PAPA FRANCESCO, COPPIE GAY E LAICITA’

Il rapporto fra tematiche gay e religiose, nella vita di sempre
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PAPA FRANCESCO, COPPIE GAY E LAICITA’

Messaggio da progettogayforum » martedì 3 novembre 2020, 22:17

La forte disomogeneità è tipica di tutte le aggregazioni umane che si riconoscono sulla base di una sola caratteristica. Si potrebbe pensare che se è evidente che i gay differiscono uno dall’altro per mille caratteristiche, etniche, fisiche, culturali, educative, di condizione sociale, ecc. ecc., si può almeno supporre che siano simili nell’unica caratteristica che li accomuna, ossia nella sessualità, se questo è vero quanto all’individuazione dell’oggetto d’amore, o meglio del sesso dell’oggetto d’amore, non lo è certamente se si considera la sessualità in tutte le sue implicazioni anche affettive e in tutte le sue manifestazioni comportamentali.

Tra gay la capacità di integrarsi derivante dall’avere lo stesso orientamento sessuale non è affatto detto che prevalga su elementi disgreganti di carattere sociale o culturale o addirittura politico o economico. I ragazzi gay sognano spesso un amore ricambiato con un altro ragazzo gay, ma il famoso teorema “GAY + GAY = AMORE” non è mai stato dimostrato e nella maggioranza dei casi non è verificato. La personalizzazione dell’essere gay è così forte che non ci sono modalità standard dell’essere gay e le incompatibilità non sono assolutamente prevedibili.

Nonostante tutto, però alcune coppie gay stabili esistono, anche se non sono certamente la norma della vita sessuale gay, la maggior parte delle coppie gay non sono stabili e sono soprattutto un mezzo per concretizzare un’esperienza sessuale più o meno basata su una dimensione affettiva profonda. Catalogare le esperienze delle coppie instabili è praticamente impossibile perché la variabilità è estrema.

Una sola cosa ho sentito ripetere in modo quasi costante da chi aveva vissuto l’esperienza della sessualità all’interno di una coppia instabile, e cioè che le cose, nelle prime esperienze, sono state completamente diverse dalle aspettative, non migliori o peggiori, ma semplicemente diverse, quasi sempre molto più semplici e addirittura banali, in qualche caso più rituali e complicate.

Nelle esperienze successive, quanto più superficiale e meno personalizzato era il rapporto, tanto più emergeva una standardizzazione dei comportamenti. Il che significa che la banalizzazione del rapporto lo priva della sua caratteristica essenziale cioè della relazionalità e lo trasforma in una modalità di gratificazione prevalentemente egoistica e banalmente ripetitiva.

Nella grande maggioranza dei casi, nelle valutazioni delle prime esperienze ricorre una frase: “Lui non era come me lo ero immaginato.” Il conflitto tra aspettative e realtà appare essere la base più comune della frequente disillusione e talvolta, molto più raramente, anche della scoperta di mondi inattesi e di forme di gratificazione del tutto impreviste.

Siamo portati per natura a crederci il modello della realtà e a pensare che il mondo altrui sia necessariamente simile al nostro ma nel corso degli anni scopriamo una verità molto più articolata e complessa di cui non solo non siamo il centro e l’unità di misura ma in cui non c’è alcun centro e alcuna unità di misura, scopriamo che le diversità vanno molto al di là dell’apparenza, che gli individui sono intrinsecamente diversi anche sul piano dei sogni, dei desideri, delle pulsioni e della sessualità, e che anche la sessualità, se è vera sessualità, non ha niente di standard ed è probabilmente l’espressione più tipica di una dimensione assolutamente individuale, perché niente come la sessualità si sostanzia di significati più che di gesti, di interpretazioni più che di comportamenti, in una pluralità di atteggiamenti che è tanto più varia, complessa e imprevedibile quanto più la vita di un individuo è problematica, difficile e insoddisfacente.

