GAY E DISCRIMINAZIONE IN AZIENDA

Solitudine, emarginazione, discriminazione, omofobia...
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progettogayforum
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GAY E DISCRIMINAZIONE IN AZIENDA

Messaggio da progettogayforum » domenica 30 maggio 2021, 11:13

Caro Project,
leggevo stamani la voce “Demografia dell’orientamento sessuale” su Wikipedia e non ti nascondo che sono rimasto fortemente perplesso dalla pluralità e contraddittorietà dei dati statistici che dovrebbero rappresentare la popolazione omosessuale, si passa da percentuali dello 0,7% a percentuali superiori al 15% a seconda delle varie zone ma con oscillazioni enormi legate alle modalità della rilevazione, si tratta di dati ovviamente privi di qualsiasi valore oggettivo, l’unica cosa che risulta evidente è che la popolazione LGBT ha paura di esporsi anche attraverso un questionario statistico, ha paura di una possibile schedatura, nonostante le rassicurazioni di chi gestisce le procedure statistiche e questo vuol dire che le discriminazioni esistono e sono tuttora molto pesanti. Io sono gay, ho passato i 45 anni e mi occupo di reclutamento presso una grande azienda internazionale. In Europa le discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale non sono ammesse e non è ammesso nemmeno che il datore di lavoro possa indagare su aspetti della vita privata dei dipendenti, eppure questo avviene, perché spesso i dipendenti sono ingenui. È un fatto piuttosto comune, per gente che lavora tramite computer, avere delle pause di attesa. Alcuni computer aziendali consentono anche un generico accesso a internet, quando questo non succede, non è raro che i dipendenti abbiano un loro PC che possono usare, sentendosi relativamente sicuri, agganciandosi alla rete internet dell’Azienda. Queste persone non sanno che i collegamenti tramite computer aziendali sono tutti tracciati, non fosse altro per vedere quanto tempo il dipendente ha perso in attività che sostanzialmente non sono di lavoro, il tracciamento consente di sapere non soltanto chi ha usato internet dal computer aziendale ma anche che cosa è andato a cercare. Ma c’è di più, anche i collegamenti tramite rete internet aziendale effettuati da un PC “non aziendale” sono tracciati, anche in questo caso non ci si limita a misurare il tempo, diciamo così, non lavorato dal dipendente ma si tiene traccia delle sue navigazioni. È possibile quindi non solo effettuare un tracciamento del dipendente in termini di tempo effettivamente lavorato, ma addirittura costruire un profilo di personalità del dipendente a partire dall’uso “privato” che fa di internet in orario di ufficio. Nell’ultimo anno e mezzo, con lo smart working le possibilità di controllo da parte dell’azienda sono diminuite, nel senso che i PC privati non sono più agganciati alla rete dell’azienda e quindi non sono tracciabili. Dato il lavoro che faccio, so bene quali sono i rischi dell’uso di internet in ambiente aziendale “non per lavoro”. Non porto mai nulla di privato in azienda, cioè non solo non porto il mio PC privato, ma nemmeno il mio smartphone e ho invitato anche altri colleghi a fare lo stesso. All’esterno sembra che si tratti di consigli dati per aumentare la produttività del lavoro e quindi i miei consigli sono almeno teoricamente giustificabili, se mai qualcuno me ne dovesse chiedere conto. Il monitoraggio dell’uso di internet tramite la rete aziendale in pratica aggira o potrebbe aggirare la tutela della privacy. L’affidamento di incarichi ben remunerati e le progressioni di carriera sono legate alla “chiamata” da parte del dirigente e mi sono chiesto spesso su quali criteri si basino queste chiamate, perché nel nostro ambiente i dirigenti che contano non li vedi mai, stanno proprio in un altro edificio e sono loro che determinano le scelte e non le devono motivare, perché per loro conta solo il risultato. Un’altra cosa va tenuta presente ed è quasi sempre dimenticata, in azienda ci sono le telecamere di sorveglianza, sono dichiarate e hanno una loro ragione ufficiale, ma tramite quelle telecamere e programmi in fondo piuttosto banali di riconoscimento facciale è possibile tracciare chi parla con chi e per quanto tempo e, al limite forse anche quello che si dice. Io non penso che ci sia qualcuno che effettui attività di spionaggio per il piacere di spiare, ma negli uffici amministrativi e soprattutto nei laboratori e negli impianti tecnici dell’azienda circolano informazioni che farebbero gola a un sacco di gente e un gay, specialmente se è uno che conta, è un anello debole della catena perché può essere più facilmente ricattato, è ho avuto qualche sentore che un fatto del genere sia realmente successo. In azienda, io, personalmente, parlo solo di lavoro, vado a prendere il caffè da solo al bar interno durante la pausa, saluto tutti nello stesso modo e non mi fermo a parlare con nessuno. Nel mio ambiente stretto di lavoro siamo una ventina, siamo tutti “etero” compreso io! (pensa un po’!) Da quando lavoro qui, e sono ormai diversi anni, non ho mai visto un gay, erano tutti etero “come me”! Gli altri, che penso per la maggioranza siano veramente etero, hanno cercato di coinvolgermi, mi hanno invitato a casa loro, ma non ci sono