Una lettera al mio compagno ...

La difficoltà di uscire allo scoperto
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arrofus
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Re: Una lettera al mio compagno ...

Messaggio da arrofus » sabato 9 marzo 2013, 20:16

Non mi riferisco solo alla mia esperienza, ma a quella di tutti i ragazzi dichiarati che conosco. Qualcuno può aver avuto problemi, ma si sta meglio e nessuno se ne pente. Io ho avuto molti problemi in famiglia ma non me ne pento, purtroppo devo essere moderato con i miei genitori e devo trattarli bene perché sono anziani, altrimenti li avrei fatti rigare dritto da subito. Sono loro il problema non io.

I ragazzi repressi che conosco parlano, invece, molto spesso di depressione, di ansia, di vita che è uno schifo ecc. ecc.

Come ho fatto a pensarla così? Accettando di essere omoessuale. Mi ha aiutato un mio amico etero, a cui lo dissi in gran segreto. All'inizio concordava con me che ero in una situazione difficile, che l'unico modo per stare bene era andare a vivere fuori e cose simili. Dopo un po' ha cominciato a dire cose simili a quelle che dico io ora, io mi arrabbiavo anche molto e lui era graffiante, ma ho capito che aveva ragione, e che il mio unico problema era che non mi accettavo. Agli altri non sarebbe fregato niente e così è stato.
Poi è stato utile leggere blog e forum che parlano dell'essere omosessuale non come qualcosa da vivere di nascosto ma nei termini in cui lo faccio io, cioè come NULLA, qualcosa di irrilevante. Come infatti è per tutti, tranne gli omosessuali che non si accettano.

Barbara, se la teoria che dici è valida, ciò non fa che confermare quello che dico. Se uno smette di nascondersi automaticamente gli amici cominceranno a fargli domande, e capiranno che essere omosessuale è come preferire la pizza rossa invece che la bianca. Però vabbè, è solo una teoria.
Concordo sul fatto che sia importante salvaguardare la propria integrità psicologica, e reprimere il proprio orientamento sessuale la mette a grave rischio. Un percorso di accettazione che porti a capire che non c'è nulla di cui vergognarsi e che poi porti ad essere sé stessi con tutti (ma non a fare l'annuncio che si è gay, semplicemente a non fingersi eterosessuali) è sacrosanto per stare bene.

Ovviamente ognuno decide per sé, ma questi sono i fatti.

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marc090
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Re: Una lettera al mio compagno ...

Messaggio da marc090 » sabato 9 marzo 2013, 21:04

Ci sarebbe anche da riflettere, in nome dell'astrattismo (che può benissimo essere applicato alla vita come ha ben spiegato barbara), che il relativismo parte dalla fisica delle cose per giungere a riguardare i contesti umani.

Arrivare ad una forma di assolutismo per cui si dice che chi non si dichiara è represso e chi è dichiarato è simbolo di resistenza al pregiudizio, mi sembra semplicemente paradossale (per i punti spiegati negli X post precedenti..... :))
Per prima cosa portarono via i comunisti, e io rimasi in silenzio perché non ero un comunista. Poi se la presero coi sindacalisti, e io che non ero un sindacalista non dissi nulla. Poi fu il turno degli ebrei, ma non ero ebreo.. E dei cattolici, ma non ero cattolico... Poi vennero da me, e a quel punto non c'era rimasto nessuno che potesse prendere le difese di qualcun altro.
Martin Niemoller


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candido
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Re: Una lettera al mio compagno ...

Messaggio da candido » sabato 9 marzo 2013, 22:40

Prima di tutto saluto Marc090 :)

Poi,devo dire una cosa,uno sfogo. So che Arrofus molto probabilmente per la mia condotta "vigliacca" mi odia ma a interventi come il suo ultimo post non posso che dar ragione,o quantomeno non posso non esprimere ammirazione! Quello che dice lui lo vorrei vivere anch'io,perchè l'ambiguità del dire/non dire,del vivere/non vivere la mia omosessualità mi pesa tanto! E mi crea non poco malessere..certo,ci sono altri problemi nella mia vita ma questo mi sta creando non poca ansia e sempre più spesso cattivo umore.
E nonostante io provi a convincermi che si possa vivere tranquillamente anche mentendo o mimetizzandosi,cercando di non pensare a questa situazione, ci sono momenti in cui sento un peso così forte da togliermi il respiro.
Alla fine,vorrei tanto arrivare a vivere:
arrofus ha scritto:l'essere omosessuale non come qualcosa da vivere di nascosto ma nei termini in cui lo faccio io, cioè come NULLA, qualcosa di irrilevante.
Arrofus,non ho la certezza che fare come hai fatto tu possa aiutarmi,nè credo che passerò ai fatti in breve tempo...però Dio solo sa quanto vorrei farlo!:)

Machilosa
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Re: Una lettera al mio compagno ...