Uno dei problemi fondamentali della sessualità, che in qualche modo la soffoca, consiste nell’attribuirle significati e funzioni che le sono estranei, come se la sessualità fosse quasi una bacchetta magica per risolvere l’irrisolto, per placare le ansie, rimediare alle frustrazioni e portarci in un mondo mitico fatto di amore e comprensione mediata dal sesso. La sessualità diventa molto spesso un valore sostitutivo che dovrebbe supplire a carenze affettive, a mancate gratificazioni e a disillusioni della vita pratica, una specie di mondo parallelo in cui rifugiarsi quando c’è aria di burrasca. In questo modo però la sessualità diventa un patrimonio strettamente individuale che non trova la sua realizzazione in un rapporto reale con una persona concreta ma in un esercizio di fantasia che gratifica perché allontana dalla realtà.

La sessualità vera si esprime in una relazione, non in una proiezione fantastica, e va costruita in due, nella ricerca di un equilibrio possibile che talvolta si trova anche a partire da posizioni molto lontane e talvolta non si raggiunge nemmeno a partire da posizioni apparentemente molto vicine.

La relazionalità, o attitudine individuale alla relazione, è una dimensione estremamente complessa, essenzialmente istintuale in cui possono incontrarsi e mescolarsi in vario modo e grado componenti affettive e sessuali, possono convivere meccanismi di gratificazione estremamente diversi, e operano criteri di selezione dei quali spesso non si intravede alcuna motivazione razionale.

Una relazione nasce dall’incontro di due relazionalità armoniche ossia reciprocamente compatibili. Una relazione di coppia (parlo ovviamente di coppie gay), è una relazione reciproca e tendenzialmente simmetrica, ovviamente paritaria. In queste definizioni di coppia non compare in modo necessario né l’esclusività (monogamia), né l’indissolubilità, e a rigore non vi compare neppure la sessualità, che non è una componente necessaria della relazione di coppia, vi compaiono invece la reciprocità la simmetria e la condizione di parità, concetti che richiedono qualche chiarimento. Tra genitori e figli esiste una relazione reciproca ma non simmetrica, nel senso che il tipo di coinvolgimento che prova il genitore di fronte al figlio è diverso da quello che prova il figlio rispetto al genitore, mentre i due partner di una coppia gay vivono una condizione tendenzialmente simmetrica. La condizione di parità consiste nel fatto che A deve riconoscere a B gli stessi diritti che B riconosce ad A. In una relazione etero si richiede che sia verificata la reciprocità e la condizione di parità ma manca l’elemento di simmetria, che viene sostituito da quello di complementarità.

Questi ragionamenti possono sembrare solo astratti giochi di parole, ma sono ben radicati nella vita reale. Mi è capitato spesso e mi capita tuttora di parlare con ragazzi che sono usciti da relazioni di coppia o che hanno trasformato la loro relazione di coppia in qualcos’altro e ho cercato di capire con loro perché il rapporto di coppia era andato in crisi. Nella grande maggioranza dei casi mancavano i requisiti essenziali, prima di tutto la reciprocità, il rapporto era vissuto come una rapporto di coppia da una parte soltanto, mentre l’altro partner non corrispondeva in modo sostanziale ai sentimenti del primo, si trattava cioè di rapporti unilaterali, che non sono veri rapporti di coppia. In un numero più ristretto di casi non esisteva una reale simmetria, nel senso che il tipo di coinvolgimento vissuto da uno dei due partner era diverso da quello vissuto dell’altro, per esempio, uno dei due partner si sentiva attratto a tutti i livelli, mentre l’altro non provava coinvolgimenti affettivi o sessuali profondi. Solo in un numero limitato di casi la rottura della coppia derivava dalla rottura dell’equilibrio di parità tra i partner, ossia dal fatto che uno dei due tendeva a determinare in modo autonomo le regole della coppia pretendendo che l’altro si adeguasse senza discutere.

