’impianto della teoria psicodinamica, che strutturalmente collegava le patologie mentali e i sintomi al interruzioni nel normale processo di sviluppo. Era cioè imprescindibile l’idea di un “normale” e di un “deviante”. Ad ogni modo la diagnosi ebbe vita breve e nella successiva revisione del 1987 venne rimossa in favore di un più generico Disturbo sessuale NAS (non altrimenti specificato) definito come
persistente e marcato disagio nei confronti del proprio orientamento sessuale. (APA, 1987, pp. 296).
La diagnosi vien mantenuta nel DSM-IV (APA, 1994) e nel DSM-IV-TR (APA, 2000). Per essere rimossa solo con la quinta (e attuale) edizione del DSM-V (2013), dove resta solo la diagnosi di “disforia di genere”. La questione del genere (di cui non ci occuperemo) viene quindi separata definitivamente dalla questione dell’orientamento sessuale, rinunciando così definitivamente allo stigma sociale dell’omosessuale come “effemminato” e riconoscendo la questione dell’orientamento di genere (gusti sessuali), come qualcosa di diverso rispetto al desiderio di appartenere al genere opposto.
Conclusioni
Questo brevissimo excursus ha avuto il solo scopo di mostrare il travaglio (tutt’altro che repentino) che ha comportato la modifica di un pregiudizio sessuale, talmente radicato nella mentalità dell’uomo occidentale da persistere anche in chi avrebbe dovuto combatterlo. Abbiamo infatti visto come la teoria psicodinamica (dominante in ambito psichiatrico agli esordi) convergeva sui nodi fondamentali della sessualità rispetto alla morale corrente e di ispirazione cattolico-cristiana. Per questa ragione il superamento del vecchio modello di omosessualità ha comportato nei fatti una presa di distanza dal modello psicoanalitico in favore di approcci più snelli e performanti legato a modelli cognitivo comportamentali. A risentirne in primo luogo è il concetto di “isteria” cardine della teoria psicoanalitica, di fatto sparito dal DSM già alla terza edizione.
Si trattava di un titolo diagnostico molto interessante perché generico e capace di adattarsi alla storia del paziente, rispetto all’attuale approccio per il quale pare più scontato procedere con l’operazione contraria, vale a dire semplificare il vissuto del paziente per adattarlo al titolo diagnostico.
La scomparsa del concetto di isteria, confluito nell’attuale disturbo istrionico di personalità, quinti imparentato con il disturbo narcisistico e borderline, rende apolidi una infinità di soggetti che di fatto restano “nevrastenici”, somigliando a “narcisisti”, borderline ma restando nei fatti “isterici”. Sulla stessa questione dell’omosessualità, l’idea corretta di considerarla una variante “naturale” della sessualità umana e perciò ascritta a quadro delle caratteristiche innate, deresponsabilizza il soggetto omosessuale e fa cadere l’intera responsabilità del suo benessere sulla società che deve accettarlo per produrre in lui benessere. Detto in maniera più semplice il fatto che non ci si debba prendere cura del comportamento omosessuale, lasciando che scorra libero dentro la persona, non comporta che non bisogna prendersi cura della persona, dei suoi vissuti, dei suoi traumi e del suo sistema relazionale profondo. L’omosessualità continua a svelare importanti squilibri sul piano affettivo, relazionale e celare in qualche caso vissuti traumatici, che andrebbero investigati e di cui il soggetto dovrebbe farsi carico, senza aspettarsi in continuazione che siano sempre gli altri a dovergli venire incontro.
Depatologizzare non può voler dire ipersemplificare. La sessualità nell’essere umano resta la risultante di fattori genetici, sociali e psicologici.