Maremma ragazzi, che begli argomenti stanno venendo fuori!
Dunque, da cosa cominciare? C'è un bel po'di roba su cui discutere.
@Diabolik: non so che rapporto sia rimasto tra voi, ma se non vi è più alcuna speranza che possiate rimettervi insieme credo che il rimuginio possa solo logorarti. è evidente, da quel che racconti, che non ti sei "rassegnato". Ma forse, è solo una mia opinione naturalmente, dovresti convincerti che per il tuo bene è meglio voltare pagina, se non c'è più speranza di ricominciare nulla. Però, come precedentemente avevi scritto, hai ancora alcune cose da dirgli e non ne trovi la forza. In ogni caso un modo di uscire dall'impasse bisogna trovarlo, no? Non ne vedi neanche uno all'orizzonte?
Sul resto della discussione: innanzitutto mi viene da dire che l'approccio scientifico ai problemi varia molto da scienza a scienza. Per esempio, se si considera la sociologia, che però non è il mio campo, quindi parlo da profano, credo che Barbara abbia ragione quando scrive:
barbara ha scritto:
Mi pare più scientifico un approccio che resti aperto alle ipotesi non verificabili non escludendole come possibili.
Allo stesso modo mi pare più scientifico un approccio che includa elementi soggettivi come variabili interferenti all'interno della ricerca e prenda atto che il nostro osservare è quasi sempre associato all'interpretare.
Siamo sempre noi a determinare spesso inconsapevolmente cosa osservare e ad escludere dalla nostra osservazioni certi dettagli piuttosto che altri.
Se una ricerca sociologica si prefigge di dimostrare una determinata tesi , ciò necessariamente influenzerà il processo stesso della ricerca, indirizzandola nella direzione idonea a trovare la presenza o l'assenza di certe correlazioni e trascurando tutto il resto .
Inoltre la cultura di provenienza del ricercatore, i modelli teorici sui quali si è formato lo porteranno a individuare relazioni fra gli eventi diverse da quelle che individuerebbe un ricercatore di diversa cultura e di diverso approccio .
In fisica funziona in modo un po'diverso. Se si parla di teoria, molto spesso un modello può essere influenzato da una certa idea, da un certo approccio, anche, se vogliamo, da un certo pregiudizio. La parola finale va sempre però ai fatti sperimentali: se essi contraddicono la teoria è quest'ultima che è sbagliata. Rispetto, per esempio, alla sociologia credo che vi sia molto meno spazio lasciato all'interpretazione personale di chi fa ricerca. Mi viene in mente un esempio che citava Stephen Hawking, il fisico britannico malato di SLA di cui credo abbiate sentito parlare: negli anni '60 egli propose una teoria fisica che fu ostacolata da Landau e dalla scuola dei fisici russi poiché, nella loro ottica, essa violava alcuni principi materialistici legati alla filosofia marxista. Come Hawking stesso scrive, pressappoco: "tuttavia, ben presto anch'essi dovettero ricredersi, in quanto non si può litigare contro un teorema matematico".
Credo che il problema sia innanzitutto nel fatto che le varie branche della scienza hanno modi diversi, estremamente diversi, di approcciarsi ai problemi. Ed è così giustamente, poiché i problemi che si propongono di risolvere sono differenti. Anzi, sempre parlando della fisica, vi dirò che anche all'interno di una stessa disciplina scientifica si riscontrano simili differenze di approccio. Tra le teorie che studiano il cosmo e quelle che studiano gli atomi vi sono notevoli e fondamentali differenze nei concetti e negli strumenti utilizzati. Parlando di attività scientifica in generale, non credo di spararla poi tanto grossa dicendo che, quando lo studio comincia a lambire ciò che ha a che fare con l'uomo, le cose si complichino ulteriormente. Lì non mi stupirei se il semplice fatto "positivo" (la scelta visibile, tangibile come dice 476) non bastasse più.
476 ha scritto: Devo ammettere che se si vuol formalizzare le cose di cui si discute, si è quasi costretti, soprattutto nelle fasi fondamentali, a dire non cosa una cosa è ma quello che fa, di quali proprietà si vuole che goda e vedere quali conseguenze si possono trarre dal fatto che possegga queste proprietà. Non so se si può fare altrimenti. Certamente si ha bisogno di concetti primitivi che si è costretti a lasciare largamente indefiniti, e si possono costruire cose bellissime ma credo che ignorare troppo l’indefinitezza dei primitivi porti a trascurare domande importanti e forse ad interpretare male i risultati a cui si arriva.