Quando mancano fin dall’inizio gli elementi fondamentali per costituire la coppia, cioè quando non c’è una vera relazione di coppia, le proiezioni fantastiche unilaterali suppliscono in modo più o meno efficiente alle mancanze e si crea qualcosa che somiglia ad una coppia, ma non lo è, in questa “coppia impropria” si producono stati di disagio di vario tipo che la logorano e la portano a rottura solo dopo molto tempo alimentando stati di frustrazione e di disagio che durano per anni.

Spesso le coppie, pur avendo all’inizio tutti i requisiti per essere delle vere coppie, vedono modificarsi col tempo questa condizione. In questi casi lo stato di disagio diventa particolarmente grave e fortemente dissimmetrico. Classico è il caso del portare avanti, per motivi di opportunità o anche per non traumatizzare il partner, una relazione nella quale non si crede più, è chiaro che queste due motivazioni hanno un significato morale molto diverso, ma il risultato è comunque lo stesso: prima o poi l’altro partner si renderà conto della situazione e si sentirà ingannato.

Non sottolineerò mai abbastanza che il disagio della rottura della vita di coppia non deriva dalla rottura della vita di coppia in quanto tale, ma dal fatto che ci si sente ingannati. Altro è dire al proprio partner: “Io ti ho voluto bene ma mi sono innamorato di un altro ragazzo ed è giusto che tu lo sappia”; altro è fingere che nulla nel rapporto sia cambiato, cercando, per di più, di attribuire la colpa della rottura al proprio partner. In questo caso ha senso parlare di “tradimento” che non è il tradimento delle fedeltà sessuale, ma della fiducia del partner.

Come accade nel mondo etero, così anche nel mondo gay, i preconcetti e le mitologie legate al sesso e all’amore condizionano pesantemente gli approcci con la vita affettiva e con la sessualità. La storia del Principe azzurro totalmente innamorato di Cenerentola si può declinare anche in versione gay e può veicolare molto facilmente schemi di lettura della realtà del tutto inadeguati e fuorvianti. In modo più o meno cosciente il modello della relazione matrimoniale viene impropriamente estrapolato alla dimensione gay e porta con se l’idea della esclusività e della sostanziale indissolubilità del vincolo di coppia. Queste idee sono ormai tanto radicalmente e frequentemente contraddette dalla realtà, anche in campo etero, da mettere in discussione lo stesso istituto del matrimonio, che per moltissime coppie non rappresenta più un’aspirazione ma un vincolo inutile e dannoso dal quale è bene tenersi lontani.

La vita affettiva sfugge a qualsiasi istituzionalizzazione e si realizza secondo le sue strade che non sono definibili a priori. Una istituzione, che come il matrimonio tende a regolamentare la vita affettiva, è giudicata buona o cattiva non perché applica principi giusti o sbagliati, dato che in materia di vita affettiva si può parlare solo di opinioni e di punti di vista e non di giusto e sbagliato a priori, ma perché produce buoni o cattivi risultati. Ma l’istituzione non è la realtà sostanziale della coppia. Una coppia, se funziona, funziona perché ha la resistenza necessaria a superare le difficoltà e questo indipendentemente dalla conformità a qualsiasi regola a priori. Due persone sono una coppia se si vogliono bene, il fatto che siano sposate è una pura circostanza che dovrebbe riconosce giuridicamente un legame di coppia che effettivamente preesiste al matrimonio, ma talvolta dichiara formalmente l’esistenza di un legame di coppia che, a livello sostanziale, non esiste affatto, e si concretizza solo in una pura finzione giuridica che, anche senza alcuna base, crea comunque aspettative e obblighi.

Il matrimonio è un’istituzione tradizionale che ha subito un’usura storica e che si avvia a diventare un retaggio del passato, troppo vincolante per essere accettabile, e questo per le coppie etero. Il mondo gay è interessato ad un riconoscimento civile del legame di coppia, ma non certo ad una sua legalizzazione nelle forme del matrimonio che, se sono difficili da accettare per gli etero, sono certamente lontanissime della mentalità della grande maggioranza dei gay. Le unioni civili non hanno nulla in comune con il matrimonio, sono per l’appunto delle unioni civili dalle quali ci si aspetta soltanto una serie di conseguenze legali che creino tra i partner di una coppia gay dei rapporti “giuridici” per alcuni effetti simili a quelli che il matrimonio produce tra due coniugi.