Messaggio da Machilosa » domenica 10 marzo 2013, 1:26

Finalmente riesco ad inserirmi nella discussione –dopo aver completato la lettura dell’intero thread!
Qua e là, i toni si sono accesi un poco, ma, a ben vedere, credo che le tesi esposte siano condivisibili più o meno da tutti; solo manca un po’ di diplomazia nell’esporle, talvolta.
Cerco di riassumere un po’, visto che mi sembra un argomento interessante, specie per molti nuovi venuti.

Il benessere che deriva da un Coming Out ben riuscito è oggettivo (n.b.: “coming out” significa dichiarare il proprio orientamento sessuale, “fare outing” significa spifferare l’orientamento sessuale di qualcun altro, ovvero “sputtanarlo”). Un Coming Out ben riuscito è quello in cui la nostra vita non ne esce peggiorata: amici e parenti importanti accettano il nostro orientamento sessuale, l’ambiente lavorativo o di studio non ne risentono. I vantaggi che ne risultano sono: una maggior libertà, un carico di ansie e preoccupazioni nettamente inferiore, un minor dispendio di energie psichiche in menzogne e reticenze.
Fare Coming Out aiuta la causa LGBT; fornisce esempi positivi a persone non LGBT, ma soprattutto a persone LGBT, che di modelli positivi hanno fortemente bisogno. Concorre ad abbattere stereotipi e pregiudizi e agevola la progressiva “normalizzazione” del fenomeno, ovvero fa sì che la gente si abitui a vedere persone e coppie LGBT in qualsiasi ambiente e ceto sociale.

Il Coming Out non è sempre possibile; non è un passo da cui si possa tornare indietro; non va fatto forzatamente e se non si è pronti ad accettarne le conseguenze, sia da un punto di vista emotivo che economico.
Il Coming Out è il punto di arrivo di un percorso di accettazione, talvolta anche molto lungo; non il contrario. Fare Coming Out quando ancora si rifiuta il proprio orientamento sessuale può essere destabilizzante, in quanto ci espone al rischio di un doppio rifiuto: quello da parte degli altri, e quello da parte di noi stessi.
Una persona che fa Coming Out nonostante tutto è ammirevole; una persona che decide di non fare Coming Out è comprensibile.

Scegliere un CO a metà (ovvero solo con alcuni intimi) è un buon compromesso, ma resta un compromesso; migliora la qualità di vita, ma non la rende pari a quella di un eterosessuale (almeno, non da un certo punto di vista); tuttavia, può essere un compromesso accettabile anche sul lungo periodo. Per certi versi può anche convivere con un attivismo non troppo sfacciato (es.: partecipazione ad associazioni ed eventi LGBT che non siano troppo plateali, come presentazioni di libri, incontri di discussioni, cineforum, et cetera).

“Fate Coming Out!” non è un buon consiglio. “Preparate il terreno ad un Coming Out ben riuscito” può essere un buon consiglio.

Alyosha
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Re: Una lettera al mio compagno ...

Messaggio da Alyosha » domenica 10 marzo 2013, 3:40

Una persona che fa Coming Out nonostante tutto è ammirevole; una persona che decide di non fare Coming Out è comprensibile.