mai andato. Mi potresti dire che sono paranoico, ma mi potrei trovare in situazioni di imbarazzo ed essere etichettati è molto facile. Ti preciso che non sono chiuso in me stesso, ho il mio piccolo gruppo di amici veri, che sono soprattutto gay, ma sono tutte persone che non hanno niente a che vedere col mio lavoro e non sono nemmeno della mia città, per vederli prendo il treno e mi sposto in una città vicina. In pratica passo tutti i miei week end in quella città e quella è la mia vita vera. C’è chi pensa che i gay sono tutti un po’ nevrotici e complessati per il fatto di sentirsi vittime, ma chi lo pensa non si rende conto di quanto può essere stressante l’essere gay, non in sé ma per il fatto che non puoi essere te stesso e ti senti continuamente osservato. La paura dell’essere etichettato c’è eccome perché l’essere etichettati comporta l’essere discriminati, spesso in un modo così subdolo e sottile che è anche difficile rendersene conto e quando anche uno se ne rende conto in realtà non può fare niente, perché una discriminazione per ragioni legate all’orientamento sessuale è praticamente sempre nascosta sotto altre motivazioni di copertura. Mi piacerebbe molto poter essere me stesso, ma è oggettivamente rischioso. Tutti mi direbbero che non è vero, ma il fatto che i miei colleghi siano tutti etero (!) la dice lunga. Credimi, Project, non ho complessi di persecuzione e non mi sono mai trovato in situazioni di discriminazione per il fatto di essere gay, ma non è successo non perché il mio ambiente non discrimina ma perché io sono formalmente etero, se non fosse così le discriminazioni ci sarebbero eccome. Ultimamente mi hanno affidato l’incarico molto delicato di fare i colloqui a quelli che potrebbero essere assunti, parlo non di analfabeti ma di ragazzi laureati e di notevole specializzazione, tra l’altro sono quasi tutti uomini, con qualcuno di loro si crea una simpatia istintiva anche solo guardandosi negli occhi. Per evitare qualsiasi forma di coinvolgimento io seguo un’intervista standard, sempre e solo su contenuti strettamente tecnici, ci sono anche, obbligatoriamente, perché non se ne può fare a meno, delle domande relative ai rapporti di lavoro precedenti e ai livelli di collaborazione tra colleghi. Ci sono ragazzi che si fidano molto dell’ambiente aziendale e in sede di colloquio sarebbero disposti a parlare un po’ più apertamente, ma è una tendenza inconsapevolmente autodistruttiva e io cerco sempre di fermarli premettendo che devono rispondere strettamente alle domande proposte, senza allargare il discorso, e questo serve a valutare le capacità di autocontrollo. Siccome l’esito del colloquio può essere determinante per l’assunzione e io non vorrei in nessun modo pesare in un senso o nell’altro per motivi estranei ai criteri di selezione, chiedo ai ragazzi di scrivere in modo riassuntivo le loro risposte sul questionario, in modo che resti un documento oggettivo. Un po’ di tempo fa, uno dei nuovi assunti, che aveva fatto il colloquio con me mi ha cercato perché voleva parlare con me ma non l’ho ricevuto, perché se lo avessi fatto la cosa sarebbe stata notata dai suoi colleghi e dai dirigenti. C’è rimasto malissimo perché non ha capito il senso del mio rifiuto. Io non potevo cercarlo per scusarmi. L’ho incontrato qualche giorno dopo casualmente e in termini brevissimi gli ho chiarito il perché del mio comportamento, lui voleva parlare con me, io gli ho detto: “Non qui, se ha modo di arrivarci ci vediamo domenica mattina alle 9.00 al binario 5 della stazione di [omissis], lui ha detto solo “Ok”. La domenica mattina ci siamo visti e gli ho fatto presente che un’azienda come quella nella quale lavoriamo non è la patria della libertà e che la prudenza non è mai troppa. Con questo ragazzo (un ingegnere) ci si capiva al volo e non c’era bisogno di dare troppe spiegazioni, abbiamo parlato in pratica solo dell’azienda ma io penso che quello fosse solo un discorso di copertura. Ci siamo dati del tu, con la raccomandazione della massima riservatezza. Il giovane ingegnere è anche un bel ragazzo, ma ha 20 anni meno di me e io mi sento un po’ come un tutore che deve insegnargli a non mettersi nei guai. Non so se sia gay, ma tirando le somme penso che sia almeno molto probabile. Come ha fatto a individuarmi non lo so. Ci siamo conosciuti solo al colloquio e con lui mi sono comportato nel modo standard, cioè come mi comporto sempre con tutti quelli che fanno il colloquio. Anche per quel ragazzo avere le idee chiare sul modo di sopravvivere in quell’ambiente potrà avere una utilità, perché dovrà tenere un comportamento sempre controllato e questo è stressante. Se invece di trovare me avesse trovato un altro, con la sua volontà di parlare si sarebbe bruciato subito. Io vivo da anni in un clima del genere e ho imparato a distinguere nettamente il mio privato dall’ambiente di lavoro. Sono consapevole che ci sono ambienti completamente diversi, dove un’amicizia con i colleghi è anche possibile, ma non è così dappertutto. Col giovane ingegnere, quando ci si incontra in azienda basta un cenno minimo di saluto. Fuori dall’azienda non abbiamo più avuto modo di parlare, ma penso che prima o poi succederà di nuovo.

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