La vita affettiva dei gay non solo non mira ad istituzioni para-matrimoniali ma tende a garantire alle persone il massimo della libertà. Tra gay, salvo casi ancora molto eccezionali, non ci sono problemi legati alla tutela dei figli e, in relazioni tra adulti liberi e consenzienti, non si vede come lo Stato possa rivendicare il diritto di intromettersi. Questo, almeno, secondo la tradizione giuridica italiana. Nella Relazione sul primo Codice penale per il Regno d’Italia [1887], Titolo VIII “Delitti contro il buon costume e l’ordine delle famiglie”, Zanardelli scriveva:

“Nel determinare i fatti da comprendersi nel presente Titolo, il Progetto attuale, in conformità ai precedenti, si ispira a questo concetto fondamentale che, se occorre da un lato reprimere severamente i fatti dai quali può derivare alle famiglie un danno evidente ed apprezzabile o che sono contrari alla pubblica decenza, d’altra parte occorre altresì che il legislatore non invada il campo della morale. In conseguenza, le sanzioni penali del Progetto non colpiscono tutti indistintamente i fatti che offendono il buon costume e l’ordine delle famiglie, ma quelli soltanto che si estrinsecano coi caratteri della violenza, dell’ingiuria, della frode o dello scandalo, la repressione dei quali è più vivamente reclamata nell’interesse sociale. Quindi non sono incriminate le azioni che non hanno quei caratteri, e l’indagine delle quali farebbe trascendere oltre i suoi giusti confini l’opera legislativa.”

Il Codice Zanardelli conosceva e applicava la distinzione tra diritto (fatti oggettivi e regole valide per tutti) e morale (giudizi soggettivi, discutibili e norme che non possono essere imposte a tutti). Sottolineo che il codice Zanardelli abolisce la pena di morte, garantisce la libertà di sciopero e non considera mai l’omosessualità né come possibile reato, né come aggravante di altri reati.

I gay, nei loro comportamenti, pur con tutti i tentennamenti e le debolezze possibili, seguono almeno tendenzialmente una morale e questa morale riconosce tre dei quattro principi fondamentali del Codice Zanardelli: per la morale gay non sono accettabili la violenza, l’ingiuria e la frode, perché i comportamenti violenti, ingiuriosi o fraudolenti non sono soltanto lesivi dell’ordine giuridico ma ripugnano alla coscienza individuale. Un discorso a parte si può fare per lo scandalo. Altro è il non dare scandalo ai minori che non sono ancora preparati a comprendere il senso di certi discorsi e di certi comportamenti, altro è parlare e comportarsi liberamente di fronte ad adulti che usano lo loro facilità a scandalizzarsi come un mezzo per la repressione di chi ha altri punti vista e altri stili di vita. La morale gay si può riassumere in due principi fondamentali: nella garanzia della libertà individuale propria ed altrui e nell’inaccettabilità della violenza, dell’ingiuria e della frode e in alcuni casi dello scandalo.

Giudicare morale o immorale un’azione dipende esclusivamente dal criterio che si assume per giudicare. Se si assume, come fa la Chiesa Cattolica, che l’unica coppia legittima è quella tra un uomo e una donna, uniti nel vincolo del matrimonio cattolico, e che l’uso della sessualità è legittimo solo a fini procreativi, si tende, più o meno direttamente, a limitare i comportamenti delle persone sulla base di ciò che una specifica visione della morale assume essere la Legge di Dio. Ferma restando la libertà di credere e quindi di conformarsi a qualsiasi dottrina purché non limiti la libertà altrui, il Cattolico è ovviamente liberò di seguire il Catechismo della Chiesa Cattolica, finché si sente Cattolico.

