VATICANO E PROPOSTA DI LEGGE ZAN

Il rapporto fra tematiche gay e religiose, nella vita di sempre
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Rayden
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Re: VATICANO E PROPOSTA DI LEGGE ZAN

Messaggio da Rayden » sabato 3 luglio 2021, 19:34

Mosso da una certa curiosità, sono andato a leggermi i dieci articoli del ddl Zan, che mi ha lasciato assai perplesso, non già in merito ai valori cui è ispirato e alle finalità che vuole perseguire, quanto in relazione alla sua opportunità ed effettiva idoneità a reprimere le condotte lesive dei diritti che intende tutelare. Mi sembra che l’iniziativa legislativa in questione fallisca proprio nel passaggio dal momento politico-ideologico (su cui tutti si soffermano, nella candida illusione che abbia qualche rilevanza concreta) a quello giuridico-processuale (di cui nessuno parla, ma che al netto della chiacchiera è l’unico che conta). Provo a esporre i miei dubbi a riguardo, limitandomi al ddl e senza entrare nella polemica con il Vaticano.

Il disegno di legge si apre con quattro definizioni - sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere - che si intersecano fra loro, richiamandosi vicendevolmente in un gioco di incastri che non mi sembra ben riuscito. Nell’insieme, l’articolo 1 evoca l’immagine di un’equazione con troppe incognite o, se si preferisce, di un puzzle di cui si è persa qualche tessera e che di conseguenza non consente a colui che lo guarda di afferrare compiutamente l’immagine che intendeva comporre.

Gli articoli 2 e 3, lungi dall’introdurre reati inediti e dall’assumere una portata “storica” o “epocale” - aggettivi trendy e che quotidianamente affiorano sulle bocche di politicanti cui la natura non ha dato in dono la creatività - si innestano sui reati di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa, già esistenti da anni, limitandosi ad estendere il novero delle fattispecie discriminatorie.

L’articolo 4 ricorda che sono fatte salve la libera espressione di convincimenti, opinioni e "condotte legittime" riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti. Al di là della vena artistica del redattore, che attribuisce una patente di legittimità alle condotte da cui possono scaturire atti discriminatori o violenti, ossia proprio quelle che si intende reprimere, vi è da chiedersi se chi scrive le leggi sia consapevole che la libertà di espressione è già protetta a livello costituzionale, europeo e internazionale, il che è sufficiente a fare della norma in questione una norma inutile o, a voler essere malevoli, una excusatio non petita.

Gli articoli 5, 6 e 9 contengono norme di coordinamento che non suscitano particolari riflessioni, avendo natura squisitamente tecnica.

L’articolo 7 riconosce il 17 maggio quale Giornata nazionale contro l’omotransfobia, nella quale dovrebbero svolgersi cerimonie, incontri e altre iniziative, anche in ambito scolastico. Sebbene l’istituzione di una Giornata dedicata sia mossa da nobili intenti, vi è da chiedersi se questo ennesimo appuntamento annuale avrà una profondità maggiore di quella offerta dal ritmo cadenzato dei soliti salamelecchi istituzionali. Se si considera che per milioni di italiani l’allegria del 2 giugno è principalmente suscitata dall’immagine allettante di una spiaggia ancora poco affollata, è legittimo nutrire qualche dubbio.

L’articolo 8 attribuisce all’Ufficio per il contrasto delle discriminazioni il compito di elaborare una strategia per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere. Tale strategia dovrebbe definire gli obiettivi e individuare le misure relative all’educazione e all’istruzione, al lavoro, alla sicurezza, identificando specifici interventi volti a prevenire e contrastare l’insorgere di fenomeni di omotransfobia. L’esperienza insegna a diffidare di espressioni vaghe e futuribili, come “elaborazione di strategie”, “definizione di obiettivi”, “individuazione di misure e interventi”, perché la via meglio lastricata di buone intenzioni è il più delle volte quella della fuffa. Ed infatti, basta leggere le ultime righe dell’articolo in questione per scoprire che l’attuazione delle misure e degli interventi previsti dalla mirabolante “strategia” contro l’omotransfobia non potrà in ogni caso comportare “nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. Non vi è molto da commentare su quanto possa essere strategica una strategia senza soldi.

Da ultimo, l’articolo 10 affida all’Istituto nazionale di statistica e all’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori il compito di raccogliere dati sulle discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, oppure fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere. La rilevazione, a seconda di come verrà espletata e dei parametri che verranno utilizzati, potrà essere più o meno efficace nel fornire indicazioni statistiche utili.

Al di là delle tinte chiaroscure del testo legislativo, la domanda che mi pongo è: servirà davvero a qualcosa? A questo riguardo, mi limito a tre riflessioni.

La prima. L’affermazione ricorrente, secondo cui il ddl Zan andrebbe a colmare un vuoto legislativo per quanto riguarda la repressione penale di determinate condotte riconducibili all’omotransfobia è semplicemente falsa. L’impianto normativo attuale, pur in assenza di norme dedicate, è di per sé sufficiente ad offrire una risposta alle istanze di tutela a cui si rivolge il disegno di legge. In particolare, l’istigazione a delinquere esiste già da lungo tempo e i suoi risvolti applicativi sono stati esplorati da decenni di giurisprudenza. Inoltre, se un reato viene commesso per motivi abietti - e tra questi rientra certamente l’omotransfobia, come chiarito da diverse sentenze in relazione a varie fattispecie - l’ordinamento già prevede la possibilità di un aumento della pena in considerazione del carattere particolarmente riprovevole del gesto. Il reato che il ddl intende introdurre, dunque, ha il pregio di piantare una “bandierina”, così da accendere un faro su una piaga della società, ma non va oltre questo obiettivo, in quanto di per sé inidoneo a determinare un sensibile mutamento dei livelli di tutela esistenti.