Scegliere un CO a metà (ovvero solo con alcuni intimi) è un buon compromesso, ma resta un compromesso; migliora la qualità di vita, ma non la rende pari a quella di un eterosessuale (almeno, non da un certo punto di vista); tuttavia, può essere un compromesso accettabile anche sul lungo periodo.
A me non pare una questione di diplomazia, ma di sostanza, lasciami dire soltanto che non sono d'accordo sul dare giudizi di valore rispetto a chi fa c.o. (che vadano da ammirevole a comprensibile), sono scelte individuali che hanno a che fare con il rapporto con se stessi e gli altri. Sul fatto che dichiararsi ad alcuni intimi sia un "compromesso" lasciami dire che non è così, per una questione personale quanto meno. Ci sono un mucchio di persone che non ho affatto piacere a che sappiano del mio orientamento sessuale, semplicemente perché sono cazzi miei. Con i miei colleghi di università ma anche di lavoro per esempio sto benissimo, mi ci trovo alla grande, nessuno (tranne due) sanno di me, ma non ci sono affatto problemi. Non ho nessunissima ansia, anzi probabilmente ce l'avevo quando mi ero convinto di avercelo scritto in fronte che fossi gay e sto bene così. Quando mi starà stretta la situazione, nella misura in cui mi starà stretta vedrò di cambiare. Certe cose si decidono in concreto e vale la pena dare consigli sul c.o. solo nelle situazioni concrete, questo non è trovare "compromessi" per come lo intendi tu ma più un "arrangiare l'ideale al reale". un tentare di capire come organizzarsi data laa propria situazione per stare il meglio possibile. Se mi parli di ansia poi proprio questa ossessione per il c.o. può generare tanta ansia e sensazione di inadeguatezza rispetto agli altri che sono felici perché sono riusciti a fare il salto della quaglia. Stiamo attenti a creare certi facili aumatismi. Nascondersi e una cosa, fregarsene degli altri un'altra a me semplicemente non mi importa un fico secco di quello che pensano di me gli "altri" e non v'è alcuna ragione per cui debba raccontargli i fatti miei, pensino quello che voglio ammesso che un pensiero ce l'abbiano.

arrofus
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Re: Una lettera al mio compagno ...

Messaggio da arrofus » domenica 10 marzo 2013, 4:44

candido900 ha scritto: Quello che dice lui lo vorrei vivere anch'io,perché l'ambiguità del dire/non dire,del vivere/non vivere la mia omosessualità mi pesa tanto! E mi crea non poco malessere..certo,ci sono altri problemi nella mia vita ma questo mi sta creando non poca ansia e sempre più spesso cattivo umore.
E nonostante io provi a convincermi che si possa vivere tranquillamente anche mentendo o mimetizzandosi,cercando di non pensare a questa situazione, ci sono momenti in cui sento un peso così forte da togliermi il respiro.
Canidio090, riuscirai a farlo quando accetterai del tutto la tua omosessualità, non forzarti ci vuole tempo, è quello dico sempre. Ora non ci riesci, FORSE, perché ti darebbe fastidio che qualcuno sa che sei gay. Appunto, te ne vergogni un po'. Normalissimo, data la situazione in cui siamo cresciuti; ma col tempo passerà.
Provare a convincerti che puoi stare bene nascondendoti è tempo perso, è assolutamente senza senso. Perdi tantissimo in termini di rapporti con gli altri, con persone nuove che potresti conoscere, la tua autostima si indebolisce sempre di più, e nasce una spirale negativa che ti fa stare sempre peggio. Cioè, negare sé stessi? Ovvio che stai male, starai sempre male finché non ti accetti.

Poi vorrei sottolineare che se qualcuno sa che io sono gay non sa una mia cosa privata; quando i miei genitori si sono sposati hanno praticamente reso pubblico il loro orientamento sessuale: era una cosa privata che hanno spifferato, non dovevano farlo? Le decine di coppiette eterosessuali mano nella mano che vediamo per strada ogni sera? Dicono qualcosa di privato di sé, dicono i fatti loro? Per me associare l'orientamento sessuale, solo quando è omosessuale, a qualcosa di privato dipende dal fatto di vergognarsene e non averlo accettato.

Io non dico in giro che sono gay, se si viene a sapere capita. Lo si può venire a sapere perché parlo del mio ragazzo, perché vedo un bel ragazzo e lo dico ai miei amici e sente qualcuno, perché parlo delle discussioni avute su facebook sulla mia pagina anti-omofobia, perché io o i miei amici facciamo una battuta, o mi fanno una domanda sull'omosessualità riferendola a me personalmente... ma che mi interessa? Non cambia niente, chiunque può sapere o meno che sono gay, non è rilevante. Non sento il bisogno di dirlo se conosco qualcuno o a un amico che non vedo da tanto tempo, così come non sento il bisogno di dire che io bevo solo acqua naturale. Non faccio coming out, non frega a nessuno.

barbara
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Re: Una lettera al mio compagno ...