E qui vengo al punto fondamentale del mio discorso. La morale gay, intesa a garantire la libertà individuale propria ed altrui, nel totale rifiuto della violenza, dell’ingiuria e della frode e in alcuni casi dello scandalo, presenta dei criteri di moralità completamente diversi e sostanzialmente “laici” ossia non dipendenti da una fede. La laicità rappresenta la condizione fondamentale di validità erga omnes della norma. La morale gay non impedisce certo al Cattolico di conformarsi alla dottrina cattolica, ma non può tollerare che quella, o qualsiasi altra dottrina confessionale possa essere imposta a coloro che non la condividono o possa in qualsiasi modo, diretto o indiretto, limitare la loro libertà e i loro diritti.

Premetto che non mi sento cattolico e non pretendo e neppure mi aspetto che qualcosa nella dottrina cattolica relativa alla sessualità possa cambiare. Chi vuole essere cattolico è libero di esserlo. Ciò che non ho mai potuto accettare e che ritengo profondamente immorale è il cercare di limitare la libertà altrui, cioè di chi non si sente cattolico, come accadeva di regola con Papa Ratzinger, tentando di moralizzare alla maniera cattolica la totalità della popolazione, limitandone di fatto i diritti.

Papa Bergoglio, recentemente, si è espresso a favore del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, e non lo ha fatto entrando in questioni di politica italiana, perché in Italia questo riconoscimento legale già esiste, ma lo ha fatto esprimendo un giudizio globale, non riferibile a nessun paese in particolare; è una valutazione che non ha nulla a che vedere con la dottrina, ma solo col buon senso e con una visione sostanzialmente laica del riconoscimento delle unioni civili gay, riconoscimento che non intacca minimamente la dottrina cattolica, che può vincolare soltanto le coscienze dei credenti. Ma se alcune coppie gay desiderano avere una protezione legale, che non è e non vuole assolutamente essere un matrimonio cattolico né alcunché di simile al matrimonio cattolico, perché privare queste coppie di una garanzia legale che non riduce in nulla la libertà dei Cattolici di seguire in tutto la dottrina cattolica e non svaluta da nessun punto di vista il legame matrimoniale così come la Chiesa Cattolica lo intende? Il problema non riguarda i Cattolici ma i diritti di coloro che Cattolici non si sentono e ai quali non è legittimo “imporre” nessuna limitazione di libertà o di diritti derivante dalle fedi di altri.

Papa Francesco ha espresso un giudizio a favore della laicità dello Stato. Lo Stato e la Chiesa sono due entità completamente diverse, con funzioni e finalità completamente diverse. Secondo la Costituzione della Repubblica Italiana “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.” (Art. 2); e ancora: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.” (Art. 3). Obbligo della Repubblica è garantire l’esercizio della libertà di tutti, non certo limitare le garanzie e le libertà di un gruppo in funzione delle convinzioni professate da un altro gruppo, fosse anche un gruppo maggioritario, perché gli articoli 2 e 3 della Costituzione sono un cardine costituzionale dello Stato al quale tutta la legislazione deve ispirarsi e costituiscono il criterio fondamentale sul quale si misura la legittimità delle Leggi.

Va sottolineato che Papa Francesco non ha stravolto nulla, ha solo dimostrato di dare un senso non puramente formale all’Art. 7 della Costituzione, secondo il quale “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.” Aggiungo che il Cardinale Martini, anche lui gesuita come Papa Francesco, si era espresso in modo sostanzialmente identico.

Papa Francesco non è il protettore dei Gay, che non hanno bisogno di nessun protettore, ma è una persona che dimostra di capire che l’omosessualità esiste e che la Chiesa non dovrebbe preoccuparsi di promuovere crociate omofobe ma finalmente di considerare fratelli anche gli omosessuali che non si ritengono Cattolici, per cercare di costruire anche con loro e anche per loro un mondo migliore.

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