La seconda. Le preoccupazioni degli oppositori del ddl Zan, al netto del loro carattere spesso pretestuoso e strumentale, hanno un fondamento di verità. Una delle caratteristiche essenziali di una norma penale è la sua capacità di definire con chiarezza e precisione qual è la linea di confine che separa una condotta lecita da una condotta illecita, di modo che il destinatario della norma sia posto nelle condizioni di poter orientare il proprio comportamento. Eppure, non mi sembra che le norme del disegno di legge in questione rispettino pienamente questa condizione: il confine tra la libera manifestazione del pensiero e una condotta che possa in qualche modo indurre a commettere un atto discriminatorio è piuttosto opaco, tanto da essere sostanzialmente rimesso alla valutazione del giudice, da effettuarsi caso per caso. L’attribuzione al potere giudiziario di ampi margini di discrezionalità non è di per sé un fatto negativo, anzi consente un’analisi della condotta posta in essere nel contesto in cui si inserisce. Allo stesso tempo, però, la vaghezza della linea di demarcazione tra il lecito e l’illecito mina la certezza del diritto, e quando si parla di delitti e di pene ciò è particolarmente grave, perché, comunque la si pensi, il cittadino che si trova ad un bivio dovrebbe essere sempre munito di una mappa che gli permetta di capire se la strada che intende percorrere gli consentirà di arrivare a destinazione sano e salvo oppure lo condurrà in un burrone, e questo prima di caderci dentro.

La terza. A fronte dell’obbligatorietà dell’azione penale vigente in Italia, la regola d’oro dell’economia per cui le risorse sono scarse scandisce anche la vita dei tribunali, dove ogni pubblico ministero dispone per natura di una sola testa pensante. Dunque, di fronte alla mole di procedimenti penali da avviare a seguito di altrettante notizie di reato, egli sarà inevitabilmente costretto a scegliere di concentrare i propri sforzi su taluni reati piuttosto che altri, che con elevata probabilità varcheranno la famosa porta che conduce all’oblio, quella con a fianco una targhetta con su scritto “prescrizione”. Poiché la scelta del pubblico ministero è normalmente guidata dalla ragione, egli sarà portato a dare la precedenza ai reati più gravi e dalla maggiore potenzialità lesiva. Ora, in un sistema giudiziario in cui non vengono efficacemente perseguiti neppure reati idonei a mandare sul lastrico chi li subisce, come le truffe aggravate o reati finanziari particolarmente odiosi, quanto è verosimile che un pubblico ministero abbia come primo punto nella propria agenda la repressione di chi scrive un trafiletto che incita alla discriminazione dei transessuali o di colui che, terminata la prima colazione in una giornata uggiosa nel cielo e nell’umore, appende alla ringhiera del proprio balcone uno striscione con su scritto “odio i gay”?

Quel che distingue una legge da una buona legge è la capacità di essere qualcosa di più di una serie finita di frasi acconciate su un foglio di carta, e forse non è questo il caso.

Rayden

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Re: VATICANO E PROPOSTA DI LEGGE ZAN

Messaggio da progettogayforum » martedì 6 luglio 2021, 11:07

Premetto che condivido pressoché integralmente le osservazioni di Rayden, che sono eminentemente tecnico giuridiche. Non riesco a prevedere quale sarà l’esito del disegno di legge ma, francamente, non riesco a vedere il problema solo sotto il profilo giuridico o solo sotto il profilo politico. Mi sento profondamente laico e per questo rispettoso del pensiero altrui, ci mancherebbe altro, ma non è nemmeno accettabile che dietro l’ombrello della libertà di pensiero si predichino l’odio e la discriminazione. Non mi stupisce che la Chiesa cattolica invochi il concordato a difesa di un magistero che è profondamente oltraggioso della libertà altrui, ma l’anomalia non sta nel fatto che un ddl possa scontrarsi con il concordato, ma sta proprio nel fatto che esiste un concordato e per di più di livello costituzionale, che è una violazione palese di quel principio di laicità che la Corte costituzionale ha indirettamente riconosciuto anche nella Carta costituzionale italiana. Il ddl Zan, con tutti i suoi difetti, è un passo nella direzione giusta ed è un passo che deve essere fatto “laicamente”, e francamente il fatto che una nota verbale del Vaticano abbia cambiato le prospettive del ddl la dice lunga su come venga applicato il principio di laicità in questo paese. Le persone profondamente laiche, che avevano pensato che si potesse avere un dialogo con i cattolici, sono costrette a prendere atto che la Chiesa non cambia e che il dialogo è impossibile. Non dimentichiamoci mai quello che la Chiesa ha insegnato e insegna ancora oggi a proposito della omosessualità. Si tratta di cose intollerabili e false, apertamente smentite dalla Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Italia si prepara a smantellare o ad affossare il ddl Zan in nome del diritto di insegnare il falso.

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Re: VATICANO E PROPOSTA DI LEGGE ZAN

Messaggio da progettogayforum » martedì 6 luglio 2021, 19:31

Invito chi volesse documentarsi in materia a leggere il mio post del 2013: "ZANADRELLI E LA LAICITA' DELLO STATO"
viewtopic.php?f=78&t=3693
Dall'articolo si può capire che cosa dovrebbe significare ancora oggi il concetto di laicità dello Stato. Le esigenze che guidarono Zanardelli della definizione del primo Codice penale del Regno d'Italia sono ancora vivissime e le risposte adottate allora dovrebbero guidare anche oggi il pensiero del legislatore.

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