Concordo pienamente. Dire non cosa una cosa è, ma ciò che fa è scopo della fisica, fondamentalmente. Ed è proprio, come dici tu, dal non aver considerato a fondo i princìpi primi che nascono problemi. Per 300 anni la fisica (ormai mi odierete, non faccio che fare esempi tratti da questa scienza
) è andata avanti spiegando i fenomeni naturali mediante la meccanica di Newton, che era (ed è) in eccellente accordo coi risultati di esperimenti che hanno a che fare col nostro mondo macroscopico. Però tale teoria sottintendeva, senza che ciò fosse lampante (prova ne sia che nessun se n'è accorto per 300 anni) che le informazioni coprissero istantaneamente (a velocità infinita) la distanza tra due qualsiasi punti dell'universo. Dire che io, sulla Terra, posso comunicare un'informazione istantaneamente a derkleinebaum, per esempio, che si trova su Andromeda, suona in effetti un po'strano, e infatti non è vero. Però la meccanica newtoniana, tanto intuitiva e utile nella maggioranza delle applicazioni pratiche, presuppone proprio una cosa del genere. Quindi, 476, ciò che scrivi relativamente al tuo campo di studi, per molti versi vale anche in fisica.
So che ho un po'rotto i corbelli con tutti questi esempi di fisica, ma vorrei rispondere anche a derkleinebaum.
derkleineBaum ha scritto:Tuttavia, vi offro questo pensierino: anche nella verifica dei fenomeni che possono risultare più banali, avremo un numero enorme di conferme, ma non un numero infinito. Chi ci vieta di ipotizzare che un fenomeno diverso (seppur altamente improbabile) non si sia ancora verificato? Qui ragà, mi fermo. Io non ho una formazione scientifica-matematica ecc... venitemi in soccorso voi se potete (e^ip, che ne pensi??).
Sai, derkleinebaum, che c'è una remota probabilità che il caffellatte che bevi la mattina ad un certo punto si ricostituisca separatamente come latte e caffè? Così com'è possibile che l'aria in una stanza si concentri tutta in un angolo lasciando il vuoto nel resto dello spazio. è assolutamente improbabile, ma non impossibile. Anzi: è certo che prima o poi avverrà, si può dimostrare tramite un teorema detto "della ricorrenza" (o di Poincaré). Il tempo medio in cui ciò avviene è molto, ma molto, maggiore dell'età dell'universo perciò... ...domattina non ti consiglio di aspettare, guardando la tazzina, che il latte si separi dal caffè!
Comunque, per rispondere alla tua domanda, sì, nessuno ci vieta di ipotizzare che un fenomeno nuovo, sconosciuto, non si sia ancora verificato perché altamente improbabile
derkleineBaum ha scritto:
per e^ip+1=0: poi mi devi spiegare i fotoni virtuali che non li ho mai sentiti!
Dunque, proverò ad essere chiaro e breve, ma non è facile. Spero di non risultare noioso
Pensala così: dal matrimonio della teoria che spiega il comportamento di oggetti microscopici (
la meccanica quantistica) con quella che spiega il comportamento di oggetti che si muovono a velocità prossime a quelle della luce (
la relatività ristretta di Einstein) nasce una teoria che prende il nome di
Teoria quantistica dei campi (abbreviata in QFT, dall'inglese
Quantum Field Theory). La QFT prevede che, per intervalli di tempo molto piccoli, si abbiano in determinate regioni dello spazio (assolutamente piccolissime) fluttuazioni di energia molto grandi. Tali fluttuazioni possono "manifestarsi" sotto forma di particelle (che trasportano energia, per l'appunto) dette particelle virtuali. Perché "Virtuali"? Come dicevo, il ragionamento vale per intervalli di tempo molto piccoli, superati i quali tali particelle si annichilano (scompaiono, letteralmente, nel vuoto) o ne creano di nuove o interagiscono con altre già presenti. Non è possibile misurare direttamente le particelle virtuali; nessuna di esse è stata mai osservata. Se ne possono però calcolare e misurare gli effetti su altre particelle! Si possono avere i fotoni virtuali, come anche gli elettroni virtuali etc. Le particelle virtuali si creano spontaneamente anche nel vuoto! Il vuoto come assenza di materia non esiste perché su distanze spaziali piccole e per intervalli di tempo piccoli particelle virtuali si creano dal vuoto e, passato un tempo brevissimo, si distruggono tornando nel vuoto.
Sconvolgente? Insensato? Assurdo? Da morire! Però pare davvero che Madre Natura si comporti così da quelle parti
Spero di essere stato chiaro, dimmi se non hai capito qualche cosa.
Qui ci sono maggiori informazioni:
http://www.infn.it/multimedia/particle/ ... c_vir.html
Ora vado a letto, scusate la lungaggine del post!