Messaggio da barbara » domenica 10 marzo 2013, 10:23

Candido900 ha scritto: l'ambiguità del dire/non dire,del vivere/non vivere la mia omosessualità mi pesa tanto! E mi crea non poco malessere..certo,ci sono altri problemi nella mia vita ma questo mi sta creando non poca ansia e sempre più spesso cattivo umore.E nonostante io provi a convincermi che si possa vivere tranquillamente anche mentendo o mimetizzandosi,cercando di non pensare a questa situazione, ci sono momenti in cui sento un peso così forte da togliermi il respiro.Alla fine,vorrei tanto arrivare a vivere

Caro candido, la sofferenza che descrivi è proprio la diretta conseguenza dell'essere obbligati a negare una parte di sè.Nella tua situazione , se ben ricordo, non hai nessuno col quale puoi essere veramente te stesso .Di conseguenza sei costretto a comunicare omettendo tutto ciò che potrebbe identificarti come omosessuale. Sei costretto quindi a ridurre la comunicazione, a tenere le distanze, perchè se ti lasci andare potresti tradirti. Sicuramente questa paura di essere scoperto ti limita molto , anche perchè dura da diverso tempo.
Credo che iscriverti a un forum sia stato comunque un passo importante , perchè con l'aiuto degli altri può aiutarti a capire se esista o meno un reale pericolo nel parlare con qualcuno di te e quanto sia grande questo pericolo . Quando parlo di pericolo mi riferisco a quella che potrebbe essere la reazione degli altri e a quello che rischi realmente di perdere. La paura può amplificare un rischio facendoci credere che crollerebbe il mondo quando magari non è così. L'altro tipo di pericolo riguarda invece la propria reazione , cioè a dire chiedersi: come fronteggerei la reazione degli altri? mi sento abbastanza determinato per difendere la mia identità? cosa potrei fare per rafforzare la mia determinazione?
E infine, se l'ambiente è davvero molto ostile , un'altra via di uscita è trasferirsi. A quanto ho visto ,vivere almeno per un periodo in un luogo dove si può essere se stessi aiuta molto a superare la paura e ad aumentare l'autostima quel tanto che basta per riuscire a farsi rispettare.
Sento a volte parlare di coming out nei termini di coraggio o vigliaccheria , ma parlerei piuttosto di condizioni che lo favoriscono o non lo favoriscono.
Giudicare se stessi o gli altri è di poco aiuto e non permette nemmeno di cogliere la realtà per come è. Non si può mettere sullo stesso piano un ragazzo che vive al nord con uno che vive al sud ; chi vive in città e chi vive in un piccolo paesino di provincia o anche chi oggi ha trent'anni con chi ne ha sedici , visti i progressi che ci sono stati negli ultimi anni nella lotta all'omofobia. E nemmeno è sullo stesso piano si può permettere di andare a studiare altrove e chi è invece costretto a restare a vivere con i propri genitori , magari essendo disoccupato. E come puoi paragonare chi ha avuto un'educazione improntata all'autonomia e chi ha avuto un'educazione oppressiva?
Dietro alla realtà gay ci sono mille situazioni diverse ,tante opportunità che si hanno o non si hanno avuto.
Tu hai investito sullo studio e hai fatto bene , perchè avere strumenti culturali ti permetterà anche di difendere con più forza le tue opinioni .
In ogni modo, qualunque strada troverai, ti auguro di cuore, Candido, di riuscire a realizzare il tuo desiderio di libertà. :)
Ultima modifica di barbara il domenica 10 marzo 2013, 11:05, modificato 4 volte in totale.

k-01

Re: Una lettera al mio compagno ...

Messaggio da k-01 » domenica 10 marzo 2013, 11:00

candido900 ha scritto: E nonostante io provi a convincermi che si possa vivere tranquillamente anche mentendo o mimetizzandosi,cercando di non pensare a questa situazione, ci sono momenti in cui sento un peso così forte da togliermi il respiro.
Non è possibile vivere fingendo. L'eterosessualità non è qualcosa che si possa simulare.
Anche amesso per assurdo che si possa fingere l'affettività o il desiderio verso il sesso opposto, l'esercizio richiederebbe una tale energia psichica, una ferrea disciplina e un rigido autocontrollo che porterebbero nel breve tempo ad un rapido esaurimento.
Forse è possibile ingannare gli altri solo mantenendo rapporti formali e sterili, ma di certo non s'inganna chi ci conosce bene. Una persona intelligente può arrivare a capire perfettamente se chi gli sta vicino è omosessuale.

Probabilmente è il modello “alto” che ti sei dato di seguire a farti star male, perchè non è adeguato alla fase in cui ti trovi. Evita di colpevolizzarti, accetta qualche compromesso e quelli che possono essere i limiti attuali e rimanda scelte più importanti quando sentirai davvero bisogno di farle.
;)

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candido
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Re: Una lettera al mio compagno ...

Messaggio da candido » domenica 10 marzo 2013, 11:49

Cari Barbara,Arrofus e k-01, vi ringrazio per le parole di comprensione,di incoraggiamento e augurio.
Vorrei spiegarvi meglio,raccontarmi un po', ma in questo momento non trovo nè la forza nè le parole giuste.
Quello che potrei dire l'avete già espresso bene voi: i rapporti formali e sterili,l'aver allontanato le persone care per paura di "compromettermi", la solitudine,l'ansia,la paura,la non accettazione.
Non ho più fretta, ma sento di stare gradualmente perdendo interesse nelle cose, e forse anche nella vita stessa.
Vi ringrazio per esserci, anche se fisicamente distanti.
A presto

Machilosa
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Re: Una lettera al mio compagno ...

Messaggio da Machilosa » domenica 10 marzo 2013, 12:32

Alyosha ha scritto:
Una persona che fa Coming Out nonostante tutto è ammirevole; una persona che decide di non fare Coming Out è comprensibile.

Scegliere un CO a metà (ovvero solo con alcuni intimi) è un buon compromesso, ma resta un compromesso; migliora la qualità di vita, ma non la rende pari a quella di un eterosessuale (almeno, non da un certo punto di vista); tuttavia, può essere un compromesso accettabile anche sul lungo periodo.
A me non pare una questione di diplomazia, ma di sostanza, lasciami dire soltanto che non sono d'accordo sul dare giudizi di valore rispetto a chi fa c.o. (che vadano da ammirevole a comprensibile), sono scelte individuali che hanno a che fare con il rapporto con se stessi e gli altri.[...] Se mi parli di ansia poi proprio questa ossessione per il c.o. può generare tanta ansia e sensazione di inadeguatezza rispetto agli altri che sono felici perché sono riusciti a fare il salto della quaglia. Stiamo attenti a creare certi facili aumatismi. Nascondersi e una cosa, fregarsene degli altri un'altra a me semplicemente non mi importa un fico secco di quello che pensano di me gli "altri" e non v'è alcuna ragione per cui debba raccontargli i fatti miei, pensino quello che voglio ammesso che un pensiero ce l'abbiano.
E' un giudizio di valore, certo, ma relativo. E' un po' come dire "martiri e patrioti sono ammirevoli"; nessuno pretende che tutti si comportino in tal modo; chi, in guerra, ha disertato, è più che comprensibile; chi si è esposto al rischio è ammirevole. La stessa cosa vale un po' per tutte le cause e tutte le manifestazioni. Chi si espone in prima linea è sempre ammirevole, perchè rischia a vantaggio di tutti.
Di fatto, tranne Tiziano Ferro e Nicky Vendola (per fare solo due esempi), tutti noi viviamo una situazione di compromesso, chi più, chi meno, per il semplice motivo che, sino a prova contraria, siamo tutti eterosessuali. Se bisogna andare sul personale, anche io, nel laboratorio in cui faccio la tesi non parlo del mio ragazzo, per quanto si parli spesso di mille altre cose che esulano dal lavoro di ricerca, nè ne parlo coi miei compaesani, che incontro qualche volta, quando torno dai miei. Perciò anche io vivo in una situazione di compromesso. Se davvero me ne fregassi di chiunque, porterei il mio ragazzo al paesello, cosa che probabilmente non farò ancora per un bel pezzo. Però ho abbassato decisamente la guardia e non mi preoccupo più di tanto se sulla mia pagina Facebook risulta che partecipo al programma radiofonico a tematica LGBT o a qualche evento a tema.
L'ansia del CO è oggettiva, ma dovrebbe derivare solo dal timore del risultato, non dal senso di inadeguatezza, tanto più visto che solo una piccola percentuale di persone LGBT è davvero "out"

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